Le attese della domanda turistica
Nella “società dell’informazione”, la quantità di “cose” che sappiamo o impariamo è molto più estesa delle conoscenze che poteva avere una persona – anche di buona cultura – vissuta trent’anni fa: abbiamo moltissime conoscenze che non derivano da ciò che abbiamo letto sui giornali o nei libri, ma da ciò che abbiamo “visto” in televisione, alla radio, al cinema o sullo schermo di un computer e molte conoscenze le abbiamo apprese nel confronto con gli altri, soprattutto nel corso di un viaggio. Di conseguenza, oggi il senso della parola “leggere” è molto più ampio di quello di trent’anni fa: non si leggono solo i testi scritti e anzi la lettura (in senso stretto) non è né l’unico, né il principale dei canali di cui ci serviamo per acquisire informazioni culturali.
E’ avvenuto un cambiamento strutturale, dunque, nella comunicazione ed i motori di questo cambiamento sono stati la televisione, il computer e i moderni mezzi di trasporto. Ma anche il telefono, oggi, non è più uno strumento ordinario di comunicazione orale, quanto un terminale telematico che connette ad altri mondi comunicativi basati sulla visione.
Il dominio della percezione visiva, in questo nuovo mondo della comunicazione, ha avuto due conseguenze fondamentali:
• da una parte ha frantumato la categoria della sequenzialità e cioè l’attitudine a trattare le informazioni “in successione”, con un’architettura temporale organizzata in un testo, sia esso alfabetico che non alfabetico (immagini, gesti, icone, ideogrammi etc.);
• dall’altra parte si è sviluppata una tendenza a “estetizzare” tutti i messaggi e gli stessi processi di comunicazione, compresi quelli che presiedono all’apprendimento e alla vita di relazione.
Per quanto riguarda il primo aspetto, dobbiamo dire che al testo “sequenziale” si è sostituito il contesto “simultaneo” e l’ipertesto, dove avviene una modifica della percezione spazio-temporale poiché l’informazione sussiste in uno spazio virtuale che diventa reale solo nel tempo e per la durata in cui avviene il collegamento. Nei siti web non vi è più uno spazio in cui scorre il tempo, ma un tempo che crea lo spazio: un tempo coniugato al presente e, quindi, permanente e simultaneo alla presenza del soggetto che attiva lo spazio.
Ora, se la lettura e in generale l’uso dei codici alfabetici avevano favorito lo sviluppo di una intelligenza sequenziale, i sistemi più innovativi di comunicazione favoriscono un tipo di intelligenza e di sensibilità che può essere definita simultanea, caratterizzata dalla capacità di trattare, nello stesso momento, molte informazioni senza la necessità di stabilire un ordine analitico e quindi una gerarchia di lettura, com’è stato mostrato dal semiologo Raffaele Simone (Simone 2000).
L’intelligenza simultanea la usiamo, in maniera evidente, quando ammiriamo un dipinto o un’opera d’arte: per quanto l’occhio si poggi prima su un punto e poi su un altro, è impossibile dire che cosa venga guardato prima e che cosa dopo – e soprattutto perché – rispetto alla comprensione globale dell’opera. I critici d’arte suggeriscono molto spesso una lettura sequenziale di un quadro o di un affresco, e ne motivano i criteri, ma si tratta di un approccio che esprime una sensibilità artistica calibrata sull’esigenza dell’interpretazione analitica, tipica della loro formazione culturale, oltre ad essere molto spesso soggettiva e, quindi, arbitraria, può sciupare la percezione olistica e quindi la ricchezza dell’emozione estetica.
Per quanto riguarda il secondo aspetto, quello della estetizzazione dei processi comunicativi – che poi si traduce anche in una erotizzazione nella scelta degli oggetti di consumo e delle immagini – va notato che nel mondo contemporaneo ogni conoscenza viene vissuta come esperienza, nella quale si coinvolge non solo l’intelletto ma tutta la sfera delle emozioni e dei sensi, con modalità sinestetiche.
E’ sulla base di queste considerazioni che si può rilevare come la pratica turistica della contemporaneità si integri – sempre più – nei processi di conoscenza-esperienza dove la comunicazione assume un ruolo fondamentale che decide la natura stessa dell’esperienza realizzata.
E’ questo, in definitiva, l’aspetto più significativo e diffuso dei comportamenti turistici, un fenomeno che viene definito “intellettualizzazione della vacanza” perché restituisce interessi di conoscenza anche a momenti di spensieratezza e rende possibile quell’accostamento di due parole con significato opposto nell’ossimoro “vacanza attiva”, su cui Umberto Eco ironizzava negli anni ’70, quando le ferie si caratterizzavano prevalentemente come recupero spicofisico e, quindi, non si capiva perché dovevano essere “intelligenti”. Ma la pratica turistica che consente di intelligere la realtà (se stessi, gli altri e l’altrove attraverso gli oggetti dello sguardo) risente, anch’essa, della nuova modalità di lettura simultanea ed olistica che non permette di separare i diversi elementi del quadro visivo, né di separare il quadro dal contesto nel quale è inserito.
Il turista, quindi, che è sempre attratto dalla dimensione spaziale, oggi più che nel passato tende a leggere la realtà attraverso la visualizzazione di un panorama che si compenetra di senso non come sequenza oggettiva di elementi, ma come “paesaggio” dove sono esperite le sue emozioni soggettive e olistiche.
Museo e territorio
Per questo motivo, quando si analizza il turismo culturale e si sottolinea l’importanza del legame tra
l’opera d’arte e il territorio ove essa è fruibile, bisogna tener conto che questo stretto legame non deriva solo dalla constatazione che l’esperienza turistica è sempre un’attività di natura spaziale, ma anche dal fatto che la località – così come viene percepita nella sua immagine globale e non per le singole polarità attrattive – rappresenta il vero fattore di scelta nel processo decisionale del viaggiatore. Magnete culturale e territorio, quindi, non possono essere considerati separatamente ma, al di là delle considerazioni svolte che riguardano la domanda e le modalità di lettura dell’oggetto turistico, bisogna fare anche altre precisazioni dal lato dell’offerta:
• difficilmente un singolo bene artistico – anche se di grande richiamo – ha la forza, da solo, di attirare flussi consistenti di visitatori, sebbene molto spesso esso assuma il ruolo di rappresentare, per sinedocche, la località; al contrario, un insieme di opere e di episodi artistici situati all’interno di una stessa area territoriale costituisce un contesto in grado di motivare al viaggio un numero di turisti che raggiunge un valore molto più alto della somma delle persone interessate a visitare singole le opere;
• la gestione economica di un bene culturale non può mai assicurare l’equilibrio tra costi e ricavi se si tiene conto dell’attività caratteristica e non della filiera delle attività collegate alla fruizione e degli effetti economici indotti: ma l’equilibrio può essere raggiunto attraverso la valorizzazione di tutte le entrate aggiuntive, molte delle quali vengono realizzate nel territorio circostante (alloggio, ristorazione, distribuzione commerciale, eccetera, per non parlare dell’aumento dei valori immobiliari degli edifici);
• tenendo conto dell’evoluzione tecnologica, si può ritenere che la capacità di richiamo turistico specifico delle singole opere o di un singolo museo andrà riducendosi in ragione delle possibilità sempre più estese di comunicazione telematica interattiva ad alta definizione tridimensionale, e che quindi il valore attrattivo si sposterà dalle qualità intrinseche del bene culturale all’occasione di poter avere un’emozione estetica basata soprattutto sulla qualità espositiva, contestualizzata nel territorio, che diventerà la principale variabile competitiva. Queste sono le ragioni che spiegano l’interesse di molte località a favorire la nascita di nuove istituzioni museali o a promuovere iniziative culturali o eventi, o a realizzare un sistema d’offerta integrata, attraverso i distretti culturali, con l’obiettivo di favorire uno sviluppo economico del territorio basato sul potenziamento dell’attrattività turistica: l’evoluzione della domanda che si esprime nella ricerca di stimoli culturali anche nei momenti di evasione, spinge l’offerta a valorizzare ed enfatizzare, per ogni destinazione, le risorse storico-artistiche presenti sul territorio e a promuovere nuove attrattive collegate con la produzione culturale, anche nei luoghi caratterizzati da un consumo turistico prevalentemente finalizzato al divertimento.
Da alcuni anni, in effetti, la valutazione delle ricadute economiche determinate dall’attivazione dei flussi turistici sta diventando il principale metro di decisione nelle politiche culturali delle istituzioni pubbliche ma, proprio per questo, occorre tener conto delle peculiari esigenze della domanda turistica onde evitare che gli interventi di valorizzazione progettuale siano finalizzati solo alla diversificazione dei prodotti e al rinnovamento dell’offerta culturale e di intrattenimento. Non si tratta solo di innovare e di ampliare l’offerta, ma di modificare i contenuti: se i musei tradizionali rappresentavano il potere dello Stato e dei gruppi dirigenti, autoreferenziato nel genio degli artisti, oggi quello che era un luogo di osservazione, cultura e contemplazione per il pubblico elitario, è diventato un centro di intrattenimento per un pubblico di massa che è attirata, molto spesso, dalla fama e dalla “sacralità” delle opere esposte, anziché dal loro intrinseco valore estetico. Ciò vale, ovviamente, sia per i musei tradizionali, per le pinacoteche e per i luoghi ove sono esposte opere d’arte di valore irripetibili o reperti archeologici, sia per i musei più piccoli e per gli spazi espositivi che raccolgono episodi del passato o prodotti della cultura materiale.
Ma occorre fare anche altre considerazioni che attengono la specificità dei consumi culturali dei turisti, per evitare che i progetti di valorizzazione del territorio basati sulla vivacizzazione culturale finiscano con l’ottenere risultati che – oltre ad essere culturalmente discutibili – risultano anche deludenti rispetto alle attese di aumento dei flussi di visitatori e per evitare forme di comunicazione promozionale non adeguate al target che si vuole raggiungere. I consumi culturali dei turisti, infatti, non possono essere considerati alla stessa stregua della fruizione artistica di altri soggetti che esprimono una diversa modalità partecipativa nella fruizione dell’opera, Il turista è un utente particolare che sta vivendo un’esperienza non ordinaria, decisa sulla scorta di una pluralità di motivazioni basate sulla differenza di altri fruitori – come i residenti – che vivono il loro interesse per l’arte nel tempo libero ordinario per un generico piacere intellettuale o per un interesse specifico – il turista culturale ha aspirazioni ed attese più forti, anche se ciò può sembrare paradossale, perché non può soffermarsi a lungo nella contemplazione – né prevede di ritornare agevolmente per una successiva visita.
Egli cerca la meraviglia qui ed ora, anche se la sua presenza nel luogo e il suo tempo presente possono incorporare i segni della storia del luogo stesso e il sentimento della lontananza dalla sua bolla di residenza. L’eccezionalità della sua presenza si iscrive in una particolare atmosfera di rapporto partecipativo molto simile a quell’aura di cui parla Walther Benjamin, che assorbe l’osservatore motivato da specifici interessi culturali che determina una forte interazione mediata dal desiderio di confermare e approfondire la conoscenza o dall’attesa di nuovi riconoscimenti e interpretazioni. Ma nonostante l’aurea che è la stessa della contemplazione del cultore del bello, il turista culturale resta uno “spettatore” con profonde differenze di attese e di fruizione: certo molto spesso anche lo studioso, si sposta su lunghe distanze per ammirare un’opera d’arte, ma per lui il viaggio affrontato è solo un mezzo e non determina la specificità e l’unicità dell’esperienza, mentre nel caso del turista culturale, il viaggio rappresenta – esso stesso – una motivazione, e l’opera d’arte non è l’unico obiettivo del suo agire, anche se può essere quello principale nella circostanza della visita.
Per questo motivo, il rapporto tra l’osservatore e l’opera osservata che determina la peculiarità (e l’eccezionalità) dell’atmosfera contemplativa del turista, deve essere basata soprattutto sulla “qualità espositiva”, per far sì che l’opera d’arte possa entrare nel grembo del suo fruitore. E’ la qualità espositiva, del resto, che colpisce il pubblico con il suo impatto immediato e suscita le sensazioni di piacere che appagano lo sguardo del turista, enfatizzando le proprietà formali del materiale estetico inserito in un contesto ambientale e in determinato “paesaggio”. E’ il luogo riacquista un senso non solo come cornice territoriale del bene culturale.
Pensiamo a ciò che sta avvenendo negli USA: una delle ultime generazioni – dopo il Getty Museum di Los Angeles che, come un’acropoli, domina la città reticolare riorientandone le direrttrici – è il recentissimo Museo Dia-Beacon: ad un’area di treno da Manhattam, è stato realizzato oper air recuperando un’area industriale dismessa sulla riva dell’Hudson ed utilizza la luce naturale per valorizzare le opere che vi sono esposte. Una realizzazione culturale che punta dichiaratamente sulla qualità espositiva orizzontale che – come ha scritto Achille Bonito Oliva su la Repubblica – coniuga l’amore per natura con l’esprit de geometrie della città postmoderna, dopo la tragedia dell’11 settembre che ha colpito la superbia verticale delle Torri Gemelle.
Attese e comportamenti dei turisti nei centri d’arte
Tra i comportamenti dei turisti nei centri d’arte, viene frequentemente rilevata una propensione a rimarcare la propria presenza e il proprio passaggio con atteggiamenti che esprimono una tensione introiettiva, quasi un’ansia di connettere, in qualche modo, il sé con l’opera apprezzata: tracciando la propria firma o le proprie iniziali come espressione simbolica dell’identità, o facendosi fotografare accanto a una scultura o sullo sfondo di un dipinto per esprimere la propria identificazione.
Ciò testimonia certamente un’esigenza di interazione empatica e il significato psicologico di questi comportamenti si connette alle componenti istintuali della territorialità e della proprietà, assicurando coesione persistente con il luogo apprezzato (Biasi e Bonaiuto,1995). Ma, oltre a questi elementi di natura spicologica, vi sono anche fattori legati all’esigenza di protagonismo sociale: come scrive Asterio Savelli, “l’esserci nella società viene rappresentato simbolicamente nell’esserci su di una spiaggia, su un campo da sci, in un determinato museo, che vengono a costituire altrettanti luoghi sacri e sacralizzati delle vacanze e del turismo” (Savelli,1996).
Ecco perché, sopratutto dal punto di vista degli interessi turistici, l’importanza del contesto fruitivo, territoriale e culturale in cui si colloca l’opera d’ arte è, oggi, la leva che consente di evitare sia il rischio di banalizzare la fruizione del bene artistico come “oggetto di consumo”sia l’apposto rischio di un eccessivo distacco tra l’opera d’arte e lo sguardo turistico. Di qui l’importanza crescente degli eventi, delle rassegne e delle grandi mostre che promuovono la località sui mercati turistici attualizzando e rilanciando il valore comunicativo delle opere raccolte ed esposte. Di quì l’importanza dei nuovi complessi museali realizzati attraverso la spazializzazione monumentale di forme espressive che aggiungono valore al messaggio estetico intrinseco delle opere conservate ed esposte. Un valore che per alcuni edifici museali – realizzati ex novo o mediante il recupero di volumi costruiti per altre funzioni, come le vecchie stazioni ferroviarie o le centrali elettriche – può assumere una predominante forza comunicativa e di progettualità culturale: si pensi al Museo ebraico di Berlino – di cui scrive Amnon Barzel in questo stesso fascicolo della rivista – che, attraverso spazi vuoti che interrompono la continuità dell’esposizione, pare voglia rammentare al visitatore la frattura dell’Olocausto.
I numeri, del resto, sono molto significativi in proposito: uno dei magneti più visitati a Parigi, dopo la torre Eiffel, è il Beabourg progettato da Renzo Piano e da Richard Rogers, – un monumento architettonico prima di essere un museo – che attira un flusso di visitatori pari a quello del Grande Louvre, dove è esposta l’opera pittorica più famosa del mondo. Allo stesso modo Bilbao, città inesistente nelle mappe dell’immaginario turistico fino a qualche anno fa, è diventata una meta attraente e desiderata dopo la costruzione del museo progettato da Frank Ghery, che è stato utilizzato anche come set per un fortunato spot pubblicitario della Omnitel. A questo proposito, c’è da dire che, nonostante la tendenza a linearizzare l’offerta museale con nuove germinazioni di centri espositivi, come ha fatto l’Istituzione Guggenheim, favorendo così anche la mobilità geografica delle opere d’arte, i diversi ”contenitori” territorialmente dislocati sono riconosciuti e apprezzati come Museo di Bilbao, di Venezia, di San Pietroburgo o di Las Vegas: l’identità resta legata strettamente al territorio e il “marchio” Guggenheim rappresenta solo un “valore aggiunto” di qualità di gestione.
La stessa duplicazione dell’opera ai fini di tutela dell’originale – oggi sempre più frequente e diffusa – verrà apprezzata dal turista che ammira la copia perfettamente riprodotta, solo se sarà rispettata e valorizzata la qualità del contesto culturale nel quale è situata, mentre il restauro di un’opera d’arte o il recupero di un’opera architettonica assumeranno un valore autonomo di attrazione che si aggiunge alla capacità attrattiva del bene preesistente, proprio perché l’intervento “rilancia” l’oggetto della contemplazione nel vissuto di un presente che rinnova la memoria del passato. L’eccezionale aumento di turisti giapponesi ai Musei Vaticani, dopo il restauro della Cappella Sistina, è stato determinato in buona misura dalle immagini suggestive del video girato da Storaro durante i lavori e mandato in onda dalle televisioni nipponiche: l’attualizzazione dell’opera michelangiolesca e la sua fruizione resa possibile anche grazie all’adozione di sofisticate tecnologie futuribili, induceva il desiderio di ammirare gli affreschi da vicino, quasi per toccare passato e futuro.
Presente come immagine, quindi, e passato come memoria proprio per questo Pietro Valentino definisce i musei delle macchine del tempo” in una collettanea di saggi da lui raccolti per l’Associazione Civita, significativamente intitolata L’immagine e la memoria (Valentino 1993). Ma qui la memoria non deve essere intesa come rifugio psicologico nel senso di “memoria nostalgica”, espressione utilizzata da Hewinson a proposito dell’attrazione esercitata dal patrimonio storico, e cioè da quelle località che si promuovono attraverso la spettacolarizzazione dei monumenti e degli edifici antichi, le manifestazioni in costume o le rievocazioni di eventi del passato (Hewinson 1987).
Nessuna partecipazione nostalgica vissuta come rifugio – per il visitatore di un museo – perché il contenitore ove si collezionano ed espongono le opere d’arte è uno spazio per abbandonarsi alle emozioni estetiche che suscitano stupore, anche quando l’opera esposta sia già conosciuta da chi ha affrontato un viaggio per ammirarla da vicino. Mentre il patrimonio storico trasporta il visitatore in un passato che lo rassicura, perché le torri, le chiese e i palazzi antichi sono immagini familiari, presenti in ogni città e ancora luoghi per cerimonie religiose e civili, la suggestione di un museo suggerisce sempre un altrove,emotivamente e visivamente lontano dalla quotidianità del visitatore. Suggestioni che il turista culturale vive nell’esperienza straordinaria di un presente intriso di conoscenze e di memoria, un presente vissuto come occasione nella quale scioglie le attese del domani e delle future occasioni di viaggio.
Del resto, se è vero che senza memoria non c’è futuro, è vero anche che senza proiezione al futuro non ha senso la memoria: se così non fosse si resterebbe sospesi nel passato come rimpianto e nel presente come fatto di esclusivo consumo mediatico, senza storia e senza geografia. Il turista deve sentire che quell’opera artistica è presente ora davanti al suo sguardo, anche se riverbera radici di un lontano passato, e che egli sopravviverà nel futuro perché in grado di resistere al tempo e al passare delle mode: è una parte ineliminabile del place, che gli dà il senso di vivere, di leggere e di com-prendere uno spazio generico che diventa luogo perché viene esperito come presenza e come occasione.
La visita al museo, quindi, riporta nell’esperienza del presente l’eredità della storia legata alla geografia del luogo, rimarcando una discontinuità dal consumo meramente mediatico che è fatto di immagini sincroniche e delocalizzate. Proprio per questo, nei musei c’è sempre un’aria di futuro, o almeno, una finestra che si affaccia sul davanti ; si pensi ai musei della Scienza e della Tecnica, ai musei del design, ai musei industriali che espongono vecchi modelli d’epoca di beni di consumo affiancati ai prototipi più innovativi non ancora in produzione, che attirano flussi crescenti di visitatori.
La gestione dei beni culturali
Da tutte queste considerazioni risulta, quindi, la necessità di approfondire anche il rapporto che può esistere tra le strategie d’impresa e la politica culturale, al fine di individuare le corrette forme di convergenza tra diversi obiettivi e, quindi, la specificità della gestione museale. Una gestione ispirata a criteri imprenditoriali è senza dubbio condizione necessaria affinché i musei si possano adeguare alle nuove esigenze, ma non è la sola condizione: al museo si chiede di essere non solo ben condotto da un punto di vista culturale, ma anche più vicino al pubblico, di offrire servizi commerciali, attività didattiche e, in generale, un’atmosfera accattivante e la possibilità per il visitatore di gestire autonomamente i percorsi interni, come avviene per il Palazzo Altemps di Roma in cui le opere esposte possono essere ammirate senza dover seguire un itinerario prefissato.
Si pensi al ruolo che, nei moderni uffici museali viene assegnato alla sala d’ingresso che deve adempiere ad una funzione di accoglimento dei visitatori, offrendo ad essi spazi, servizi e occasioni di interscambio comunicativo mentre si orientano di fronte alle opere che l’istituzione espone. Ciò proprio perché la quota più rilevante dei visitatori dei musei è composta da turisti: essi provengono da aree territoriali, gruppi sociali e culturali diversi, per cui sono portatori di interessi e approcci di lettura differenti: da ciò la necessità di studiare un’articolazione flessibile degli itinerari espositivi e un’attenzione particolare al modo di disporre e presentare gli oggetti al fine di potenziare il significato dell’esperienza e dell’interazione comunicativa che rappresenta il vero prodotto-valore di un museo.
Per questo motivo occorre uscire dall’ambito di una direzione esclusivamente culturale e chiamare in causa un altro attore, il marketing,che assume un ruolo centrale quando l’offerta museale deve cercare la sua domanda e differenziare i suoi pubblici. Stando attenti, però, a non limitarsi ai tradizionali criteri di segmentazione della domanda basati su semplici criteri di sociodemografici o psicologici, o sui livelli di scolarizzazione dei potenziali visitatori, come pure viene consigliato da autorevoli studiosi come Ludovico Solima (Solima 2001), perché questi criteri risultano poco significativi se non viene prima analizzata la specificità delle attese dei differenti pubblici.
Ma si tratta pur sempre di orientarsi al mercato e, attraverso l’orientamento al mercato, identificare il prodotto/servizio centrale che spinge il visitatore ad entrare, una identificazione non facile per un museo abituato a porre al centro la conservazione delle testimonianze culturali che, nell’ottica della domanda, diventerebbe quasi un’attività di back office, volta alla preparazione del servizio principale che è l’esposizione. Il marketing rende inoltre possibile l’identificazione dei servizi culturali periferici (rassegne, servizi museografici, mediateche, didattica) e delle attività commerciali che possono essere fonte di entrate aggiuntive (book shop, caffetterie, ristorazione, servizi Internet e per la stampa di fotografie e riproduzioni digitalizzate, etc.).
In questo modo, servizio centrale e servizi periferici costituiscono globalmente quel sistema di offerta che va comunicato per far sì che il pubblico possa essere motivato all’acquisto non solo da un singolo componente, ma del beneficio di gratificazione globale che, dall’insieme, si estende ad ogni componente dell’offerta. Ma l’offerta globale deve essere in grado di incorporare anche una ”suggestione globale”, all’interno della quali i messaggi estetici delle opere esposte o le rappresentazioni dei valori culturali provenienti dal passato non possono essere separati dal piacere delle sensazioni presenti – anche se derivanti dal cibo o dalle bevande servite – così come non possono essere separati dalla permanenza nel tempo di una soddisfazione che il visitatore desidera non sia momentanea, come l’abitudine diffusa di acquistare il catalogo o almeno un poster, o di conservare un biglietto di ingresso sta a testimoniare.
Un beneficio di gratificazione globale, infine, che da un’istituzione museale si riverbera nell’intorno territoriale attraverso un processo osmotico che vede il contesto interagire con l’istituzione e viceversa, tanto da non poter superare il centro espositivo dell’immagine del luogo, la fruizione del museo e dei suoi servizi dalla fruizione della località e della “soddisfazione residenziale” che il turista vuole avere nella sua esperienza di soggiorno.
di Giuliano Faggiani