Ad ogni nuovo governo, dopo che ha ottenuto la fiducia in Parlamento, la forza economiche e la stampa indipendente devono concedere un’apertura di credito, quali che siano stati gli orientamenti assunti durante il processo politico che ha determinato il cambio della guardia. Così come, davanti ad un programma governativo che non può fare a meno di prospettare miglioramenti generali e settoriali, ciascuno – nel proprio ambito – è obbligato ad auspicare che queste prospettive si avverino, Anche l’opposizione politica dovrebbe imparare questo mestiere, come sta cominciando a fare con fatica in quest’avvio di seconda repubblica, basata sul sistema maggioritario: sperare in un peggioramento della situazione del paese per potersi prendere una rivincita è la cosa più sbagliata che si possa fare.
Ma le attese positive e la doverosa apertura di credito non ci devono impedire di esprimere la preoccupazione per una politica economica che pare voglia puntare principalmente sull’espansione indiscriminata dei consumi, rischiando di farci andare nuovamente incontro a quelle difficoltà dei conti con l’estero dalle quali siamo faticosamente usciti, pagando un elevatissimo prezzo sociale ed economico. I vincoli della bilancia valutaria, infatti, come il peso del debito pubblico, sono aspetti che non possono essere trascurati, perché potrebbero rendere illusoria ogni prospettiva di vera e duratura ripresa. Una preoccupazione, peraltro, adombrata anche nelle “Considerazioni finali” dal Governatore della Banca d’Italia, Fazio.
Ora , mettendo da parte il più importante problema della finanza pubblica, vorremmo soffermarci sugli aspetti dell’interscambio internazionale, che stimola riflessioni ed analisi più direttamente legate al comparto di cui ci occupiamo. L’ultimo rapporto pubblicato dal GATT sul commercio mondiale ha confermato che nel 1993 il volume delle esportazioni è aumentato più di quanto non sia cresciuta la produzione. All’interno di queste dinamiche, l’Italia si è collocata al sesto posto (dopo USA, Germania, Giappone, Francia e Regno Unito) sia per il volume delle esportazioni che per il volume delle importazioni. Per il 1994, inoltre, il GATT ha precisato un nuovo e ancora più vivace incremento degli scambi internazionali che potrebbe aggirarsi intorno al 5%.
Tutto ciò appare molto positivo anche per l’interscambio turistico che – come noto – segue con un ritardo di qualche anno la dinamica dei flussi commerciali, ma pone il problema di accorciare il tempo di questo ritardo, stimolando con azioni mirate le potenzialità competitive della nostra offerta di ospitalità. Ma occorre intervenire con decisione : il saldo attivo della bilancia turistica valutaria che si è avuto nel 1993, dopo 8 anni di lenta erosione, non deve trarre in errore. Come ha fatto notare lo stesso Governatore Fazio nella sua relazione di fine maggio, il risultato positivo non è dovuto ad un incremento degli arrivi dei turisti stranieri, ma solo alla dinamica degli introiti valutari in altre parole, l’azienda –Italia ha incassato di più – grazie alla svalutazione della lira – ma non ha aumentato il numero dei propri clienti, anche se il dato relativo alle presenze è cresciuto del 3% proprio perché era conveniente fermarsi in vacanza qualche giorno in più. Inoltre, l’avanzo registrato nella voce “viaggi” nell’ambito delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, che è quasi raddoppiato rispetto all’anno precedente, non è impugnabile tanto alla maggiore competitività della nostra offerta sul versante dei prezzi, quanto alla contrazione delle spese degli italiani che hanno risentito della minore disponibilità del reddito.
Si tratta – com’è evidente – di uno squilibrio della bilancia turistica che non può essere mantenuto nel tempo, né può essere considerato, alla lunga, una condizione positiva. Come abbiamo già scritto su questa rivista, infatti, le motivazioni della mobilità nei paesi avanzati favoriscono sempre di più la tendenza al pareggio fra entrate ed uscite dell’interscambio turistico e solo le aree sottosviluppate fanno registrare saldi attivi costanti. Puntare quindi ancora sulla destinazione tra paesi generatori e paesi ricettori, all’interno dell’Europa, significa essere incapaci di uscire dai luoghi comuni sui quali, per tanto tempo, è stata basata la non-politica nel nostro paese: oggi, nella nuova fase che si sta aprendo, la cosa più pericolosa sarebbe proprio riproporre quei luoghi comuni.
Il luogo comune del Belpaese ove si concentrerebbe la metà del patrimonio artistico mondiale; quello di essere una destinazione turistica insostituibile per gli stranieri e per gli italiani che, dopo aver soddisfatto la loro provvisoria estereofilia, dovrebbero riprendere le vacanze domestiche; quello della nostra incompatibile ospitalità. Senza curarsi di quanto siano forti i richiami culturali delle lontane destinazioni turistiche emergenti ; di quanto siano cordiali e professionalmente preparati – tra i nostri concorrenti – gli operatori turistici che sono a contatto con la clientela internazionale e non si sognano, peraltro, di scioperare a Pasqua. Senza curarsi di quanto siano diventati brutti i più rinomati luoghi turistici del Belpaese.
Impegnarsi a migliorare questi “luoghi turistici” che stanno perdendo la loro capacità attrattiva, è dunque il compito prioritario del nuovo governo, che dimostrerà di essere veramente nuovo se saprà sottrarsi alla pigrizia mentale e ai luoghi comuni. Il liberismo non basta; le condizioni del mercato internazionale non consentano alle nostre imprese turistiche di competere se non si interviene sul sistema dell’ospitalità, sul contesto ambientale , sull’efficienza dei trasporti e dei servizi pubblici.
Come tante volte abbiamo detto e scritto.
In questo fascicolo di “AT” torniamo quindi sugli aspetti generali del sistema turistico alla luce delle nuove impostazioni politiche che hanno ottenuto la maggioranza dei consensi elettorali, evidenziando nello stesso tempo le difficoltà strutturali ( ma anche le opportunità) e soffermandoci sulle aree deboli o compromesse del nostro territorio.
Siamo convinti, infatti, che soprattutto sulle aree deboli, come le regioni meridionali, o su quelle compromesse del sistema urbano, si gioca il futuro del turismo italiano. E’ la stessa credibilità del nuovo governo.