Turismo verde: dall’agricoltura all’impresa

Il settore agriturismo, affacciatosi timidamente in Italia verso gli anni ’80, soprattutto per l’influsso delle esperienze provenienti dai paesi confinanti ove era più marcato il profilo di tutela ambientale, è divenuto un segmento trainante dell’offerta turistica con un sviluppo costante nel tempo e si è diffuso dalla originaria localizzazione nelle regioni del nord a tutto il turismo nazionale.

Nel 1985 si sentì il bisogno, con la legge 730, di tracciare delle linee che hanno condotto il settore all’attuale giro d’affari di oltre mille miliardi. Tutte le regioni si sono ispirate alle linee indicate dalla legge 730 per cui si può affermare che l’agriturismo ha goduto di una certa omogeneità legislativa che ha sicuramente favorito la chiarezza del mercato ed il progressivo sviluppo della domanda: oggi, secondo i dati elaborati dal consorzio ANAGRITUR, le aziende attive sono circa 10.000 sulle altre 16.000 che si sono iscritte negli elenchi regionali.
La maggior concentrazione di aziende si rileva nel Trentino, ove tra l’altro si registra la coincidenza tra le 2.903 aziende iscritte e quelle effettivamente operanti sul territorio. Seguono, con qualche differenza tra i due dati,la Toscana con oltre 1.500 aziende attive, le Marche, la Lombardia, la Puglia, mentre il fanalino di coda sarebbe la Val d’Aosta di poco preceduta dalla Basilicata. Per queste ultime regioni va ovviamente considerata la ristrettezza degli ambiti territoriali rispetto alle altre per cui si può affermare che le regioni presentano un notevole indice di presenza di strutture agrituristiche sul territorio. I posti letto offerti sono oltre 110.000 e hanno fatto registrare, globalmente, 14 milioni di giornate di presenza.

Si tratta di un’attività ancora molto concentrata al centro-nord che tuttavia riceve estremo interesse da tutte le regioni, anche perchè, nel corso del tempo, il turismo rurale o turismo verde, come è variamente definito, trova un riscontro sempre maggiore in fasce molto ampie di utenza sempre più propensa a rapportarsi con la natura e con l’ambiente.
Sotto il profilo economico ed occupazionale, le analisi dell’AGRITURIST hanno fatto registrare una crescita media de 6-8% annuo, negli ultimi anni, con una previsione di 250.000 posti di lavoro nei prossimi cinque anni, in un settore che oggi impiega circa 40.000 persone. Questa previsione di sviluppo ipotizza l’incremento del numero e della ricettività delle aziende agrituristi – che, la fornitura di servizi a più alto valore aggiunto, la ristorazione, il turismo equestre, e tutte le altre possibilità offerte dalle connessioni agriturismo/artigianato ed agriturismo/cultura, per non parlare di quelle già rese possibili oggi dai provvedimenti sulle “strade del vino”.

L’agriturismo va tenuto in considerazione anche perchè, lungi dall’essere riservato, come potrebbe sembrare, ai flussi italiani, si alimenta per un buon 25% anche di flussi stranieri e, se venisse adeguatamente ordinato, potrebbe sviluppare ulteriormente questa componente con intuibili vantaggi di carattere economico.
Recentemente in alcune nuove norme in materia troviamo elementi che confortano l’ipotesi di un ulteriore sviluppo. Quali erano, infatti, gli aspetti, per così dire, frenanti del sistema: la stretta ed obbligatoria connessione tra l’imprenditore agrituristico e l’imprenditore agricolo, la identificazione, voluta dalla legge 730, del 1985, e ripetuta nelle leggi regionali, tra la figura del coltivatore diretto e quella dell’imprenditore agrituristico.
Tale identificazione, mirata da un lato a tutelare il settore agricolo, evitando che l’azienda venisse trasformata completamente in una struttura ricettiva, e dall’altro, probabilmente, volta a proteggere il sistema ricettivo tradizionale che nell’agriturismo vedeva un fertium genus destabilizzante, rendeva fragile il sistema agrituristico e ne bloccava l’ulteriore espansione.

La stretta correlazione agricoltore agriturista poneva poi problemi fiscali che contribuivano a rendere poco chiaro il mercato.

Oggi tutto questo muta profondamente per effetto del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, concernente “Orientamento e modernizzazione del settore agricolo”. Le nuove norme, in vigore dal 1 luglio, modificano la figura di operatore agricolo contenuto nell’articolo 2135 del Codice civile.
Secondo il nuovo articolo 2135, infatti, “ù imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse”.
La chiave di volta della nuova concezione è nel IV comma dell’articolo che qualifica come connesse “le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione ,commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione fondo…..nonchè le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di…..ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Un’ulteriore chiave che ampia la figura dell’imprenditore agrituristico è il successivo quarto comma dell’articolo 2135: “si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi quando utilizzano….prevalentemente prodotti dei soci”.
E’ di tutta evidenza la configurazione più moderna e dinamica conferita all’imprenditore agricolo che può svolgere, per espresso dettato legislativo, attività di ricezione ed ospitalità e che tale attività può, essere realizzata anche attraverso cooperative e consorzi. Siamo molto lontani dalla previsione del 1985 e si può ,quindi, ipotizzare un notevole impulso all’ingresso di nuove imprese nel campo agrituristico.

Gli ulteriori articoli del decreto legislativo 228, intervengono a precisare – in particolare l’articolo 3 – quali siano le attività agrituristiche possibili, facendole definitivamente uscire dal limbo dell’incertezza in cui erano confinate. La norma afferma infatti, che rientrano tra le attività agrituristiche di cui alla legge 730 del 1985, ancorché svolte all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa (mozione molto interessante ed utile perchè consente all’operatore di utilizzare spazi di commercializzazione più idonei rispetto a quelli possibili presso la casa colonica), l’organizzazione di attività ricreative, culturali e didattiche,di pratica sportiva, escursionistiche e di ippoturismo, finalizzate ad una migliore fruizione e conoscenza del territorio, nonché la degustazione di prodotti aziendali compresa la mescita del vino. Viene quindi, notevolmente estesa la sfera d’attività possibile da parte dell’operatore agrituristico e vengono arricchite le motivazioni del soggiorno presso l’azienda che potrà offrire ai suoi clienti i servizi di una vacanza veramente completa ed appagante.

Il successivo II comma provvede ad integrare l’aspetto del personale addetto che, secondo la precedente normativa, era limitato alla famiglia dell’imprenditore e che oggi viene invece esteso ai lavoratori dipendenti a tempo indeterminato. Ne consegue che l’imprenditore agrituristico potrà assumere personale per utilizzarlo in modo specifico allo sviluppo dell’offerta turistica, rendendo possibile l’avverarsi della proiezione relativa alla crescita dei lavoratori del settore e contribuendo quindi a far rimanere sul territorio rurale quei giovani che oggi sono spinti ad abbandonare la campagna per essere impiegati o nelle fabbriche o negli uffici.
Considerato anche il fattore climatico di cui gode l’Italia. Si può affermare che con questa riforma si è creata una nuova spinta alla destagionalizzazione ed una notevole motivazione per l’incremento dei flussi nazionali ed internazionali, flussi che alimenteranno i consumi di prodotti agricoli e dell’artigianato, sviluppando ulteriormente il turismo verde e l’economia italiana.

Le nuove norme rendono quindi immediatamente obsolete le leggi regionali in materia, anche perchè ulteriori profili sull’attività agrituristica, con particolare riferimento allo sviluppo dell’agricoltura biologica e di qualità, erano stati disciplinati dalla legge n. 488 del 23 dicembre 1999, successivamente ripresa, per quanto attiene alla promozione e sviluppo delle aziende agricole e zootecniche biologiche, dalla legge 23 dicembre 2000,n.388. Questi provvedimenti hanno reso più palpabile il connubio tra l’agriturismo e le produzioni biologiche, ampliando notevolmente la sfera d’azione dell’operatore che, in precedenza, veniva ad identificarsi esclusivamente con la figura di coltivatore diretto.
Va riconosciuto, comunque, che in questo campo le Regioni hanno fatto un buon lavoro nel tempo: tutti gli enti locali hanno in fatti legiferato, prima fra tutti la Val d’Aosta che è intervenuta sin dal 1983, in epoca precedente alla normativa statale che è del 1985; da ultimo registriamo, il 28 ottobre 1999, l’intervento della regione Marche che, peraltro, modifica una precedente legge del 1987.

Le Regioni hanno quindi dimostrato un notevole attivismo nella disciplina di questo settore affidato alla competenza degli Assessorati all’agricoltura; sono state anche lungimiranti perchè hanno in realtà consentito, in gran parte, quelle nuove attività che oggi l’art. 2135 Codice Civile espressamente oggi ammette ed anzi configura con notevole elasticità, per cui forse gli enti locali potranno sistemare il quadro normativo con pochi aggiustamenti, probabilmente utilizzando lo strumento amministrativo piuttosto che la riscrittura legislativa del sistema agrituristico già ben tracciato.

di Antonio Sereno

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