Il souvenir (ricordino) viene normalmente considerato come un oggetto, più o meno simbolico, che può essere venduto al turista per ricavare un guadagno, tanto più consistente quanto più l’oggetto ha un basso costo produttivo, se non è addirittura una patacca.
Esso invece dovrebbe rappresentare un veicolo di comunicazione dell’identità del luogo, della reputazione di una struttura ricettiva o, nel caso del catalogo di una mostra o del programma di sala di uno spettacolo teatrale, come il testimone/ricordo di un’occasione straordinaria.
Se tutti gli oggetti-merce tendono a demercificarsi quando diventano uno strumento di relazione tra persone [Wang, 2000], a maggior ragione il souvenir turistico può essere efficace strumento di comunicazione che trasmette un messaggio durevole nel tempo e, come un testo scritto, può essere regalato e, passando di mano, parlare ad un altro destinatario.
Ma, affinché ciò avvenga, esso non deve essere un oggetto dozzinale perché le relazioni comunicative sono sempre più veicolate, oggi, dalla discriminante del gusto e dell’estetica. Può essere un oggetto povero, può essere realizzato in un paese dove i costi di fabbricazione sono irrilevanti, ma deve essere ideato come un messaggio di “arrivederci alla prossima occasione” magari insieme con altri amici.
Si tenga conto, inoltre, che mediante il souvenir o la fotografia, o le immagini girate dal turista, o il posacenere con il logo dell’albergo portato via di nascosto (ma che è stato messo lì dall’albergatore proprio perché potesse essere facilmente “rubato”!), si modifica il senso stesso dello sguardo turistico che passa dalla condizione di “vedere” a quella di “possedere”.
Attraverso il ricordo (o il souvenir o la fotografia) la percezione visiva si stacca dall’oggetto turistico altro e diviene oggetto/memoria di proprietà del viaggiatore che, in seguito, potrà anche regalare ad altri.