Una Stella in Più

Se la nozione di qualità totale si identifica nella piena soddisfazione dei bisogni, desideri, aspettative più o meno consce del  consumatore, qualsiasi impresa che voglia primeggiare sul mercato globale, mediante l’offerta di prodotti e servizi eccellenti, non può che praticare una politica aziendale orientata al cliente, concepita e realizzata scientificamente.

Più facile a dirsi che a farsi per le imprese del terziario vocate a fornire servizi, cioè realtà immateriali né tangibili né sperimentabili , caratterizzati dal prevalente intervento dell’uomo e dalla contemporaneità del processo di produzione della prestazione e del suo consumo. Non è infatti facile giudicare le proprie  cose ed i comportamenti con gli occhi degli altri, soli giudici della qualità: non è agevole comporre ad omogeneità qualitativa i tanti fattori che intervengono nella formazione della qualità totale; è difficile rimettersi continuamente in questione e vincere la tentazione del guadagno immediato, interiorizzare il comandamento “assicurare value for money”.

L’albergo è un caso particolare per la complessità della sua organizzazione interna: in esso  – al di là dei problemi connessi alla  qualità dell’hardwar ( immobile, attrezzature, infrastrutture , decorazioni, ecc.) da mantenere efficiente, restaurare e rinnovare – la soddisfazione del cliente dipende soprattutto dal personale che nella diversità delle mansioni deve garantire un uniforme standard qualitativo di tutti i servizi. E’ come avere una marcia in più, o meglio – trattando di hotellerie – una stella in più.

In alberghi di una certa dimensione, soprattutto in quelli gestiti da catene che devono assicurare servizi qualitativamente omogenei, la qualità totale non si improvvisa ma si progetta e si realizza applicando filosofia e metodologie desunte dalla dottrina del marketing e della comunicazione.

L’impresa alberghiera è un sistema aperto, non solo sul mercato nazionale e internazionale, ma anche sull’ambiente socioeconomico-culturale in cui opera, che lo influenza e ne  è influenzato. Perciò l’albergo – come del resto la generalità delle imprese – persegue obiettivi economici cui si associano importanti ricadute di carattere sociale che  si riflettono sulla forza lavoro e sulla collettività.  Il risultato finale della gestione cui concorrono soggetti interni ed esterni all’azienda è quindi determinato dal corretto funzionamento e dal razionale coordinamento dei vari sottoinsiemi (reparti), ciascuno dei quali deve essere organizzato in modo da assicurare quella qualità che tende alla qualità globale del prodotto/servizio.

Idealmente le relazioni e interdipendenze tra i reparti sono assimilabili alle relazioni tra fornitori e clienti: questo approccio funzionale mira da un lato a circoscrivere chiaramente l’area di lavoro e le responsabilità di ogni reparto e di ciascun addetto, dall’altro lato ad istituire  rapporti dialettici tra reparti che, simili a quelli intercorrenti tra fornitore e cliente, sono importanti alla collaborazione e ognuno si sente partecipe della politica aziendale.

La strategia per la qualità totale si incentra su alcuni punti chiave:

  • quali fasce di domanda possono essere coltivate in relazione alla localizzazione dell’albergo, alla capacità, alle caratteristiche ambientali, alle strutture ed infrastrutture ecc. (ricerche di mercato):
  • cosa offrire (contenuti e qualità del prodotto):
  • come offrire (qualità di prestazioni):
  • come coinvolgere la totalità del personale nella realizzazione del progetto qualità (gestione delle risorse umane).

Quest’ultimo punto è, nel terziario in generale, ma in maggior misura per l’albergo, il più critico e impegnativo. La qualità ambientale e delle componenti dell’hardware – pur se elevata – non può da sola consentire di approdare alla qualità totale se questa non viene percepita e perseguita come “problema” di tutti, dall’alta direzione sino all’ultimo reparto, sia esso visibile o invisibile al cliente.

La chiave per la soluzione, come insegnano i giapponesi, sia nella diffusione a tutti i livelli operativi di una cultura aziendale che – programmata ed attuata mediante il ricorso ai principi ed alle metodologie della comunicazione – mira alla mobilitazione del personale, a sviluppare ed esaltare la professionalità di ogni singolo addetto, a fare emergere le potenziali doti intellettuali, morali, e creative di ciascuno e ad infondere in tutti il senso e l’orgoglio di appartenenza ad un gruppo solidale animato da valori ed interessi comuni.-

Il coinvolgimento attivo della forza lavoro, finalizzato all’incremento della produttività dell’impresa attraverso la ricerca della migliore qualità possibile del prodotto, si traduce sul terreno nella continua circolazione dall’alto verso il basso, dal basso verso l’alto ed orizzontalmente di idee, critiche, proposte, controllo e revisione delle procedure operative.

Manovrando la leva della professionalità e la leva psicologica, applicando politiche salariali eque e premiando l’iniziativa personale o di gruppo, si sviluppa in ogni individuo la tensione verso la soddisfazione dei bisogni e dei desideri del cliente, si sollecita la capacità di osservazione e di iniziativa.

Si consente ad addetti di rango medio ed inferiore  (quelli cioè che hanno rapporti diretti continuativi con la clientela, ma che nella vecchia struttura gerarchica erano privi di potere decisionale) di assumere le responsabilità di risolvere sul campo, con il cliente, problemi e difficoltà inerenti alla coincidenza della produzione del servizio con il consumo.

In sostanza la cultura aziendale, strumento essenziale della politica di orientamento al cliente, si configura come marketing interno propedeutico al marketing esterno. Non per nulla si dice : “Ciò che non puoi  vendere al tuo personale (primo mercato)non potrai venderlo al cliente (secondo mercato)”.

Secondo gli esperti tre categorie di “percezione” della qualità condizionano i clienti (che sono tanti e molti diversi per esigenze, mentalità, cultura, nazionalità, ecc.)

  • percezione di efficacia, corrispondenza del servizio al bisogno e qualità delle modalità della sua organizzazione:
  • percezione di efficienza, impressioni sulla qualità dell’organizzazione generale dell’albergo, percepita attraverso la rapidità, la precisione e la diligenza del personale che esegue il servizio:
  • percezione di empatia, corrobora le prime due e riguarda il “clima” che regna nell’albergo determinato , nello stesso tempo, dagli ospiti e dal comportamento del personale, della sua cortesia, amabilità, capacità di interpretare con simpatia i desideri dell’ospite, di aiutarlo a risolvere i suoi problemi.

La combinazione felice (o infelice) dei tre tipi di percezione determina il giudizio complessivo sulla qualità dell’albergo e sull’immagine che il cliente porterà con sé, facendosene invece involontario  promotore o detrattore. Ultima notazione, in risposta a qualche interrogativo.

La qualità è lusso, la qualità costa cara a chi l’offre e dunque a chi ne beneficia. Errate l’una e l’altra affermazione.

Qualsiasi albergatore offrirà qualità commisurata alle caratteristiche dell’hardware e del software (i servizi) calibrata in modo da soddisfare le esigenze di determinati segmenti di domanda e non di altri,.

La qualità non è spesa ma investimento redditizio nel tempo in quanto la razionalizzazione  della gestione, la partecipazione attiva del personale al miglioramento dei servizi, producono economie, riducono le spese, perdite di tempo, sprechi. Infine, la qualità se soddisfa le aspettative del cliente, lo fidelizza, lo induce a raccomandare ad altri il “suo albergo”.

Processo di miglioramento e certificazione di qualità

Spesso si confonde qualità totale con certificazione di qualità, che non sono la stessa cosa perché la prima si identifica con un work in progress che consente miglioramenti costanti, anche se  “a piccoli passi”, e la seconda – pur certificando i processi – resta comunque ancorata ad una valutazione di alcuni dati che, per definizione, non possono essere dinamici.

Ma la certificazione è comunque uno strumento importante, non solo di verifica, per  raggiungere gli obiettivi della Qualità Totale. Soprattutto nel settore dell’albergazione  che vende il suo servizio “a distanza” connotandolo con una attribuzione di stelle in misura variabile, che però non dice più di tanto alla clientela, data la perdurare incertezza della classificazione.

Per questo, pare opportuno segnalare una iniziativa dell’Unione Regionale Albergatori Veneti, che ha realizzato un corso per l’ottenimento del Certificato ISO 9000 riservato agli albergatori. Il corso simula una condizione di mercato fortemente selettiva che costringe a rivedere la gestione dell’imprese, e i parametri di riferimento vanno dalla capacità di comunicare alla preparazione del personale,  dalla gestione dei flussi alle norme igieniche, dalla scelta degli approvvigionamenti ai risultati economici. Il tutto calibrato sul grado di soddisfazione del cliente.

La regione del Veneto sembra disponibile a recepire il marchio di qualità nella legge per la classificazione alberghiera: sarebbe un esempio interessante per arrivare ad una nuova normativa che riesca ad omogeneizzare anche i parametri nazionali.

di Sandrio Sorbelli

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