Una Politica Turistica nel Sud

Dall’albergo all’ambiente

L’importanza del turismo per lo sviluppo economico del Mezzogiorno sembra un dato scontato, non solo  nel dibattito culturale ma anche a livello politico, sia nazionale che locale. Si enfatizzano le potenzialità di questo comparto produttivo per risolvere i problemi occupazionali che travagliano il Sud del nostro Paese e per ridurre il forte “divario” con le aree settentrionali e centrali.

Non voglio sostenere il contrario, né raffreddare gli entusiasmi di quanti affidano al turismo un ruolo portante dell’economia del Mezzogiorno. Vorrei, però, ricordare l’esperienza, non certo positiva, delle molte “ricette” indicate per risolvere la “questione meridionale”  attraverso sviluppi produttivi ancorati ad un’unica variabile principale.

Il Sud riceverebbe certamente molti vantaggi dall’ampliamento della base economica del settore turistico e dalla sua maggiore strutturazione e ciò riverberebbe  effetti positivi anche sul “sociale”. Tuttavia, sarebbe errato pensare a rifunzionalizzare, per il turismo soltanto, un’area così vasta (la metà circa dell’Italia) e demograficamente ricca senza valutare, attentamente, non solo i condizionamenti che si stanno già determinando, nella situazione meridionale, dalla contemporanea crescita del turismo a scala europea e mondiale, ma anche quelli che possono determinarsi nel medio e  lungo periodo nella vita economica e sociale del Mezzogiorno da una scompensata connessione tra il turismo e gli altri comparti produttivi. Non sarebbe positivo neanche per il settore. Il turismo ha bisogno continuamente degli altri settori produttivi e delle risorse ambientali e territoriali per manifestarsi, crescere e trasformarsi. Ben venga, quindi, un rilancio delle politiche meridionali con un “progetto” ma anche con molte “attenzioni”.

Al centro del progetto  dovrebbe porsi l’ambiente: non ci spaventi l’idea di passare in secondo piano l’unità produttiva tradizionale, “ l’albergo”. L’ambiente, considerato come il contenitore (naturale, antropizzato, sociale, ecc.) caratterizzante nelle sue varie manifestazioni delle condizioni di vita e produttive dell’intera circoscrizione meridionale, può meglio rappresentare il paradigma di riferimento delle azioni possibili per il settore.

Il turismo, infatti, si alimenta dell’ambiente: lo distrugge per usarlo, ma ha bisogno di ritrovarne continuamente la sua “verginità” per riprodurlo quale valore inedito, contributo  insostituibile  della propria ricchezza produttiva. La sua dimensione fisica ricopre quella insediativa, anzi molte volte va oltre. Lo stesso avviene per quella funzionale che si sviluppa secondo più direzioni: attraverso l’uso delle  utilities urbane de territoriali  ( i trasporti o i servizi commerciali e sociali); attraverso specifiche attrezzature (come quelle per l’ospitalità in cui, a volte, prevale l’integrazione con i centri abitati, a volte, una vera e propria contrapposizione).

Le chiavi del turismo moderno possono rileggersi nel passaggio da un’esperienza  elitaria a fruizione di massa che domanda nuove forme di “spettacolarizzazione” del quotidiano.  E’ una semplificazione eccesiva, ma utile ai nostri fini: la crescente domanda turistica sta modificando a scala mondiale i modi di fruire gli insediamenti storici e la natura, ma sta altresì trasformando nuovi modelli di città per il turismo anche facendo prevalere l’artificiosità sul reale.

C’è il rischio che l’ambiente del Mezzogiorno, in presenza dell’agguerrita concorrenza di altre aree del Mediterraneo, sia destinato a svolgere un ruolo “regionale” e a non esser in grado di fornire fulcri  innovatori alle direttrici e alle frequenze d’uso che si stanno configurando a livello europeo.

La sfida, di fronte a questo rischio, sta nel costruire un progetto in grado di :

  • cogliere l’identità degli ambienti naturali e storici (come è noto la cultura europea ha trovato nel Sud segmenti importanti della propria storia) così come di quelli antropici (le capitali del Mezzogiorno, ma anche la rete delle città minori):
  • introdurre nuove tecnologie funzionali sia per ridare impulso alle attrezzature esistenti che per inventarne di nuove (il sistema degli approdi ad esempio, ma qui rientra l’albergo):
  • rendere più compatibili due produttività: delle imprese turistiche e degli enti locali, i due interlocutori principali delle politiche di intervento.

Un progetto, però, deve trovare nel contesto elementi di forza e, nel frattempo, superare ostacoli ambientali che non è possibile sottovalutare . Il confronto fra la condizione ambientale, le forme d’uso turistico e le azioni di propaganda (o anche solo ipotizzate) evidenzia una situazione meridionale molto eterogenea, fatta di luci e ombre, il che invita a non generalizzare il giudizio, ma ad approfondirlo e specificarlo rispetto alle varie condizioni.

Il quadro non è certo positivo. Vi sono condizioni che determinano disagi, comportano maggiori oneri di trasporto e costi aggiuntivi, contribuiscono a mantenere scarsa la competitività del turismo meridionale, sia a livello nazionale che estero. Basta pensare al diffuso degrado del territorio antropizzato e dell’ambiente naturale, all’inadeguatezza del patrimonio ricettivo e pararicettivo, ai lunghi tempi di percorrenza per lo scarso raccordo tra reti di grande comunicazione (spesso obsolete e da adeguare) e località turistiche, alle carenze nei servizi urbani e di assistenza all’impresa.

Al di là dell’enfasi, occorre valutare l’incidenza effettiva delle iniziative in corso. Molte recenti esperienze, come quelle di Napoli e di Palermo per la riqualificazione urbana, forniscono indicazioni utili sia per i contenuti che per il metodo eseguito. L’interesse delle amministrazioni locali verso strumenti come  i “patti territoriali” , le leggi per l’occupazione giovanile, i “prestiti d’onore” i  “lavori socialmente utili”, ecc. è certamente positivo. Si è esaltata la vitalità di questi enti locali che hanno saputo affrontare con le più diverse iniziative  le nuove domande, beautification di  porti centrali delle città attraverso progetti di recupero o anche solo arredi, istituzione di parchi ed aree verdi, musei locali, via via, fino alle celebrazioni e alle feste. Ma non basta. La diffusione del turismo nel Mezzogiorno richiede uno sforzo, maggiore e continuo, per la riconversione e la valorizzazione del tessuto connettivo di gran parte della città (dalle maggiori a quelle minori, in cui l’espansione recente ha fatto perdere il valore dei connotati originari), dei paesaggi agrari e dei grandi parchi.

In particolare, il cattivo uso che è stato fatto delle risorse territoriali negli ultimi decenni ha lasciato un segno spesso irreversibile nelle aree più direttamente toccate dalle trasformazioni. L’originario margine agricolo-naturale delle città e dei paesi è scomparso per espansioni urbane indifferenziate (spesso, ma non solo, abusive), per infrastrutture varie poco consone all’ambiente, per abbandono delle colture agricole locali; i paesaggi del “mare” sono stati deturpati laddove sono proliferate le lottizzazioni turistiche (quasi sempre di seconde case);  in molte spiagge l’inquinamento limita la balneazione.  Il giudizio negativo può riferirsi anche a numerose aree montane e collinari. Al di là del quadro normativo di indirizzo urbanistico ambientale (sull’istituzione dei parchi, sulla formazione dei piani paesistici, sui piani di bacino, ecc.) , non sembra che ci siano stati messi a punto strumenti operativi adeguati per determinare inversioni di tendenza nel settore:  ci sono forti ritardi e inadempienze nel processo di pianificazione territoriale, poco attento alle esigenze di innovazione turistica e dall’atteggiamento di molte amministrazioni pubbliche e operatori meridionali  non emerge una cultura progettuale che, coniugando correttamente conservazione con trasformazione ed uso, sappia rilanciare uno sviluppo turistico “compatibile”, anche per “entrare in dialogo” con le direttive europee e avvalersi dei relativi finanziamenti.

Alla domanda turistica, divenuta più esigente  e matura, occorre offrire una gamma sempre più vasta di servizi, simili a quelle esistenti nelle aree di provenienza degli utenti. Nella fase iniziale “pioneristica” quest’assenza non ha costituito un freno al flusso turistico verso il Mezzogiorno in quanto la natura  intatta e selvaggia, la ricerca dell’inconsueto  in contrapposizione ai luoghi tradizionali di vacanza, dove tutto è già prevedibile  e organizzato, pur nell’assenza di alcuni servizi, rappresentavano elementi di attrazione per determinati gruppi sociali. D’altronde, una parte considerevole dell’utenza era costituita  da meridionali che vivevano nel nord.

In relazione del sistema autostradale, il potenziamento di alcuni nodi di scambio (come gli aeroporti), il raddoppio della ferrovia Salerno-Reggio Calabria hanno garantito, in una prima fase, un minimo di concorrenzialità al sistema turistico meridionale: hanno d’altra parte favorito un processo di concentrazione nelle località facilmente accessibili. Anche se debole, la rete viaria secondaria (che connette tra loro i centri urbani principali, ai “centri antichi” e alle “città contadine”) ha costituito la trama su cui è stato sfruttato l’assetto insediativo meridionale.

Oggi, tale sistema appare inadeguato. Arterie, come gli assi autostradali, sono insufficienti (basta pensare all’Autostrada  Salerno-Reggio Calabria, al ritardo con cui si sta realizzando la Messina-Palermo). I tempi di percorrenza ferroviaria tra Napoli e Palermo non sono più competitivi rispetto a quelli del resto della rete; il sistema aeroportuale è condizionato da una scarsa attenzione al comfort e alla diffusione  dell’accessibilità locale e lo stesso avviene il sistema di approdo, ormai numerosi, ma poco attrezzati.

Oramai non  si tratta di modificare sostanzialmente la rete, ma di trasformarla per renderla funzionale ad un’utenza che non chiede solo “velocità” maggiore, ma comfort.

I centri urbani meridionali infine, non forniscono  adeguato supporto alla struttura ricettiva, né riescono a rappresentare, come impongono le “chiavi” del turismo moderno. Non offrono, cioè adeguate risorse per predisporre una nuova offerta integrata per scambi culturali e/o commerciali.  Le stesse risorse storiche-culturali risultano distaccate, se non contrapposte, ai contesti urbani (chi ha il piacere di sostare, oggi, in città ove sono presenti musei e reperti importanti ma che sembrano “voltare le spalle” ai visitatori)?

Per la crescita  della domanda, tali risorse costituiscono la necessaria integrazione della ricettività di base (si pensi alle attrezzature culturali, ricreative, sportive e, non ultimo, commerciali). Dal punto di vista della riorganizzazione dell’offerta i centri urbani dovrebbero svolgere un ruolo importante: l’introduzione di nuove tecnologie informatiche e telematiche nella gestione turistica (basta pensare alle agenzie, ai servizi di informazione, ma anche  ai servizi comuni per l’ hotellerie) comporta l’integrazione con quel terziario  urbano avanzato, sul quale si sta giuocando larga parte del rinnovo della struttura produttiva.

Tra le “parole chiavi” che ricorrono nel recente dibattito (e negli stessi dettati della cosiddetta “Bassanini”) vi è la “sussidiarietà” fra i diversi livelli di governo;   per suo tramite si consentirebbe la crescita graduale, ma libera, di nuove relazioni fra centro e periferia e si favorirebbe la trasformazione in termini di servizio, delle strutture tecniche su cui si era basato l’intervento sul Mezzogiorno.

E’ passato, come si può ritenere, il tempo delle impostazioni rigide del rapporto tra pubblico e privato: si dovrebbe ragionare insieme per dare un nuovo senso alle diverse situazioni che esigono un coordinamento senza paralizzarne ulteriormente la funzionalità.

Le Regioni, gli Enti del Mezzogiorno non hanno bisogno d’assistenza, dovrebbero però utilizzare, volendolo, le strutture tecniche di supporto riorganizzate e quindi di nuovo funzionali, evitando rischi di imperizia, approcci superficiali, spese inutili e duplicazioni.

Sarebbe un modo per favorire dal basso la riconnessione Stato-Regioni-Enti locali per quegli aspetti di cui necessita il coordinamento.

Tutto ciò dovrebbe sottendere all’obiettivo  di far riconsiderare, anche se non a negare, il paradigma stesso del “mercato” come regolatore degli interessi degli operatori: obiettivo che, se assunto come codice del rapporto  fra pubblico e privato, nel medio e lungo periodo potrà comportare benefici al sistema turistico meridionale e allo stesso albergo.

di Giuseppe Imbesi

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