Siamo tutti molto bravi a parlare di porti. E’ molto facile dimostrare che servono nuovi porti così come è altrettanto facile dare delle motivazioni per creare nuovi posti barca, per incrementare il turismo nautico oltre al traffico commerciale.
Il trasporto marittimo assume un notevole rilievo data la particolare configurazione geografica del territorio che presenta oltre 7.000 km. di coste e svolge un ruolo determinante per quanto riguarda gli scambi con l’estero: tale modalità di trasporto copre infatti circa il 69% del totale della merce movimentata nel commercio internazionale. Tuttavia, il posto occupato da questa modalità nell’ambito del sistema italiano dei trasporti non può ancora ritenersi soddisfacente, per una serie di ragioni che tuttora ne limitano il pieno sviluppo.
Sul trasporto marittimo ha pesato l’inefficienza dei porti, soggetti a competenze spesso interferenti e regolati per molto tempo da una normativa in gran parte superata. La riduzione dei canoni demaniali e ancor di più la possibilità che anche per i porti turistici venga adottato il regime Iva delle imprese turistiche, sarà una nuova spinta per gli imprenditori per scegliere nuove iniziative.
Ma esiste un problema di rappresentazione: chi parla per chi? Ci sono delle associazioni legate a porti turistici che però hanno un carattere troppo specifico, ancorato alla gestione e costruzione. Troppo spesso troppo lontano da un ampio progetto unitario che possa accontentare tutti.
Il processo di integrazione europea avviato dal Trattato di Mastricht ha ovviamente coinvolto anche il settore del trasporto marittimo. Il regolamento dell’Unione Europea che abbatterà prossimamente la tradizionale quota del traffico di cabotaggio riservata a navi battenti bandiera nazionale ha imposto agli armatori italiani una sfida di efficienza e qualità nel trasporto di merci e persone, e anche nel campo della nautica da di porto e della crocieristica.
In quest’ottica è da inquadrarsi la legge di riordino della materia portuale del 28 gennaio 1994 che istituisce in 19 parti la figura della Autorità Portuale per la gestione e il controllo dei grandi porti di interesse nazionale. Questa istituzione ha lo scopo di provvedere, in un’ottica di decentramento amministrativo a livello locale, agli aspetti di organizzazione e di manutenzione delle infrastrutture portuali.
E cosa dire delle coste del sud della penisola? E’ difficile dubitare sull’importanza che lo sviluppo del turismo marittimo potrebbe avere per il Meridione e la Sicilia. Eppure, sotto gli occhi di tutti, rimane il notevole empasse in cui versa il settore. Tutto si è detto, ma anche il suo contrario, sull’argomento. Un argomento che risulta difficile, al pari di tante altre realtà nelle quali i problemi tecnici si accompagnano a quelli economici, politici ed umani, in un contesto sociale che è il risultato di mille esperienze passate, in un’area geografica dove mille popoli si sono alternati nel corso del tempo e delle sedimentazioni culturali.
A posteriori, quando si parla di mancanza di porti turistici nel sud si addita la mancanza d’imprenditorialità. Ciò, che potrebbe essere verosimile, costituisce solo un luogo comune tutto da verificare perchè, quando ad esempio in provincia di Palermo, di Catania, di Siracusa, di Trapani o di Agrigento, sono stati più volte predisposti progetti e reperiti i fondi per finanziarli da parte di imprenditori intraprendenti, questi ultimi hanno avuto modo di pentirsene, rimettendoci anche le spese progettuali.
Queste premesse appaiono necessarie perchè riteniamo che l’unico modo di ragionare sul problema dei porti sia quello di procedere per “flash” successivi. Bisogna però tenere presente che lo spostarsi di pochissimi chilometri, a volte di poche centinaia di metri, nella nostra frastagliatissima realtà, fa mutare i presupposti logici e logistici del discorso.
Lungo le coste italiane, la legge è “disuguale per tutti”. Ogni Capitaneria di porto emette la propria ordinanza ed, in conseguenza del fatto che la costa ed il mare differiscono di luogo in luogo, ognuna di esse può differire anche notevolmente dall’altra. Enorme è il potere che, di diritto e di fatto, le Capitanerie esercitano con una libertà così piena che, talvolta, degenera nell’arbitrio. L’eccessiva “prudenza” nel non cedere i permessi, da parte delle Capitanerie è uno dei massimi ostacoli che si sono frapposti fra la necessità e la volontà di costruire porti ed approdi turistici.
Le Istituzioni pubbliche, le Capitanerie, hanno opposto veti ufficiali, imbastito resistenze passive, basate prevalentemente su silenzi e mancate rispetto entro, ed oltre, il reato di omissione d’atti di ufficio. Altri soggetti interessati hanno provato allora a sollecitare inviando lettere di protesta, ottenendo l’unico risultato di vedere tutto bloccato.
Esistono poi opposte opinioni, che contrastano la nascita dei porti: i verdi li ritengono lesivi della tutela del paesaggio e gli ecologisti li giudicano inquinanti, i pessimisti li giudicano antieconomici, gli ottimisti troppo lucrosi e fonte di facili guadagni.
C’è chi ritiene poi indispensabile la presenza dello Stato in questo settore, e che sostiene invece che lo stato debba solo concedere e controllare, rimanendo quanto più possibile fuori dalla gestione.
Altri vedono di buon occhio la presenza delle cooperative e delle associazioni no profit ed altri, al contrario, accusano le realtà no profit di essere una pura ipocrisia, un inganno allo stato, al fisco e alla stessa morale, ritenendo che di “pofit” deve trattarsi, come per ogni altra libera attività in campo turistico ed imprenditoriale. Dovrebbero , allora, essere “no profit” anche gli alberghi?
C’è chi sostiene che di porti turistici non ve ne sia quasi nessuno e chi sostiene che ve ne siano già troppi, chi sostiene che si possa risolvere il problema attrezzando l’esistente e chi sostiene che solo costruendo da zero dei veri porti turistici si possa battere la concorrenza straniera (che è fortissima).
C’è chi sostiene infine la necessità di costituire un’agenzia nazionale “per i porti turistici”, sotto la guida del Governo, e c’è chi sostiene al contrario che debbono moltiplicarsi le attuali associazioni regionali o di zona, collegandole con una associazione di secondo e più alto livello, che sia il risultato di un’opera “dal basso”, portata avanti dagli imprenditori del settore: gli unici in grado di conoscere la realtà di una problematica tanto nuova ed inedita, come quella del turismo nautico.
Non dimentichiamo che le normative in vigore non sono chiare, e che solo ,la “Legge quadro” afferma sommariamente che anche il turismo nautico è “turismo”. Tale assunto viene tutt’oggi negato e a volte dichiaratamente, altre velatamente, ignorato dalla Pubblica Amministrazione.
La salvezza può giungere, principalmente, per due strade: attraverso una sana imprenditorialità individuale, che già sta emergendo in questo settore, il quale si profila, finalmente, remunerativo in modo adeguato e, dall’altra parte, “coccolando” i turisti nautici che raggiungono le nostre coste in modo massiccio. Nel caso dei turisti nautici, nessuno dubita che abbiamo bisogno di loro, come di ogni altro turista.
La portualità turistica nel Lazio
L’analisi della situazione e dell’evoluzione della domanda di trasporto che interessa i porti del Lazio si inserisce in un quadro di grande dinamismo e potenzialità. Accanto ad indubbi elementi positivi, tale quadro presenta tuttavia più di una incertezza per ciò che riguarda il tipo e l’intensità della risposta che il sistema portuale laziale sarà in grado di fare agli impulsi derivanti da una situazione in rapida evoluzione, sia dal punto di vista istituzionale e organizzativo, sia con riferimento alle condizioni di competitività dei porti concorrenti.
L’attuale sistema portuale del Lazio è caratterizzato essenzialmente da tre poli di motivazioni:
• il polo di Civitavecchia:
• il polo Romano (Fiumicino-Anzio):
• il polo Pontino (Gaeta-Formia-Terracina).
Al polo Pontino possono essere riferite anche le strutture portuali delle isole di Ponza e Ventotene. Tutte le strutture laziali prestano servizio misto merci-passeggeri: tre sono gli scali adibiti al traffico di prodotti petroliferi: Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta. Il porto di Civitavecchia è di gran lunga l’infrastruttura chiave del sistema portuale, con i suoi 18 accosti per oltre 3.200 metri di banchine mentre tutte le altre strutture portuali sono dotate di un numero limitato di accosti per merci e passeggeri e anche la disponibilità di piazzali risulta assai limitata. Inoltre, per quanto riguarda l’attività crocieristica il porto di Civitavecchia diventerà, dopo il 2000, il primo porto in Italia anche per il numero dei passeggeri sbarcati, come rilevano le analisi previsionali elaborate dalla Società Cermar di Genova, che è l’Agente Generale della Carnival per il nostro paese. Ma, in grande sviluppo appare anche il litorale romano, dove peraltro si sta realizzando un modernissimo porto turistico: la localizzazione della struttura è particolarmente “strategica”: trovandosi nel territorio di Ostia, storica spiaggia di Roma, a soli 9 km. dall’aeroporto Internazionale di Roma – Fiumicino, si avvale della presenza di infrastrutture varie le quali assicurano una facile e veloce accessibilità da terra. Inoltre, la presenza di un consolidato centro a vocazione turistica garantisce la disponibilità di numerose strutture ricettive, oltre che un ricco patrimonio storico-archeologico – gli scavi di Ostia Antica sono a soli 2 chilometri – e un paesaggio naturale ricco di fascino.
di Raffaella Giaccheri