L’obiettivo dell’intervento consiste nel delineare i fattori socioculturali che hanno condizionato e orientato le motivazioni e i comportamenti turistici degli italiani dagli anni ’50 ad oggi. Si tratta di far emergere le “driving forces” del cambiamento in modo da descrivere le tendenze attuali per “uscire dalla crisi” con qualche idea di marketing o, più semplicemente, con una maggiore e lucida consapevolezza dei processi che caratterizzano le contemporaneità.
Particolare attenzione sarà rivolta a categorie analitiche mutuate dalla sociologia delle generazioni e dei consumi, quali i concetti di “classi di età” e di “stile di vita”, cioè l’immagine che un attore sociale vuol dare di sé tramite lo show-off dei beni di consumo.
Si è deciso di analizzare il turismo contemporaneo attraverso i cambiamenti nelle classi d’età e nei processi decisionali delle famiglie anche perché l’ONU ha proclamato il 1994 “Annon internazionale della famiglia”.
Il metodo storico-comparativo accompagnerà l’intera riflessione: il “caso Italia” è connesso in modo molto stretto alle trasformazioni in atto in tutti i Paesi ad economia avanzata. La singolarità, la specificità di alcuni fenomeni nazionali verranno rilevate al pari degli aspetti più generali che hanno caratterizzato, e caratterizzano, il capitalismo contemporaneo, al di là delle diversità tra nazioni o tra aree regionali sub-nazionali.
Il turismo nella società dei consumi
Con il “miracolo economico” degli anni ’50 e ’60 si afferma anche in Italia una variante della società industriale avanzata: la società dei consumi. Essa è un tipo di società affermatasi negli USA e in Gran Bretagna dopo la crisi di Wall Street del 1929 e poi diffusasi in Francia, Germania e Italia e in altri Paesi occidentali dopo la II Guerra Mondiale. I suoi pilastri sono i ceti medi e il valore-guida della competizione-concorrenza all’interno del Welfare State. L’agire di consumo rende visibile il modello: i beni di largo consumo sono disponibili per tutti, ma secondo la stratificazione sociale, sono ola “ricompensa” per la posizione di ruolo ricoperta dalla gerarchia di status.
L’automobile è il cuore della società dei consumi. Tutti la possono comprare. La cilindrata con relativi prezzi crea distinzione sociale e seleziona l’accesso al bene mediante la stratificazione dei consumatori. L’ ”effetto dimostrativo” di Duesenberry e l’ ”invidia imitativa” – da non confondere, rispettivamente, con il “consumo vistoso” degli aristocratici e con l’ ”invidia del risentimento” degli intellettuali che rimpiangono le “comunità” contadine e odiano i consumatori – sono alcune delle dinamiche psico-sociali specifiche della società dei consumi: ad un tipo di auto corrisponde un equivalente reddito, ma tutti hanno lauto e possono sperimentare la libertà di movimento, verificare il miglioramento sociale e sentirsi parte del cambiamento. L’effetto dimostrativo stimola l’invidia imitativa che, a sua volta, diventa fattore di distinzione sociale.
In parallelo, si afferma la “famiglia nucleare”. È formata dai genitori, che si sposano tra i 20 e i 30 anni, e da due figli (l’ideale del tempo è: “un maschio e una femmina”). La “famiglia estesa” contadina non è funzionale alla mobilità sociale.
Comincia così a dilatarsi quello che l’economista Sylos Labini definisce il “ventre molle” del ceto medio impiegatizio e autonomo, nonostante il dibattito politico sia dominato dal ruolo della classe operaia e dalla sua “coscienza di classe”. La famiglia nucleare non interrompe però il “familismo morale” degli italiani: il successo individuale può essere alimentato solo attraverso i rapporti di parentela. La famiglia è depositaria di un sapere superiore all’individuo e, attraverso i canali informali, garantisce vantaggi competitivi. Il rapporto azienda-famiglia, in Italia, è strettissimo sin dagli anni ’50.
Il mito dell’ ”amicizia adolescenziale”, mutuato dalla cultura anglo-sassone, è recepito attraverso la cultura di massa, ma non si combina con i fattori specifici della tradizione italiana (bisogna aspettare il ’68). Prevalgono ancora la goliardia accademica e la socializzazione anticipatoria alla vita adulta attraverso la parrocchia e le sezioni dei partiti politici fortemente ideologizzati. Il modello americano, l’ ”american way of life”, è visto con ambivalenza: attrazione e repulsione. La commedia italiana del costume, che interpreta i bisogni e le aspettative popolari dei sociologi e degli intellettuali del tempo, pone l’interrogativo tipico del periodo: poveri ma belli (il richiamo della tradizione) o è meglio fare l’ ”americano” (la seduzione dei consumi)? Prevale la seconda opportunità.
Ma ciò allora era chiaro soltanto in politica e non nella vita sociale e nei consumi di massa, per cui si parla di “miracolo economico”, cioè di un fenomeno voluto da una ristretta élite modernizzatrice che forza resistenze e sradica intere popolazioni dai luoghi di origine per realizzare la società dei consumi.
La vacanza estiva è modellata sulle scelte e sui ritmi della società industriale. Essa è presa ad “unico boccone”, durante il mese di agosto, quando le fabbriche chiudono e i dipendenti hanno diritto a un mese di ferie. Tutti insieme contemporaneamente. Del resto, i consumatori sono formati da operai-massa provenienti dal “triangolo industriale” o dai colletti bianchi dei servizi tradizionali e moderni. Entrambi i gruppi sociali hanno nella ripetitività delle prestazioni – dal pendolarismo tra casa e lavoro alla partecipazione sindacale – un fattore di identità sociale. E le vacanze sono altrettanto standardizzate.
Tutti insieme nello stesso periodo dell’anno, sciamando per le autostrade verso alberghi e pensioni nei paesi d’origine del sud Italia o per trascorrere le vacanze in casa di parenti. L’agire turistico è un prolungamento della vita urbana, è il consumo esibito dei cittadini perfettamente integrati.
L’ ”unico boccone” è la “grande festa” della società industriale nell’età dei consumi di massa. Se il break, nel mondo contadino, si svolge in inverno perché i campi sono coperti di neve e non c’è da lavorare, per cui la “vacanza” è cristianizzata dal Natale e conservata nei secoli come Capodanno, il break nella società consumista si svolge a Ferragosto, che è il Capodanno dell’Anno Industriale: esso segna il passaggio da un anno produttivo all’altro (le aziende fanno i bilanci a settembre-ottobre, le scuole iniziano a settembre, ecc.). perciò, durante la festa, si può essere cicale perché poi arriverà la Quaresima autunnale e tutti, contemporaneamente, faranno le formiche.
Le vacanze e, più in generale, i divertimenti del tempo libero, sono la ricompensa per le fatiche produttive. Soddisfano con il riposo stanziale i “sacrifici” di chi ha fatto il suo dovere in fabbrica o in ufficio. Sono “compensative”.
In tale contesto, l’ ”unico boccone” è un potente fattore di integrazione sociale e costituisce una forma di “costrizione” sociale in senso durkheimiano: occorre partire perché tutti lo fanno.
Chi, nelle Milano degli anni ’50 e ’60, resta a casa durante il mese di agosto, deve vergognarsi. Così chiude le tapparelle e fa silenzio per fingere di essere andato al mare o ai laghi. Si sente un emarginato. Ma anche chi non torna abbronzato può ricevere osservazioni critiche: il pallore dimostra forse che si è ammalati? Del resto, già i sociologi francesi come Dumazedier o americani come De Grazia, notavano negli stessi anni che la vacanza non “compensa” soltanto gli stress sul lavoro (la metafora “ho bisogno d ricaricare la batteria”…), ma conferma lo stato di salute. Si tratta di una socievolezza tipica dei riti sociali che caratterizzano la vita quotidiana: si pensi all’interscambio riparativo studiato da Goffman (“come stai? Bene, grazie”).
Durante la festa bisogna essere tutti presenti lontano dalla città di residenza, essere visibili in luoghi nuovi ed apparire in salute (ad esempio, abbronzati come tutti). Le foto dei quotidiani fanno vedere le strade deserte di Milano e Roma.
L’agire turistico rappresenta uno stile di vita da cittadini. Si contrappone nettamente al mondo dei contadini, che non soltanto non fanno vacanze ma evocano agli italiani appena inurbati le sofferenze e le privazioni dei loro genitori (in quel periodo valeva ancora il detto medievale “l’aria di città rende liberi”…). In parallelo, il ritorno nel paese d’origine, misura i risultati ottenuti in città e la vacanza è, per molti, la conferma di aver scelto bene. L’invidia imitativa contagia anche i locali più resistenti alle seduzioni. Il turista-emigrante è il si9mbolo della modernità urbana e i suoi racconti risultano attraenti.
Il viaggio non è più confinato al “rito di passaggio” matrimoniale, ma è un piacere in sé.
Poiché la vacanza, come ogni festa, è “inversione rituale”, cioè cambiamento provvisorio delle norme della vita quotidiana, come il Carnevale; è diffusa l’aspettativa della trasgressione sessuale. È molto forte lo stereotipo del latin lover e si raccontano barzellette sui “treni dei cornuti”, quelli del week-end che portano in Riviera o a Rimini i mariti rimasti in città durante la settimana. In realtà, il “grande boccone” è un rito collettivo che si inscrive in una antica regola dell’atropologia culturale: lo scambio delle donne per rafforzare la pace tra i popoli. Infatti, lungo l’Alto Adriatico, si sono formate coppie miste (giovani italiani e bionde tedesche), parecchie delle quali (circa 3.000 dagli anni ’50 ad oggi) si sono concluse con il matrimonio.
La vacanza sembra quindi il contenitore temporale di un rito collettivo che intensifica le relazioni primarie, il contesto in cui si svolgono le prove per la selezione del partner: molte persone hanno conosciuto la loro compagna/o proprio durante la “grande festa” della società dei consumi.
Le canzoni del romanticismo popolare, ambientato al mare, sono state il materiale simbolico che è stato creato per “celebrare” gli eventi durante l’effervescenza collettiva del rito.
Il marketing turistico non esiste ancora. Non se ne sente l’esigenza.
Del resto, le fabbriche producono beni di serie che puntano sulla quantità di pezzi venduti al dettaglio. Il ciclo di vita del prodotto, con la sua maturità e il suo declino, e le motivazioni dei turisti, non costituiscono problemi da risolvere con la programmazione aziendale. Il turismo “goes on”.
L’imprenditore innovativo, spesso un ex-operaio, si fida del suo intuito e non dei sondaggi di opinione e delle ricerche di mercato. Gli imprenditori turistici, ex-contadini passati in breve tempo dal primario al terziario della ristorazione o dell’alberghiero, hanno deciso di attendere l’arrivo dei consumatori per “esportare” il prodotto turistico.
Non ci sono sfide o concorrenti. Tutto va bene e ognuno è convinto di vivere nel Paese più bello del mondo.
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di Nicolò Costa