Trasporto aereo e deregulation
Il “pesce d’aprile” non c’è stato e, come previsto dalla normativa europea , la liberalizzazione del traffico aereo intra-comunitario è entrato in vigore il 1° aprile scorso.
Parallelamente, l’Aea – l’associazione che riunisce ventisei vettori europei, tra cui la stessa Alitalia – ha comunicato i risultati del traffico aereo per il periodo compreso tra il novembre del ’95 ed il novembre del ’96: gli incrementi più consistenti sono quelli registrati sulle rotte intercontinentali, con variazioni che vanno dal + 14,1% dell’area nordatlantica al + 13,6% dell’Estremo Oriente, mentre la crescita a livello europeo si aggira attorno all’8,4%, con un incremento di ben sei punti percentuali rispetto alle rilevazioni precedenti. Complessivamente, quindi, la crescita media del periodo si attesta attorno al 13%.
Un trend positivo che, se da un lato alimenta consistenti flussi di investimenti in un settore che il regime concorrenziale ha reso più interessante per l’iniziativa privata, dall’altro aggrava le difficoltà delle compagnie di bandiera, costrette a dismettere le abitudini monopolistiche per misurarsi con il libero mercato.
D’altra parte, la progressiva liberalizzazione dei principali mercati mondiali e la maggiore propensione alla mobilità indotta dalla adozione generalizzata di politiche lowcost-lowprice – bassi costi di gestione e, di conseguenza, tariffe più competitive – concorrono a tracciare i contorni di uno scenario assolutamente inedito. Per cui, mentre le previsioni di crescita giustificano le attese per un notevole incremento dei volumi di traffico lungo le rotte intercontinentali, l’ingresso di nuovi vettori privati – di dimensioni necessariamente più contenute ed orientati verso i mercati regionali e i target differenziati (affari, charter,lowprice) – fanno ragionevolmente prevedere un forte incremento sul breve-medio raggio.
A parte i ben noti disservizi prodotti dallo stato di agitazione pressoché perenne in cui versano gli addetti alle attività aeroportuali, la compagnia di bandiera è agonizzante e i nuovi vettori devono vedersela con una fase di avviamento in cui il traffico cresce proporzionalmente ai costi, mentre i ricavi si riducono progressivamente. In una fase così delicata, ancora in piena evoluzione, piuttosto che aggredire i mercati si cercano nuovi equilibri e ci si orienta verso accordi di cooperazione in grado di limitare gli effetti della concorrenza: meno impegnativi delle partecipazioni finanziarie, gli accordi commerciali rappresentano la strategia di penetrazione meno rischiosa e, quindi, anche la più frequente.
Era prevedibile, ad esempio, che dopo aver acquistato il 49% del pacchetto azionario della Sabena ed averne assunto la responsabilità gestionale, Swissair avrebbe evitato di ripetere l’esperienza. Tanto è vero che, nel caso di Azzurra Air – con chi ha stretto un accordo di tipo operativo per la tratta Torino-Zurigo – come in quello di Air One – entrato, con altri 14 vettori, nel programma “Qualiflyer” – l’aerolinea svizzera ha chiaramente mostrato di voler impostare in termini commerciali la propria strategia di accesso al nostro mercato nazionale. Ma le stesse considerazioni valgono anche per Lufthansa che, grazie alla collaborazione in corso con Air Dolomiti, ha recentemente potenziato il servizio sullo scalo pisano “Galileo Galilei”.
Questa più o meno frenetica ricerca di alleanze – che in regime di libero mercato durano finché i partners le trovano convenienti – conferma il forte peso assunto dalla clientela, con la quale i vettori sanno di dover giocare una partita a carte scoperte in cui, per vincere, non ci si può limitare a puntare sulla competitività delle tariffe. Perché, in presenza di un’offerta così ampia, la domanda non giudica solo con il metro della convenienza, ma si spinge a valutare la qualità e la varietà del servizio. Dal punto di vista dell’offerta, quindi, la spartizione del mercato si traduce in una sempre più spiccata tendenza alla specializzazione competitiva, mentre si moltiplicano i programmi di fidelizzazione della clientela. E’ accaduto così che anche uno degli ultimi settori in cui Alitalia sembrava non aver concorrenti, quello delle iniziative per i frequentflyers , si è andato affollando di programmi a premi per clienti abituali. A parte l’estensione del “ Lufthansa Miles s & More” ai passeggeri Air Dolomiti, ora anche Air One – che figura nel programma “Qualiflyer” in compagnia di un pool di vettori di prestigio internazionale come Swissair, Delta e Singapore Airlines – è in grado di offrire ai suoi clienti la possibilità di accumulare punteggio, volando indifferentemente sulle rotte nazionali ed internazionali.
E’ a proposito di specializzazione competitiva, Air One si è assicurata la gestione di tutte le attività di linea della Norman, che non ha retto alla concorrenza divenuta sempre più aggressiva,. Malgrado le proteste di Alitalia – definitivamente respinte dal TAR – l’intesa ha permesso di salvaguardare i 76 posti di lavoro prima di allora garantiti dalla Norman e, soprattutto , di sfruttare le potenzialità della compagnia in crisi, il passaggio ad Air One della ItalianTechnics – la controllata Norman operante nel settore della manutenzione – dei due DC-9/15 e dei quattordici slots su Milano-Linate, consentirà ad Air One di migliorare ulteriormente un bilancio che conta, in soli quindici mesi di attività, un milione di passeggeri trasportati e un fattore di carico del 41%. E se il previsto raddoppio del fatturato – il 1996 si era chiuso a quota 120 miliardi – troverà conferma in sede consuntiva, potrebbe prendere ulteriore consistenza anche l’ipotesi di una prossima quotazione in Borsa. Quanto alla strategia commerciale ed operativa, la compagnia opera ormai regolarmente 411 collegamenti nazionali e punta ora ad allargare ulteriormente il proprio raggio d’azione. Tra le prossime tappe figurano inoltre il potenziamento del settore charter – che dall’attuale 5% dovrebbe arrivare a coprire il 15% dell’attività globale – ed il raggiungimento degli scali europei più interessanti per quel traffico d’affari point to point che è poi l’obiettivo privilegiato della strategia commerciale di Air One.
La vocazione regionale è invece una caratteristica comune alla maggior parte delle new entries. Come gli Air in dotazione alla Air Dolomiti, anche i quadrireattori Avro RJ 85 della flotta Azzurra Air sono particolarmente adatti ad operare su scali a media densità abitativa e ad elevato densità industriale. Non a caso, pensando di sfruttare le potenzialità dei piccoli aeroporti per offrire un servizio adatto alla clientela d’affari, Azzurra Air ha scelto Bergamo-Orio Al Serio come base operativa e, per evitare il congestionamento dei grandi sistemi aeroportuali europei, ha preferito Ciampino al Leonardo Da Vinci e il London City airport al ben più distante ed affollato aeroporto di Gatwick.
Su scala esclusivamente nazionale operano infine i cinque Air della pur dinamica Air Sicilia ed i tre Danier 328 di Minerva Airlines. Nate dalla felice intuizione di due imprenditori del mezzogiorno, entrambe le compagnie hanno chiuso il ’96 con un fatturato di tutto rispetto: circa 16 miliardi per Air Sicilia e una novantina per Minerva Airlines.
Ma in questo scenario non manca chi accusa più di una difficoltà. A parte la Norman che non ce l’ha fatta, per Meridiana il risveglio dopo trentaquattro anni di placida convivenza con la compagnia di bandiera è stato traumatico. Con 1.175 dipendenti ed un costo del lavoro superiore di un 30-40% rispetto alla media, il fatturato era precipitato dai 512 miliardi del ’95 ai 480 del ’96. In queste condizioni, non c’erano che due alternative: ridurre le dimensioni della compagnia, potenziando il ruolo di Meridiana Express – la controllata lowcost creata per svolgere attività di supporto secondo criteri di economia e di flessibilità gestionale – o raggiungere un accordo con i sindacati di categoria. Dopo un lungo negoziato la proprietà è riuscita a far passare una proposta che prevede la messa in liquidazione di Meridiana Express, la riduzione del costo del lavoro e la dilatazione degli orari contrattuali in cambio di una partecipazione azionaria e di controllo da parte dei dipendenti della compagnia.
Molto simile a quella appena descritta è la situazione della compagnia di bandiera. Anche Alitalia oppone soluzioni analoghe a problemi analoghi, con l’aggravante che la riduzione dell’organico riguarda in questo caso0 18mila dipendenti e che il piano di ristrutturazione da 3mila miliardi presentato da Domenico Cempella non assicura una redditività tale da poter essere considerato un piano di rilancio.
Intanto, a parte un leggero ritocco a<i contratti degli assistenti di volo – che però incidono per non più del 3% sui costi di gestione – non c’è mossa decisa dalla dirigenza che non susciti le proteste dei concorrenti e le perplessità di Bruxelles. E’ Neil Kinnock, Commissario ai Trasporti dell’Unione Europea, dopo aver ripetutamente rinviato il verdetto in attesa di chiarimenti che non sono apparsi sufficienti, ha definitivamente negato la competitività del piano Alitalia con le norme comunitarie in materia di concorrenza.
In effetti, più di una ragione sembra giustificare la validità di questa decisone. Vivaci proteste ha suscitato, ad esempio, la creazione di Alitalia Team, l’Highly Competitive Career (HCC) a bassi costi di gestione , nato nel novembre scorso dall’accorpamento di Avianova. Destinato ad operare secondo criteri di concorrenzialità sul mercato internazionale, Alitalia Team dovrebbe consentire di recuperare competitività e margini di profitto sulle rotte più remunerative della compagnia di bandiera. Ma la comparsa di questo nuovo competitor su una delle frequenze più contese delle compagnie aeree di tutto il mondo – la linea Roma-New York JFK – e l’impiego di macchine noleggiate con contratti wetlease – aeromobile più equipaggio – per spuntare tariffe in grado di competere con charter, non è piaciuta affatto ai concorrenti,. Resta il fatto che la guerra dei prezzi – anch’essa ampiamente contestata – è ormai questione di sopravvivenza anche sui collegamenti nazionali ed europei, tanto è vero che, per reggere la concorrenza dei privati, le promozioni Alitalia rischiano di portare i ricavi ben al di sotto dei margini consentiti ad una compagnia che ha chiuso in passivo anche il bilancio del ’96. Tra l’altro, si avvicina la scadenza del prossimo 1° febbraio, data in cui gli standard di sicurezza fissati da Eurontrol diventeranno operativi, costringendo Alitalia a trovare i 250 miliardi necessari ad adeguare l’avionica dei suoi Md 80, un modello ormai ampiamente superato di cui, su una flotta di 157 aeromobili, la compagnia conta ben 90 esemplari.
Ma i dubbi di Bruxelles si spingono ben oltre le problematiche commerciali e di sicurezza.
Dai 1.500 prepensionamenti previsti per il triennio ‘97/’99 . con un onere complessivo di oltre 84 miliardi – alla cessione alla Cofiri, per 350 miliardi, del centro direzionale della Magliana – che verrebbe affittato agli attuali inquilini ad un canone annuo pari al 7,5% del valore di conferimento – le probabilità che il piano passasse non erano molte. Tenendo conto, poi, che l’Iri ha già anticipato 1.000 dei 1.500 miliardi necessari a finanziare la prima tranche del piano di risanamento e che il tasso di rendimento interno alla compagnia, per il periodo 1996/2000, non sarebbe riuscito, stando alle previsioni della Ermst& Young, a rispettare il parametro del 30% indicato dai vertici Alitalia, l’intervento Iri non poteva essere considerato diversamente da un “aiuto di stato”. Avendo accolto le conclusioni contenute nel rapporto fornito dalla Ermst& Young – l’advisor incaricato ad esaminare l’adjustedplan presentato da Alitalia – la Commissione ha quindi escluso che il finanziamento Iri possa essere considerato secondo il principio del Meip (Market economy investor principale).
L’eventuale attuazione del piano, pertanto, non potrebbe sottrarsi all’applicazione delle condizioni normalmente previste per gli interventi ricompresi nella categoria degli aiuti di stato,. In pratica, i remedies potrebbero costringere Alitalia a limitare gli investimenti, congelare la flotta, rinunciare a politiche di price leader – applicare sconti prima dei concorrenti – o ampliare la concorrenza mediante la cessione di alcuni dei suoi slots ad altri vettori.
Intanto, la notizia della bocciatura del piano ha determinato il venir meno della condizione alla quale era subordinata l’erogazione di 1.500 miliardi ancora necessari a portare i finanziamenti a quota 3mila miliardi; un disegno di legge, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, autorizzava il Tesoro a provvedere solo nel caso in cui il piano fosse passato. Va comunque osservato che il Ministro dei Trasporti, nel dare l’annuncio del provvedimento adottato dal Governo, aveva precisato che l’intervento dello Stato “è finalizzato ad agevolare il collocamento sul mercato” di una compagnia di bandiera che “non è più possibile aiutare penalizzando le altre compagnie”. E se pure di privatizzazione non vi era cenno nel piano Cempella, in più di un’occasione Bruxelles ha fatto intendere che una presenza nel capitale Alitalia di fondi provenienti da altre compagnie sarebbe ben visto in sede europea.
Alcuni paventano che ciò determinerebbe un ridimensionamento della nostra compagnia di bandiera, altri agitano lo spauracchio degli interessi nazionali compromessi e mortificati, ma la verità è un’altra, come l’esempio della BritishAirways sta a testimoniare: nei dieci anni trascorsi dalla privatizzazione del vettore d’Oltremanica, e malgrado un aumento del 33% nel costo del carburante, i profitti complessivi della compagnia ammontano a 3.250 milioni di sterline, 583 dei quali totalizzati nei primi nove mesi del ’96.
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Come in tutto il sistema del trasporto aereo, anche sul fronte degli scali, la situazione si presenta estremamente fluida: privatizzazione delle società di gestione e adeguamento delle infrastrutture aeroportuali costituiscono i temi principali attorni ai quali ruotano i programmi di riorganizzazione in corso su tutto il territorio nazionale.
Quanto al primo aspetto, il nodo più difficile da sciogliere riguarda le rimuneratività delle attività svolte all’interno degli scali, la cui gestione – una volta venuto meno il regime di monopolio – è ora affidata a società esterne o alle stesse compagnie aeree che – con un’incidenza pari a circa il 25% dei costi di gestione – optano per l’autoproduzione dei servizi a terra (il cd.selfhandling).
Pertanto, di fronte alla prospettiva di vedere notevolmente ridotte le rispettive quote di mercato, le due maggiori società di gestione aeroportuale italiane, la milanese Sea e la romana AdR , hanno deciso di esportare il proprio ,knowhow. Approfittando della recente apertura dei mercati dell’est europeo, la Sea si è aggiudicata la gara per rilanciare diciassette scali civili in Romania e, insieme ad AdR dovrebbe riuscire a vincere la maxgara che il Governo argentino si appresta a lanciare per ampliare un sistema aeroportuale che attualmente conta di una cinquantina di scali pressoché inadeguati alle moderne esigenze dell’aviazione civile. Tra l’altro, la Sea non è nuova al mercato sudamericano avendo già vinto le prime due gare per la ristrutturazione dello scalo uruguaiano di Montevideo.
In merito poi al secondo aspetto, il problema riguarda principalmente l’adeguamento delle infrastrutture aeroportuali, che vanno indubbiamente potenziate in una prospettiva di crescita destinata ad interessare anche gli scali “minori” e, per questo, più soggetti a vedersi tagliar fuori da una posizione di “marginalità” che non incoraggia gli investimenti.
Per le aree di maggior traffico, come la Lombardia, oltre al particolare dinamismo mostrato dagli scali minori come ORIO AL SERIO, lo sviluppo futuro è legato all’ultimazione dei lavori in corso per la realizzazione del progetto “Malpensa 2000”. In attesa dell’inaugurazione del nuovo aeroporto – costo previsto 2mila miliardi – dovrebbero entrare in funzione entro la fine dell’anno i due terzi della nuova aerostazione passeggeri. Se i tempi verranno rispettati, soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture viarie, Malpensa si trasformerà – da qui alla fine del secolo –in un grande hub internazionale con una capacità di traffico di oltre 18 milioni di passeggeri l’anno. Il traffico nazionale verrebbe invece dirottato su Linate che – dopo aver chiuso il ’96 con oltre 12 milioni di passeggeri, pari ad un incremento del 16,6% – potrebbe finalmente risolvere i ben noti problemi di sovraffollamento.
Quanto ai collegamenti ferro/gomma con Milano Malpensa, la Bei – la Banca europea degli investimenti – ha già comunicato la propria disponibilità a co-finanziare la realizzazione delle opere infrastrutturali, con particolare riferimento alla bretella con la A4 Milano-Torino, un’arteria chiave il cui costo dovrebbe oscillare tra i 300 e i 400 miliardi. La presenza della Bei – che tra l’altro partecipa con un mutuo di 400 miliardi al progetto di ristrutturazione dello scalo milanese – conferma il grande interesse con cui Bruxelles guarda al potenziamento di uno scalo destinato a svolgere un ruolo di primo piano nell’ambito dei collegamenti con l’intero bacino del Mediterraneo.
Di Simona Dei