La montagna come prodotto turistico
La montagna ha attraversato numerosi passaggi, nel corso della storia, per poter conquistare l’importanza e il valore che oggi occupa per lo svolgimento dell’attività turistica. E’ stato fondamentale modificare gradualmente – fino al punto di capovolgere – la comunicazione della montagna e la sua funzione simbolica che, nell’immaginario collettivo, ha avuto bisogno di interi secoli per passare da uno valore di negatività ad uno, opposto, di popolarità magnetica.
Come scrive Patrizia Battilani nel libro “Vacanze di pochi, vacanze di tutti – l’evoluzione del turismo moderno” (ed. il Mulino,192001) infatti, per oltre un millennio la montagna è rimasta imprigionata nelle descrizioni di geografi e di poeti che l’avevano dipinta come un luogo spaventoso, abitato da popoli barbari e crudeli. Sulle sommità alpine si diffusero nel medioevo molti ospizi di monaci, con la ripresa degli scambi fra l’Italia e il centro Europa, ma un primo tentativo di modificare l’immaginario collettivo della montagna, si ebbe solo con l’umanesimo e il risorgimento. Tentativo che fallì, poiché i canoni estetici del tempo, legati alla perfezione delle forme classiche, continuarono a trasmettere un’immagine negativa dei monti, che restarono esclusi dagli itinerari turistici del Gran Tour.
Trasformare il significato della montagna, implicava cambiare radicalmente la mentalità diffusa in Europa: solo nel Settecento questo significato acquisì un senso diverso, viste le profonde trasformazioni che vennero a diffondersi. Entrò in crisi l’estetica del classicismo: alla perfezione delle forme si sostituì l’amore per il caotico e la montagna diventò, per la prima volta, bella e suggestiva. Successivamente la rivoluzione scientifica permise di emancipare lo studio della natura dalla teologia, così che la montagna – e l’ambiente naturale in generale – divennero il nuovo laboratorio degli esperimenti e delle osservazioni scientifiche e non più la casa di streghe e giganti. La curiosità e a volte il fascino vero e proprio, sostituirono la paura.
Infine con la nascita del mito del buon selvaggio, reso celebre dagli scritti del filosofo Rousseau, i montanari acquisirono l’immagine positiva di una popolazione sana, semplice, non corrotta dalle abitudini della vita cittadina, e furono queste trasformazioni culturali a portare in montagna i primi cittadini. Lo scopo dei primi visitatori era quello di osservare, ossia attraversare le montagne, scalarle: per questo l’amore per le alte vette anticipò l’interesse per la montagna e l’alpinismo fu il precursore del turismo montano. Se i primi scalatori furono animati da scopi scientifici, ben presto il divertimento divenne la principale motivazione dei flussi. Per circa un secolo, dal 1760 al 1865, centinaia di appassionati si diedero appuntamento ai piedi dei monti più alti, guidati dal sacro fuoco della sfida, contro il tempo, contro di se stessi e contro gli altri. Esperienze che oggi definiremmo con il marchio registrato “No Limits”.
Furono gli inglesi a decretare il successo della montagna. La loro passione per le scalate non aveva motivazioni scientifiche, ma solo sportive e traeva origine dallo spirito di avventura (che ancora oggi rappresenta il pretesto per cui molti visitatori desiderano provare forme di turismo particolari e insolite) e l’amore per il rischio. I montanari europei continueranno, invece, a vivere la montagna solo per lavoro, come guide che accompagnavano le escursione turistiche.
Nel corso di un secolo l’alpinismo cambiò l’immagine della montagna, rendendola una meta attraente e affascinante, ma non riuscì a modificare la struttura insediativa del paesaggio: rimase una pratica troppo elitaria per poter garantire lo sviluppo di questi territori; inoltre conquistata una vetta, il flusso turistico si interrompeva, fatta eccezione per cime particolari come il Monte Bianco, la più alta d’Europa,o il Cervino, la più difficile.
Con la funzione di ospitare gli scalatori, nacquero le prime strutture ricettive, a partire da Chamonix, primo centro europeo di alpinismo, ben presto imitato da villaggi che sorsero ai piedi delle montagne svizzere. A sancire il successo di questo nuovo tipo di turismo non furono solo però gli scalatori, ma una clientela molto meno sportiva e assai più varia. Quiete, relax, un contesto rurale, aria pura furono le parole guida della vacanza in montagna dell’Ottocento. D’estate la montagna venne a svolgere una funzione simile, anche se inversa, a quelle delle coste meridionali in inverno: offrire un clima fresco per superare le estati calde. Le stazioni climatiche montane, ripercorsero le tappe del turismo termale e balneare, riproponendosi come ritrovi mondani dove far sfoggio del proprio status. Si è passati, dunque, da un messaggio di avventura, di rischio e di mistero, ad un messaggio di calma, di riposo e di tranquillità per il corpo e per lo spirito.
Il nuovo modo di vedere e di visitare la montagna , a metà Ottocento in Svizzera, portò le prime abitazioni ad aprirsi al turisti e portò anche piccole locande a gestione familiare che vennero ben presto seguite dalla costruzione di grandi alberghi,adatti ad accogliere una clientela internazionale di prestigio e capaci di attirare subito l’attenzione dei nascenti tour operator.
Dopo la depressione internazionale che colpì l’Europa nel 1873, ci fu la prima grande riorganizzazione dell’offerta ospitale nella storia del turismo svizzero, dove accanto alla riduzione dei prezzi si
cercò di migliorare la qualità dei soggiorni attrezzando i villaggi con “divertimenti artificiali” – ad esempio biblioteche di soggetto alpino, gallerie al coperto per passeggiare, giardini,
musica che accompagnasse le serate e sport. Quest’ultimo aspetto, in particolare, divenne l’imperativo dei soggiorni in quota solo dopo la scoperta della montagna in inverno. Gli sport sulla neve(il pattinaggio prima ancora degli sci che si diffusero solamente nel Novecento) crebbero di pari passo con il piacere e la salubrità del clima asciutto e dell’aria tersa. Seguirono altri sport come l’hockey sul ghiaccio, il curling e il tennis su ghiaccio.
Allo sviluppo del turismo invernale contribuirono anche i primi tour operator inglesi che organizzarono soggiorni di studio e di meditazione proprio sulle nevi svizzere.
Il luogo che più di altri è esemplare nel percorso di nascita delle vacanze in montagna è St. Moritz. Nel rinascimento molte persone vi si recavano per usufruire delle sorgenti di acque curative, ma questa attività non generò alcun tipo di investimento: i villeggianti venivano ospitati in case private e nessun tipo di struttura era mai stata realizzata nella zona delle sorgenti, per la strenua opposizione delle popolazioni residenti che non ritenevano opportuno investire in un’attività stagionale, fonte più di problemi che di reddito. La svolta di St. Moritz fu rappresentata dalla realizzazione del primo albergo nel 1856, per il quale furono necessari i capitali delle influenti famiglie zurighesi, mentre la comunità locale partecipò concedendo gratuitamente il terreno.
L’amministrazione comunale, stimolata dagli albergatori, iniziò a svolgere un ruolo molto più attivo, impegnandosi per il mantenimento di piste e campi per i vari sport; lo sviluppo della stagione invernale rafforzò la nuova immagine della cittadina: fu chiaro che dove esistevano grandi strutture, era necessario che la stagione fosse molto più lunga, di quella estiva. Venne adeguato, così, l’intero centro, comprese le infrastrutture, in modo tale da poter affrontare la stagione invernale e, soprattutto, in grado di rendere anche i mesi più freddi idonei alla vacanza.
Anche per lo sviluppo della montagna, infatti come per tutti i luoghi di particolare attrazione, è fondamentale che ci sia alla base una “mentalità turistica” che sappia arricchire di significato e di richiami simbolici il proprio territorio creando,quindi, motivazioni di viaggio.
Una notevole ricaduta pubblicitaria si ebbe con l’invenzione dei giochi olimpici invernali nel 1924
e non a caso proprio le sedi olimpiche divennero le mete più alla moda del turismo bianco.
A partire dagli anni Trenta si sono sviluppate diverse generazioni di insediamenti nei territori di montagna:
• le stazioni di sport invernali di prima generazione, sviluppatesi intorno al nucleo originario di un villaggio montano che passò direttamente da un’economia rurale ad un’economia turistica, adottando servizi e residenze;
• centri montani realizzati a quote più alte (1600 – 1800 m.) che segnarono il dominio degli sci, tanto che al centro degli insediamenti non si trovavano più i villaggi originari, ma gli impianti di risalita. Inoltre le caratteristiche di tali insediamenti, costruzioni di piccole dimensioni, molto curate esteticamente e che si snodavano lungo la strada per vari chilometri, non facilitavano la creazione di nuclei insediativi complementari di servizi e connotati da una vita sociale, e richiedevano un altissimo utilizzo dell’automobile(seconda generazione);
• nucleo abitativo di carattere turistico dove in precedenza non esisteva nulla, con un fortissimo impatto ambientale: iniziò così l’epoca dei blocchi di cemento(terza generazione);
• per evitare le negative conseguenze ambientali degli insediamenti realizzati nelle fasi precedenti, la quarta generazione di stazioni di turismo invernale cambiò radicalmente le proprie caratteristiche. Si ritornò a quote più basse,verso i 1400 metri altitudini che garantivano l’innevamento ma nello stesso tempo permetteva l’insediamento di residenti stabili.
Queste stazioni rappresentarono un ritorno alle origini: sorgevano attorno ad un cuore commerciale,
l’architettura era molto curata, le auto restavano all’ingresso dell’abitato, totalmente pedonalizzato, infine le stazioni più alte erano collegate con telecabine ed impianti di risalita, mentre quelle basse erano collegate da percorsi pedonali.
Complessivamente si cerò un impatto più dolce con l’ambiente, che oggi è diventato uno dei principali fattori su cui si sviluppa il turismo, ed è anzi un connotato ineliminabile se si tiene conto delle attese espresse dai turisti della più recente modernità che, come scrive il sociologo Costa, sono sempre più turisti “intellettualizzati”. La ricerca della purezza, il ritorno alla natura, lontano dalla città, dallo smog, ma, nello stesso tempo, senza privarsi dei divertimento, del relax, dell’esperienza inconsueta.
Dalle tenebre, al mistero, alla voglia di avventura fino ad arrivare ad un nuovo rapporto responsabile con la natura e quindi con le nostre radici e con le cose semplici: questo è ciò che comunica la montagna e questo è il modo con cui noi, oggi, la percepiamo e la vogliamo esperire come turisti.
di Laura Sunzini