Nella Finanziaria ’96 l’ultima puntata sui Casinò
Durante l’iter di approvazione della Finanziaria è stato dibattuto – ancora una volta – il problema dei Casinò. Indubbiamente si trattava di una sede impropria per affrontare una questione delicata che richiede una normativa organica; in quella sede, peraltro (l’argomento è stato affrontato prevalentemente in termini di ordine pubblico con scarsa considerazione per le ricadute valutarie ed economiche direttamente ed indirettamente collegate con lo sviluppo delle attività turistiche).
Eppure non vi è dubbio che fra tavolo verde e attività turistiche vi sia una stretta connessione : spesso i Casinò sorgono nelle località con alta densità di offerta, così come l’apertura di una sala da gioco attribuisce ad una meta turistica un vantaggio rispetto ad altre concorrenti. E’ questo il motivo per cui si sono candidati ad avere un Casinò comuni come Grado, Lignano, Salice Terme, Rimini, Riccione, Spoleto, Anzio, Gaeta, Fiuggi, Capri e Sorrento, Francavilla e Giulianova, Alghero , Pugnochiuso, Tropea, Scalea, Pizzo Calabro, Camigliatello, Silano e Taormina.
Una lista così lunga dimostra che il problema esiste e che una decisione sulla opportunità e sulla convenienza di regolare la materia ed autorizzare l’apertura di nuove case da gioco, prima o poi, dovrà essere presa per evitare che si creino aspettative e frustrazioni o si alimentino valutazioni errate sulle possibilità di benefici di carattere turistico affidati, nell’incertezza, solo alla roulette della politica.
Dieci anni e più, pare non siano stati ritenuti sufficienti per regolamentare i Casinò, ritrovi autorizzati dalla legge, oggetto di lucrosa gabella dello Stato, dove si pratica il gioco d’azzardo nel quale tutto è affidato al caso, senza che vi influisca in alcun modo l’abilità del giocatore (dal punto di vista tassonomico esso si situa, stando a R. Coillois, in una delle quattro dimensioni del gioco: quella dell’alea, non rientrando dunque in alcuna delle altre tre: ilinx, mimos e agon).
Esattamente nel 1985, con sentenza n° 152, la Consulta intervenne sui profili di legittimità costituzionale riguardanti le case da gioco aperte nel nostro Paese, sottolineando, sia pur incidentalmente, come la situazione normativa venutasi a determinare a partire dal 1927 fosse contraddistinta da un massimo di disorganicità “sia per il tipo di interventi cui è condizionata l’apertura delle case, sia per la disparità dei criteri seguiti, sia infine per i modi diversi con i quali vengono utilizzati i proventi acquisiti nell’esercizio del gioco dei casinò”.
Da qui l’invito pressante rivolto dalla Corte al legislatore, per l’introduzione nell’ordinamento di una normativa organica atta a razionalizzare il settore precisando – oltre ai requisiti, alle modalità e alle condizioni dei provvedimenti autorizzativi – il ruolo delle regioni e degli enti locali, determinando tipi e criteri di conduzione delle case da gioco e, infine, realizzando una perequazione sugli utili di gestione.
Attualmente , è cosa nota, lo svolgimento del gioco d’azzardo è consentito solo in quattro località: a San Remo, a Campione d’Italia e Venezia previa autorizzazione accordata di volta in volta dal Ministero dell’Interno (ex R. D. L. n° 2448/1927) in deroga alle leggi vigenti, e a Saint Vincent con una procedura derivata (con dubbio titolo giuridico) da un decreto del presidente del Consiglio della Regione Valdostana.
Oltre a ciò, va ricordata la direttiva n° 75/368/CEEA, in ordine alla quale la legge comunitaria 1990, n° 428 ha fissato i criteri di delega occorsi successivamente per l’emanazione del Decreto legislativo n° 31 dell’anno seguente: direttiva che determina misure volte a favorire l’esercizio effettivo della libertà di stabilimento e della libera professione dei servizi, tra i quali rientrano anche quelli inerenti alle attività di gioco.
Il dibattito su se equalmente disciplinare le case da gioco è stato avviato in sede parlamentare da più di una legislatura: per quella in corso se ne sta occupando la Commissione Attività produttive della Camera, alla quale sono state deferite circa trenta proposte di iniziativa di parlamentari appartenenti a quasi tutti i gruppi. Il che, come si vedrà, non è valso a scongiurare che della questione si dovesse discutere, con toni accesi se non appassionati, sia alla Camera sia al Senato, durante l’approvazione della manovra di finanza pubblica quasi che la voragine del deficit pubblico potesse significativamente colmarsi facendo affidamento sulla passione dei cittadini contribuenti a risolvere i propri problemi ricorrendo alla Dea bendata.
Alla fine non se ne farà nulla ed è più che lecito dubitare che in questa legislatura si cerca – in un modo o nell’altro – a raccogliere l’invito della Corte costituzionale e a fare chiarezza sulle case da gioco.
Alla Camera, dai progetti di legge presentati emergono due distinti orientamenti. Un primo gruppo di proposte di legge muove dall’esigenza di adottare una legge quadro in materia, con l’individuazione di criteri e parametri per l’apertura e la localizzazione di strutture ludiche, ovvero di modificarne la disciplina fiscale o di regolamentare la professione degli impiegati tecnici attraverso l’istituzione di apposito albo o di prevedere uno specifico stato giuridico ed economico dei lavoratori addetti alle case da gioco.
Un secondo gruppo di disegni di legge (la maggioranza) tiene dietro alla logica dell’istituzione di singole case da gioco in questa o in quell’altra località.
Oltre al dichiarato intento di regolamentare la materia, che nascerebbe dall’esigenza di trasparenza e di moralizzazione del gioco d’azzardo (fenomeno largamente diffuso in tutti gli stati sociali del Paese), i supporter di una normazione in positivo, adducono anche giustificazioni di natura economica e sociale, da ricercare in più direzioni:
- eliminazione delle disparità esistenti tra il nostro Paese e quelli confinanti. In Europa le case da gioco ammonterebbero a tre/quattrocento e molte di queste per la loro ubicazione sono facilmente raggiungibili dai nostri connazionali. Stando a stime attendibili l’Italia si colloca tra i primi Paesi del mondo quanto ad export di turisti/giocatori, e conseguentemente di valuta;
- creazione di strutture promozionali per il turismo internazionale. Non a caso si propone l’istituzione di case da gioco in località a consolidata vocazione di accoglienza:
- esistenza di una diffusa attività di gioco clandestino che favorirebbe , tra l’altro, l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro sporco:
- concorso al rilancio dei comuni termali, che acquisirebbero un’attrattiva ulteriore in seguito all’apertura di sale da gioco nelle località ove vi sono stabilimenti terapeutici.
Chi si è pronunciato (segnatamente i rappresentanti del Governo) contro l’apertura di altre case da gioco ha motivato il proprio dissenso basandolo su due ordini di considerazioni. La proliferazione dei Casinò determina l’incremento del riciclaggio o il reinvestimento di proventi illeciti, l’impatto ambientale delle case da gioco incide negativamente sull’equilibrio economico e sociale del sistema famiglie.
Nelle more delle decisioni della Commissione Attività Produttive, quindi, nella seduta del 19 dicembre in sede di approvazione del provvedimento di razionalizzazione della finanza pubblica, collegati ai due rituali documenti di bilancio, la Camera si è trovata a dover deliberare su un subemendamento presentato dall’On. Scalisi, inteso a delegare il Governo a regolamentare con decreto legislativo il gioco d’azzardo (analogo emendamento era già stato respinto dall’altro ramo del Parlamento).
Questi gli argomenti addotti, a sostegno: se siamo in uno Stato di diritto, o si disciplina il settore o si chiudono le quattro case tuttavia operanti sul territorio nazionale, dacché fuori legge. Inoltre, la possibilità che la criminalità organizzata utilizzi i Casinò per riciclare proventi illeciti è falso, sofisticati congegni elettronici lo impediscono.
L’apertura di case da gioco , al contrario, costituirebbe uno scacco all’usura, che trova terreno fertile laddove prospera il gioco nero.
Se ciò non bastasse, ecco l’equazione, più case più occupazione. E’ per dirla tutta, la morale comune, respinge tutti gli eccessi, non certo l’attività ludica.
Ma viene da pensare a ciò che sospettava HeywoodBroun: il desiderio di giocare d’azzardo è così universale e la sua pratica così gradevole che presumo si tratti di un male.
Dopo questa perorazione (terminata tra gli applausi , come annota diligentemente lo stenografo di Montecitorio) sono scesi nell’agone dialettico contrari e favorevoli, mentre non sono mancati i perplessi. E’ proprio questi ultimi, nell’atto di annunciare la propria astensione dal voto, si sono chiesti se fosse ortodosso percorrere la strada del decreto legislativo per modificare il codice di procedura penale, se l’argomento fosse da trattare nella legge finanziaria ; quale fosse l’avviso della Commissione Antimafia: se non convenisse tradurre il subemendamento in un ordine per non vanificare il lavoro portato avanti dalla Commissione attività produttive, impegnando l’Esecutivo a prendere una posizione chiara e propositiva sull’intera questione.
I parlamentari che si sono espressi favorevolmente sull’emendamento, hanno motivato il loro assenso ribadendo o asserendo che l’apertura delle case da gioco costituisce pur sempre un incentivo economico /occupazionale; che queste andrebbero autorizzate quanto meno negli aeroporti internazionali per i passeggeri muniti di biglietto; che, se si invoca l’Antimafia, coerenza impone che vengano chiusi nelle zone infestate dalla malavita organizzata tutti gli sportelli bancari, che l’esercizio condotto legalmente è da preferirsi alla bisca clandestina; che necessita rompere l’assedio delle case da gioco dei Paesi limitrofi, così riducendosi l’esportazione di valuta; che al servizio cassa basta applicare la normativa vigente in materia bancaria e creditizia.
Consistenti le voci levate in dissenso. E’ una cosa di (cattiva) immagine: l’esperienza dimostrerebbe che le ricadute negative prevarrebbero su quelle positive; per troppa fretta si corre il rischio di disciplinare malamente la materia; intorno alle nuove strutture si riverserebbe tutta la malavita locale; si faccia prima l’albo nazionale dei gestori.
Finale di partita o, più esattamente della votazione: contrario il Governo; l’emendamento sulle case da gioco è stato respinto con 266 voti contrari, 204 favorevoli e 31 astenuti. La patata bollente torna alla sede (naturale) della Commissione di merito.
Di Bruno Nobile