Cineturismo

La diffusione del Cineturismo, e cioè di quella pratica turistica che consiste nel visitare luoghi che sono stati utilizzati come set cinematografici, ha fatto sorgere l’esigenza di creare degli organismi pubblici (Film Commission) che offrono incentivi o facilitazioni di varia natura alle produzioni cinematografiche che si impegnano a “girare” scene significative nella località. Evidenziando così il ruolo promozionale che possono avere i film e le fiction televisive.

In verità il valore promozionale del cinema non è un fenomeno solo recente: nella formazione, o meglio nella stratificazione degli immaginari turistici, più di ogni altra forma di comunicazione artistica o letteraria, alcuni film di successo hanno svolto un ruolo determinante, forse più incisivo di quello avuto dai racconti dei viaggiatori (sia opere letterarie che il “passaparola”).

Il cinema “peplum” e i film come “Vacanze romane” (Roman Holiday, 1953) di William Wyler o “La dolce vita” (1960) di Federico Fellini hanno attirato (e attirano) a Roma più turisti di quanti siano stati attirati da qualsiasi efficace campagna promozionale, e lo stesso si può dire per “Un americano a Parigi” (An American in Paris, 1951) di Vincente Mannelli per la capitale francese.

E’ un fenomeno ben noto che non è stato indebolito dalla diffusione pervasiva di altre forme di “narrazione” audiovisiva, documentari turistici veicolati dalla televisione o incisi su supporti digitali ad alta definizione con effetto tridimensionale. Ancora oggi infatti i film restano i veicoli principali della promozione turistica, vi sono esempi di opere cinematografiche che hanno generato immediate ricadute turistiche sulle località nelle quali erano state girate: se sono stati eclatanti i casi più recenti dei Sassi di Matera, dove è stato ambientato il film “La Passione di Cristo” (The Passion, 2003) di Mel Gibson, o della Nuova Zelanda, dove sono stati girati gli episodi della saga de “Il Signore degli anelli” (Peter Jackson) tratti dai romanzi di Tolkien.

Può essere spiegato questo fenomeno solo con il fatto che il film o le opere di fiction TV determinano un forte coinvolgimento dello spettatore, sia di tipo proiettivo nella vicenda narrata, sia di tipo identificativo verso i personaggi e, quindi, una immersione quasi ipnotica nelle immagini che scorrono sullo schermo?

Se non è solo questo, occorre allora analizzare la natura dello stretto rapporto tra la suggestione della narrazione filmica e l’esperienza turistica, la quale consiste in una corrispondenza tra lo specifico linguaggio del cinema e il processo comunicativo attraverso cui il luogo turistico “parla” al suo visitatore.

Il linguaggio cinematografico infatti, come vuole l’etimologia della stessa parola cinematografo, si basa su un processo comunicativo dove le immagini “scrivono” il movimento, mentre la pratica del turismo si realizza come esperienza comunicativa perché il movimento (del turista) assegna un peculiare significato aggiuntivo alle immagini della località visitata.

Se un luogo comunica, a livello denotativo, attraverso la sua morfologia fisica, le sue funzionalità, le persone che lo abitano e gli oggetti culturali che vi sono presenti, lo stesso luogo assume significati connotativi soprattutto dalla circostanza nella quale viene osservato, e cioè dalla peculiare percezione del destinatario che si muove nello spazio per leggervi i significati: nell’esperienza turistica, come nel cinema, è quindi il movimento che incrementa e rigenera i significati delle immagini assegnando un “senso” alla località.

Va precisato, tuttavia, che quando si parla di movimento non ci si riferisce solo allo spostamento nello spazio (sia per il linguaggio cinematografico che per l’esperienza turistica) ma anche al movimento temporale che si realizza in un’azione, termine questo che, non a caso, viene pronunciato dal regista per avviare la ripresa.

Per la narrazione filmica il movimento temporale, non è dato dalla temporalità storica nella quale è collocata la vicenda, anche se si tratta di un film in costume (poiché la presa diretta delle immagini sullo spettatore ne fa sempre una vicenda emblematica e in un certo senso a-storica) ma è dato dallo sviluppo diacronico della vicenda narrata, che non potrebbe essere una “storia” se non avesse uno svolgimento temporale: quand’anche in un film vengono descritte solo situazioni emotive, i personaggi hanno sempre bisogno di essere inseriti in una vicenda e le stesse emozioni possono essere descritte, per immagini, solo se vengono rappresentate come moti d’animo, e cioè “flussi di coscienza”.

Si spiega così il motivo per cui il documentario turistico – anche se girato da un grande professionista – non può avere una carica “promozionale” pari a quella di un film suggestivo ambientato nella stessa località.
Nel documentario, infatti, scorrono immagini belle ma non si racconta il “vissuto” del luogo, perché il movimento delle immagini descrive solo lo spostamento spaziale ma non suggerisce lo spostamento nel tempo e quindi la sua “storia” (che non può essere raccontata dalle testimonianze storiche presenti nel territorio, le quali sono appunto testimonianza ancora presente di ciò che è stato, ma non sono un “vissuto” del presente inteso come esperienza del passato).

Il documentario descrive gli aspetti più suggestivi di una destinazione: emergenze naturali, monumenti, eventi folcloristici, vedute caratteristiche o pittoresche.
Ma, mentre il film o la fiction raccontano una storia che è ambientata in uno spazio fisico (reale o immaginario, ma sempre realistico) che diventa un “luogo” e cioè uno “spazio carico di senso proprio in virtù degli incontri e delle relazioni che in esso vi si iscrivono” come spiega l’antropologo Marc Augé nel libro sui Non Luoghi, il documentario turistico parte da uno spazio già significato come luogo per le sue caratteristiche naturali e antropiche, al fine di rappresentare, spiegare o commentare questi significati: parte cioè da un luogo per descrivere lo spazio suggerendo percorsi di visita ed è, proprio per questo, solo una metacomunicazione della località tesa ad esaltare i significati preesistenti.

E’ questo il motivo per cui i documentari turistici mandati in onda dalla TV sono passati dal format classico che illustrava le bellezze del luogo o la bontà dei suoi prodotti tipici (come “Sereno variabile” di Bevilacqua) al format dell’avventura vissuta da personaggi noti (come “Turisti per caso”).

E ciò vale anche per i documentari naturalistici sempre più incentrati o sulla audacia di chi racconta in prima persona luoghi e vicissitudini, o sulla storia di un branco o di una famiglia di animali selvatici, con i cuccioli che crescono e che imparano a cacciare (o a fuggire dai predatori), al punto che un lungometraggio come “La marcia dei pinguini”, girato dal biologo francese Luc Jacquet come documentario, può diventare un film che si proietta nelle sale cinematografiche proprio perché racconta l’epopea di un gruppo di pinguini, con tanto di avventure e di vicende amorose.

La narrazione filmica, dunque, è sempre una sequenza di forme espressive che – in quanto rinviano a una sequenza di significati – determinano una sequenza di fatti (la storia) e non solo una sequenza di immagini: l’impressione di realtà della vicenda narrata non deriva solo dal “realismo” del linguaggio cinematografico o dalla sua apparente tridimensionalità visiva ma dal movimento diacronico di ogni singola inquadratura, giacché l’immagine colta dall’obiettivo non viene inserita soltanto nel quadro asincrono del fotogramma, ma genera un piano di profondità temporale che racconta una storia.

Occorre fare molta attenzione, dunque, nella gestione dei sostegni finanziari per le produzioni cinematografiche al fine di massimizzare l’efficacia promozionale delle locations: meglio dare contributi per la realizzazione di un film (o una fiction TV) che per far girare un documentario turistico.

Anche la più recente evoluzione del linguaggio cinematografico che sembra aver infranto il “patto mimetico” tra realtà e rappresentazione – non solo per le potenzialità tecniche che consentono l’elaborazione digitale delle immagini, gli straordinari effetti speciali e la configurazione di setting visionari – il movimento spaziale delle immagini e il loro ritmo narrativo continuano ad essere gli elementi sintattici specifici del linguaggio del film. Anche quando – come nelle clip – la frammentazione del tessuto narrativo produce una rete in cui la direzione verticale dei movimenti temporali non si intreccia i maniera lineare con la dimensione orizzontale degli spostamenti spaziali.

E se lo spettatore, per ricostruire un percorso narrativo – che nei videoclip è dato dallo svolgimento del brano musicale – è costretto a seguire contemporaneamente due dinamiche disconnesse, quella diacronica che segue l’evolvere degli accadimenti e quella asincrona di un quadro spaziale che viene sovente decostruito in una pluralità di setting, il ritmo e il movimento delle immagini consentono comunque di creare un’ambientazione di significato dove resta “impressa” la narrazione.

Un’ambientazione che conserva, nel suo tessuto, le impressioni visive e le sensazioni acustiche, così come una località turistica serba – nella sua immagine globale – l’impronta narrativa costituita da elementi disomogenei e contrastanti, che tuttavia si inseriscono nello stesso vissuto esperienziale.

Va notato, tuttavia, che è estremamente difficile “costringere” il linguaggio frenetico delle clip ad una funzione promozionale turistica.

Il “corto” commissionato dall’Assessorato al Turismo di Roma – dal titolo The happening city – che avrebbe dovuto comunicare la grande varietà degli attrattori di una destinazione connotata tradizionalmente dai significati di città storica e/o della dolce vita, si è rivelato un flop proprio per il linguaggio da videoclip adottato che, se suggeriva l’articolazione dell’offerta, tuttavia contrastava con le esigenze contemplative slow che sempre caratterizzano il desiderio, se non la pratica del turismo.

Voci correlate

Saremo lieti di leggere i tuoi pensieri :-)

Lascia un commento