Specializzare L’offerta – Stimolare la Competizione

Verso il mercato globale

Segmentazione della domanda  e adeguamento  del  ricettivo.

Piccole imprese e grandi catene: un rapporto equilibrato per far crescere la competitività del sistema offerta.

Presenze turistiche e redditività delle aziende: quali obiettivi di crescita?

Sempre più frequentemente accade di sentire operatori turistici che parlano di segmentazione della domanda e qualche esperto scrive addirittura di “turismi” usando un termine che è certamente suggestivo, anche se può essere fuorviante. Molto meno si parla, però, di segmentazione dal lato dell’offerta,  che pure dovrebbe essere l’altra faccia della stessa medaglia, in un mercato in cui l’agire imprenditoriale fosse realmente improntato a strategie di MKTG,

Così, se nel campo dell’intermediazione la maggior parte dei Tour Operators sono specializzati su prodotti/destinazionee solo alcunisi caratterizzano in base ai target di clientela con appropriati marketing mix, nel campo dell’industria alberghiera la specializzazione è assai rara e la segmentazione dell’offerta è collegata quasi esclusivamente alla classificazione a stelle (quanto vaga, in Italia, sappiano tutti!). Differenziare i prodotti e il servizio di ospitalità sulla base delle diverse motivazioni e modalità di consumo, è invece la strada da intraprendere velocemente se si vuole migliorare la competitività della nostra economia turistica e, nello stesso tempo, ampliare ed estendere l’attività oltre gli ambiti delle tipologie localmente consolidate e dei prodotti di concentrazione stagionale.

Non ha senso cullarsi sulle stime secondo cui la domanda globale crescerà vivacemente almeno per i prossimi cinquant’anni, ritenendo che si potrà sempre trovare uno sbocco per la propria offerta, manovrando su alcuni elementi di marketing-mix e trascurando uno di essi, il prodotto: se la domanda internazionale evolve – non solo nella sua dinamica quantitativa – occorre adeguare i prodotti, differenziare l’offerta complessiva, specializzare il servizio.

Ora, dal punto di vista strutturale l’offerta italiana è ancora molto omogenea, forse troppo omogenea:  gestioni familiari e imprenditoria specializzata hanno fatto miracoli, puntando  soprattutto  sulla personalizzazione del  servizio che certamente rappresenta ancora uno dei punti di forza dell’incoming Italia;  ma gli scenari del futuro prossimo richiedono una maggiore articolazione dell’offerta, come già avviene nelle grandi aree di destinazione, pensiamo alla Francia e non  solo alla Francia.

Da questo punto di vista, l’insufficiente diffusione delle catene alberghiere nel nostro paese costituisce certamente  un punto di debolezza su cui occorrerebbe riflettere più di quanto non si discuta. E invece si discute molto e si riflette poco.

Vi sono alcuni elementi, ad esempio, come la costanza del rapporto  qualità/prezzo nel corso delle stagioni e soprattutto in differenti  e molteplici località, che difficilmente possono essere assicurate dagli alberghi tradizionali o dalle piccole aziende indipendenti,  anche se collegate in catene volontarie. E si tratta di elementi  che rispondono alle esigenze di un ampio segmento di clientela, soprattutto internazionale: gente che viaggia per lavoro, turisti abitudinari, ma anche una larga fascia del segmento giovanile che predilige una ricettività standardizzata, sebbene spartana e a buon mercato.

Questa clientela trova un’offerta adeguata per lo più nelle catene alberghiere, ma in Italia le catene pesano solo il 2,5% nel complesso del  sistema  ricettivo, una presenza modesta – se si tiene conto dell’articolazione e della complessità della domanda – e attualmente concentrata nei segmenti medio, medio-alti, ove peraltro raggiunge significativi shares dell’offerta.

Occorre quindi comprendere che tra l’offerta tradizionale e l’offerta delle catene alberghiere non esiste contraddizione o contrasto ma complementarietà, se si realizza un rapporto equilibrato nel sistema di ospitalità.  Nel nostro paese questo rapporto equilibrato non esiste, anche perché le grandi catene italiane hanno avuto uno scarso sviluppo all’estero e ciò non ha permesso la creazione di efficaci modelli di riferimento della nostra ospitalità Probabilmente le catene italiane hanno sbagliato – o sono state “costrette” a sbagliare –privilegiando all’estero le acquisizioni immobiliari che comportano forti immobilizzi finanziari, invece di proporsi come gestori, esportando e affermando il proprio know-how che pure era cdi grande valore.

Dall’altra parte, non si è assistito sinora nemmeno a un fenomeno diffuso di  ingresso in Italia delle catene straniere, che non è certo un fatto da demonizzare se si accetta la logica del mercato globale, dove le imprese si internazionalizzano attraverso le leggi di libero mercato con l’adozione di contratti di management o con formule associative come il franchiising.

Ma occorre dire che, per quanto riguarda la scarsa presenza  in Italia delle grandi catene internazionali, le barriere d’accesso sono “dentro” il mercato, non attengono alla struttura del nostro sistema di offerta – a parte qualche opposizione corporativa – ma derivano dalla eccessiva lentezza dei processi autorizzativi, dalla impossibilità di gestire il personale con criteri di efficienza per la rigidità delle funzioni  – solo da poco attenuata dal nuovo contratto collettivo – e da un costo del lavoro che permane troppo alto e che talvolta è aggirato con danno per gli stessi lavoratori e con effetti negativi sulla professionalità del servizio.

Vi sono, cioè, grandi problemi di gestione, laddove, il risultato gestionale costituisce per le catene un’area di massima importanza. Quasi sempre per gli alberghi tradizionali non vi è l’articolazione e il bilanciamento degli interessi imprenditoriali tra il gestore e l’investitore immobiliare mentre, nel  “sistema” delle catene alberghiere, molto spesso l’investitore e il gestore sono separati e hanno la loro profittabilità se i diritti di gestione sono alti e se l’esercizio ha una buona redditività: ciò impone al gestore una maggiore apertura all’aggiornamento continuo e alla specializzazione, per la remunerazione del capitale investito da un lato, e delknow.how dall’altro.

Del resto, nel settore alberghiero non vi è solo un problema di segmentazione tipologica dell’offerta, ma anche di sub-segmentazione : camere per non fumatori, spazi polifunzionali, ambienti per donne, sistemazioni adatte a chi viaggia per lavoro e che userà poco o nulla il telefono sul comodino ma certamente avrà bisogno di un apparecchio fax o di un modem in camera.

Sono solo alcuni esempi di specializzazioni e che possono essere realizzate all’interno di uno stesso complesso alberghiero e certamente se ne potrebbero elencare molte altre. Ciò che conta è rilevare le maggiori difficoltà o forse la minore propensione  degli alberghi tradizionali – a differenza delle catene – nel differenziare le cellule abitative o nel creare ambienti flessibili a fruizione alternata.

E, da questo punto di vista, la diffusione delle catene può rappresentare anche un forte stimolo all’innovazione per le altre imprese ricettive, tale da elevare la dinamica competitiva dell’intero sistema di offerta. Che è poi uno dei fattori che indeboliscono  complessivamente l’attrattività turistica del nostro paese, peraltro tanto ricco di bellezze naturali e  di beni culturali, certo da tutelare meglio e da valorizzare adeguatamente.

Generalmente, nelle analisi economiche relative al turismo, si fa riferimento ai dati degli arrivi e delle presenze, trascurando altri indicatori più significativi, come la spesa media dei turisti, il grado di occupazione delle stanze, i ricavi medi per camera occupata, la redditività reale  delle imprese: come se l’andamento dei bilanci aziendali fosse collegato solo all’entità del traffico e non alla qualità della domanda di consumo, all’efficienza del servizio reso e alla sua remunerazione. Ma da noi si preferisce contare le presenze, sperando magari che la lira resti sottovalutata per favorire l’incoming dall’estero dimenticando, tra l’altro, che la domanda interna offre maggiori margini di redditività;  al massimo, oltre al diagramma delle presenze e degli arrivi, si discute in termini di quote di mercato dell’offerta italiana rispetto all’evolvere della concorrenza internazionale.  Tutto ciò rappresenta un approccio alle analisi di settore che deve essere certamente aggiornato, ma questo è un problema che va ben oltre la responsabilità degli operatori, sia privati che pubblici.

In altri paesi vengono enfatizzati di meno i dati sui flussi turistici e si guarda con più attenzione alle ricadute economiche .  e così avviene pure a livello comunitario. Nel “Libro Verde della Commissione  delle Comunità Europee” presentato all’inizio di giugno, si legge che: l’arbitrato tra quantità (in particolare turismo di massa) e proficuità (in particolare, profitto atteso per il turista) è un problema fondamentale per  il futuro per il  turismo europeo.Al quale, piaccia o no, l’Italia deve restare agganciata , se si tiene conto che l’industria del turismo si svilupperà prevalentemente nelle aree avanzate,  come già  prevedeva D e Kadtnello studio del 1976 “Tourism: passport for development? finanziato dalla  Banca Mondiale.

A meno che non si voglia rifiutare la sfida della globalizzazione dei mercati e scegliere di giocare in “serie B” per fare concorrenza ai paesi meno attrezzati e alle nuove destinazioni emergenti.

Di Vittorio Tugnoli

Presidente della Federturismo/Confindustria

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