Divertire e sorprendere: focus emozionali per residenti e turisti
Il tema del ruolo economico del Turismo, e più in generale di quello del loisir, offre l’occasione per riflettere su un settore che dà un significativo contributo alla crescita del PIL della città di Roma (e regionale) e si propone come un’area di sviluppo di nuove opportunità di lavoro e di intrapresa.
All’interno di questa valutazione c’è una più generale convinzione che all’intero comparto del loisir sia un terreno nel quale sono necessari forme e contenuti imprenditoriali nuovi, imposti, per di più, dall’obiettivo dichiarato di uno sviluppo significativo della vocazione turistica della città. L’uno e l’altro richiedono un salto di consapevolezza che deve coinvolgere tutta la città e il suo hinterland.
Intendiamo proporre questi obiettivi assumendo, noi per primi, la dimensione multidimensionale del comparto e le semplici conseguenze che questa concezione comporta: cominciando dalla categoria del loisir come contenitore economico più vasto di quanto non sia quella del turismo, fino all’assunzione del modello di distretto, sia pure implicito, attraverso il quale il comparto, nelle esperienze più avanzate, meglio si esprime.
Proponiamo di “leggere” il comparto del loisir, per così dire, dal lato dell’offerta senza troppi sociologismi sul turista, sui turismi e/o sui consumi del tempo libero. Nel nostro ragionamento, infatti, il tempo libero è la condizione e il motore di questo complesso di attività, così come l’altra condizione necessaria è la conquista della mobilità.
Non occorre indugiare troppo sul capitale di tempo libero che questa nostra società ci assicura e la sua crescita negli anni (sia pure grossolanamente, dal 1800 al 2000 si è passati da una disponibilità di 25.000 ore a 226.000) anche perché in una società liquida, come dice Bouman, diventano liquidi anche i concetti e dovremmo dedicare troppo tempo a convenire sulle definizioni. Basti pensare alle modifiche registrate dal DNA del “tempo libero” così come definito dal fordismo e dall’industrialismo, dal concetto di flessibilità o dalla categoria della professionalizzazione del lavoro.
Assumiamo, invece, come base di partenza, la constatazione della complessità del comparto, il fatto che vi concorre una molteplicità di prestazioni non tutte omogenee anzi, spesso, molto eterogenee, ma assolutamente complementari. Caratterizzate, tutte, da crescenti gradi di qualità erogativa e da standard produttivi in continua evoluzione, per il crescere dalla competitività degli altri sistemi (ovvero luoghi e prestazioni) all’interno del nostro stesso paese o negli altri paesi. E proponiamo, per rendere più immediate alcune parti del ragionamento, di assumere “l’ipertesto” come metafora di questo comparto. In particolare, l’obiettivo è quello di mettere in evidenza, come questo comparto richieda investimenti profondamente differenziati, oltre ad una complementarietà programmata degli interventi.
L’ipertesto, come tutti sanno, è rappresentato bene dai sistemi operativi dei nostri computer e da molti CD ROM . Come è nell’esperienza di tutti, una volta acceso il PC, il sistema produce una serie di finestre virtualmente aperte o utilizzabili, tra le quali è facile navigare. Il turismo moderno è esattamente questo, un sistema di virtualità emozionali che il turista apre e di cui fruisce seguendo le sue aspirazioni e i suoi bisogni o subendo le sollecitazioni dei modelli culturali.
Se questa metafora è vera, vuol dire che l’offerta turistica deve tendere a capire la gamma più vasta di strumenti in grado di divertire e di sorprendere. Da questo punto di vista il turismo, come il divertimento, non è nient’altro che un insieme di artefatti costruiti per essere ciascuno un focus emozionale. Quando più grande è la platea dei fruitori, reale o potenziale, tanto più grande (in genere più che proporzionale, come ci insegna la complessità) deve essere l’artefatto o gli artefatti necessari per soddisfarli. Anche se questa affermazione non è del tutto scontata, è tuttavia utile per rendere evidente che lo sviluppo della domanda implica investimenti con scale di valori e complessità geometricamente crescenti.
Al di là di queste cautele, l’uso del termine “artefatti” può non essere condiviso soprattutto in quelle concezioni di turismo, un po’ naives, fatte di una natura che illustra se stessa. Ma Roma è l’esempio, più eclatante della parzialità di questa impostazione, in quanto meta primaria di visitatori e di turisti proprio per i suoi artefatti architettonici e per un “focus” ideologico religioso.
Se accettiamo questa impostazione ne derivano alcune conseguenze sia sul lato della costruzione dell’offerta, sia sul lato della concorrenza.
Diversificazione e moltiplicazione delle occasioni di interesse
Non è difficile, concettualmente, costruire un luogo capace di attrarre l’attenzione al punto da determinare una specifica mobilità ai fini della sua fruizione; caso mai è più difficile conservarne la capacità attrattiva nel tempo o incrementarne il godimento. L’esperienza insegna che questi obiettivi si conseguono moltiplicando e segmentando le occasioni di interesse.
Il primo procedimento, la moltiplicazione delle occasioni, allunga i tempi di attenzione, ma soprattutto consente sequenze di fruizioni in grado di rinnovare la dimensione della sorpresa. Dall’altra parte segmentando l’offerta, si amplia la gamma dei potenziali utenti e si produce un implicito effetto di trascinamento dell’una opportunità sulle altre, almeno, per contiguità. Ma, qualunque sia il focus emozionale, questo si esprime nella dimensione spaziale e nella sua teatralizzazione, ed è per questo che la componente urbanistica assume un ruolo prioritario nel costruire le occasioni del divertimento e della offerta turistica.
La prima operazione da compiere, quindi, riguarda la città, il contenitore architettonico che, come si è soliti rilevare, la modernità ha in parte dequalificato e desemantizzato. Credo che si possa convenire con chi ritiene che il primo problema da affrontare è che la perdita della maggior parte delle sedi simboliche tradizionali, da quella politica a quella commerciale (ad esclusione di quella religiosa) non ha ancora condotto alla ri-creazione di nuovi poli di attrattività fortemente identitari.
Questo è ancora un vantaggio perché consente di porsi, credibilmente, obiettivi ambiziosi di recupero e riqualificazione di parti anche meno conosciute della città. Anzi è questa la condizione per la moltiplicazione dei siti e delle occasioni.
Dal punto di vista del turismo, poiché questa pratica si carica di valenze significative solo nella discontinuità e nell’artefatto capace di incanalare e suggerire quello che Jhon Urry’ ha definito lo “sguardo romantico”, occorre operare perché si comincino a ri-isolare elementi, manufatti, porzioni della città magari marginali, caricandoli di specificità emotive e avendo cura di distinguerli – anche artificiosamente – dalla quotidianità.
In tal senso, non c’è spazio, manufatto che teoricamente, non possa offrirsi come oggetto di fruizione turistica e ludica: la condizione è, appunto, che attraverso un processo di separazione e di focalizzazione, esso sia caricato di valenze straordinarie, nel senso etimologico del termine. Ed è altrettanto condivisibile che, in assenza dei necessari artifici, qualunque luogo “eccezionale”si banalizza e perde di identità e non è più in grado di suscitare emozioni.
Ora, se è vero che si tratta di un processo emozionale, delicatissimo nella sua costruzione e conservazione, la dimensione spaziale, (che di questo processo è il contenitore o la strutturazione fisica) è dunque, il primo tra i problemi che devono essere affrontati in questo campo. Non credo che occorrano molti esempi. Si pensi alla dimensione ludica: oggi non è pensabile il divertimento fuori dalla struttura urbana, ma non è neanche pensabile che esso sia diffuso, destrutturato, perché
confliggerebbe con la quotidianità razionale efficientista.
Mai come in questi tempi occorre che il divertimento sia espresso in dimensioni spaziali circoscritte, vocate, ma al centro di reti fisiche e culturali perfettamente mantenute.
Questa considerazione vale ancora di più se, nel divertimento, isoliamo il gioco. Che cosa c’è di più
inconsueto, nella grande struttura urbana moderna, del gioco? Eppure, se da sempre limitato nel tempo e nello spazio, oggi il gioco sembra riguadagnare in ampiezza e in temporalità. Ma è proprio la sua diffusione, la sua distribuzione, che tendono a ricondurlo alla normalità, il caso delle sale Bingo ne è un esempio.
Anche in questo contesto, l’eccezionalità determina, di fatto, il contenuto dell’attrattività. Paradossalmente funziona meglio lo spettacolo viaggiante, il luna park mobile, che non quello fisso. L’esempio più eclatante è il caso del Luna park dell’Eur che è esattamente la mera staticizzazione di una struttura viaggiante e quindi incapace di sorprendere. Se al Luna park si è soliti affidare l’esercizio generalizzato dei giochi di vertigine (per usare la tassononia di Caillois), quello dell’Eur non è in grado neppure di soddisfare il più modesto ruolo di meta alternativa per i turisti più giovani, ben più smaliziati e abituati a parchi giochi di diverso spessore e attrattiva. Forse c’è più “vertigine” nel prendere la linea “64” nell’ora dei borseggiatori, soprattutto se c’è un po’ di polizia in borghese.
E’ evidente che il futuro è dei grandi parchi tematici, nella misura in cui sappiano incorporare e interpretare il connotato dell’avventura. Da questo punto di vista, perfino il futuro Parco tecnologico potrebbe diventare luogo di loisir, e di intrattenimento, soprattutto nelle sue manifestazioni meno sofisticate, come avviene, del resto in altre realizzazioni simili in Europa e fuori . Se la multimedialità e la fiction saranno in grado di acquistare una dimensione internazionale, potranno esse stesse essere strutturate e proposte come mete seduttive e di piacere.
L’economia del tempo libero
Qualunque sviluppo delle attività turistiche e del loisir, dunque, richiede una particolare sensibilità urbanistica e non specifica capacità di strutturazione del territorio. Solo in pochi casi questa consapevolezza si è espressa, come sarebbe giusto e necessario, in sede di pianificazione urbana. E’ sorprendentemente, il caso di Roma, dove sono state fatte delle analisi specifiche sulle modalità e frequenze d’uso del territorio urbano, determinate dalla crescente domanda di servizi per il tempo libero; analisi che hanno contribuito a influenzare le strategie adottate dal nuovo Piano Regolatore Generale (vedi articolo di Imbesi pubblicato a pag. 36).
Un secondo suggerimento che deriva dall’assunzione della metafora dell’ipertesto è che, nella navigabilità che questo strumento garantisce, le “finestre” devono essere in grado di soddisfare bisogni diversi. Il fascino, per non dire la rivoluzione, introdotta dall’ipertesto, è proprio quello di tenere insieme contenuti diversi, anzi di affidare il suo successo alla sensazione, primo ancora della capacità, di potervi trovare di tutto. Una sorta di vaso di Pandora. Esattamente quello che ogni turista si aspetta dalla sua “vacanza”.
Molteplicità e integrazione, questa è dunque la condizione del successo. Questa impostazione induce la necessità di una vivacità e creatività propositiva, che la competizione domestica e internazionale, obbliga a realizzare sempre più in una dimensione imprenditoriale. Forse in nessun altro comparto si sta producendo, in modo così visibile e per certi versi culturalmente affascinante, il processo di professionalizzazione prima, di imprenditorializzazione poi, dell’impresa turistica o ludica. Basti pensare a quello che è accaduto negli agriturismo. Ma, per restare nella città, si pensi solo all’evoluzione dell’attività di bed & breakfast, che va perdendo il suo carattere spontaneistico per assumere – sempre più – la forma di un sistema organizzato.
Concordo pienamente con Riccardo Varaldo che, in un libro recentemente pubblicato, suggerisce che ormai conviene parlare di “industria del tempo libero”, perché, utilizzando questo concetto, si dà in modo pieno il senso della strutturazione e dell’integrazione necessaria tra i vari settori produttivi e della necessità di una loro “confluenza” in un’unica macroattività. Si tratta di una consapevolezza che matura proprio, in questi anni di grande sviluppo dell’offerta e della domanda di turismo e dei servizi al “loisir” e sulla quale occorre sviluppare attenzione programmatoria e sensibilità imprenditoriale. Anche pochi anni fa sarebbe stato inconsueto parlare del tempo libero come “economia del tempo libero” o parlare di economia dello sport, di economia dello spettacolo o di economia dei Beni culturali. Ricordo che il primo libro sistematico e accademico che affronta il patrimonio museale come un prodotto, in competizione con altri prodotti nella sua capacità/possibilità di catturare l’attenzione, risale al ’98. E’ il “Marketing dei musei” dei Kotler, pubblicato in Italia nel 1999.
Questo non vuol dire che prima c’era il vuoto. I processi di arricchimento e articolazione dell’offerta museale, ad esempio, risalgono, per l’Italia, alla Legge Ronchey. Il problema è che, ad essere nuova e moderna è l’interpretazione del museo come “impresa” e cioè come un insieme di risorse per un’opportunità economicamente rilevante. E, come in ogni impresa, occorrono risorse economiche, risorse umane – una variabile sempre più critica quanto più rilevante è la componente di intraprenditorialità che la struttura deve, nel suo complesso, inglobare – e, infine, una clientela, spesso da educare, da costruire e da conservare.
Il fattore, dunque, cruciale dell’economia del loisir è l’offerta: la sua molteplicità espressiva (pensiamo alla metafora della larghezza di banda nei processi comunicativi, usata da Kolter, per classificare la sola tipologioa dei musei), la sua combinabilità, la capacità di interazione valorizzante. Non è un caso che si ricorra – sempre più spesso – al modello del distretto, come rappresentazione dell’approccio produttivo da assumere. E in questo senso soccorre l’approccio che Civita ha assunto per alcuni suoi interventi, come quello di Noto e quello di Viterbo, sul quale si sofferma Francesca Neri nel suo intervento a pag.43.
La capacità di integrazione alla dimensione urbana anche nel territorio extraurbano, più o meno limitrofo, è, infatti, uno dei modi di conseguire quella moltiplicazione dei poli emozionali di cui abbiamo detto. Non che questo aspetto sia inconsueto o straordinario: nell’offerta museale e dei siti
monumentali di Roma, per esempio, è abbastanza frequente includere quella di Tivoli. Ma l’impressione è che su questa strada si debba fare molto di più, proprio in termini di progettazione e promozione e articolazione dell’offerta. In questo senso si può pensare anche al ruolo di un rinnovato turismo balneare per una città che è stata anche uno dei principali porti nel Mediterraneo dell’antichità e che ancora conserva vestigia di inestimabile valore a due passi dagli stabilimenti di Ostia e Fiumicino.
Per finire, se vogliamo completare il quadro delle conseguenze che derivano dall’uso della metafora dell’ipertesto, oltre alla capacità di moltiplicare l’offerta, che vuole dire moltiplicare le occasioni di imprenditorialità e costruire le condizioni finanziarie e umane capaci di garantire un adeguato standard, c’è la potenzialità di quello che si può definire “capacità di interazione valorizzante”. Anche in questo caso il concetto è abbastanza chiaro, ma l’impressione è che non sia affidabile solo ad una “carta dei musei” o a qualche forma di integrazione tra gastronomia e sport o al fatto che in tutti gli alberghi ci sia, o si possano trovare informazioni sui musei aperti o sugli eventi in corso.
Ci muoviamo ancora, in generale, in una dimensione che potremo dire passiva nella valorizzazione del prodotto loisir, mentre appare sempre più importante avere una capacità di indirizzo e di programmazione, affrontando, prioritariamente, due aspetti: da una parte la capacità di stimolare l’innalzamento della qualità dell’offerta imprenditoriale esistente, e dall’altra la crescita in sensibilità e attenzione del contesto socio culturale.
Risorse, vantaggio competitivo e rendita di posizione
Sul versante della dimensione imprenditoriale, occorre tener conto della forte “rendita da localizzazione” che, tra l’altro, può spiegare un certo ritardo dell’offerta turistica romana. E’ una condizione che non riguarda solo Roma, ma forse tutto il territorio nazionale che, come sappiamo, gode di una rendita di posizione rappresentata dalla presenza di un rilevantissimo patrimonio storico e artistico che è diffuso su tutto il territorio. Ed è noto che la “rendita da localizzazione” in genere “scaccia l’offerta buona” imponendo una qualità “media” e prezzi elevati. Ma è bene che il mondo delle imprese ricordi che questa condizione di favore tende ad indebolirsi, in un mercato sempre più concorrenziale, e che le politiche di difesa sono sempre più modeste nei risultati soprattutto quando si è costretti ad andare, sempre più, al di là del turismo culturale e religioso, sia per il complicarsi della domanda, sia per la necessità di protezione delle risorse che assicurano il vantaggio competitivo.
Ci dovrà essere un salto imprenditoriale, di cui si incominciano a vedere i primi segni già nel comparto ricettivo, e poi sull’offerta museale, in piena ristrutturazione alla luce dell’insufficienza
delle attività di diversificazione che erano e restano sostanzialmente di contorno. Questo comporterà un diverso atteggiamento anche sul lato del credito, che dovrà assicurare le dotazioni finanziarie necessarie a grandi investimenti e a grandi produzioni. Non sarà facile per un settore già in difficoltà nel campo dei servizi più avanzati, e sicuramente in affanno in un campo in cui non vi sono, ancora, esperienza valutativa e di finanza consolidate alle quali appoggiarsi.
Per quanto riguarda il secondo aspetto , relativo al contesto socio culturale, nonostante gli sforzi che pur sono stati fatti, manifestamente permane una generale carenza culturale di attenzione, conoscenza e comprensione di questa nuova industria, a tutti i livelli.
Basta ricordare che Roma che gode del più alto tasso di notorietà internazionale fra tutte le città mete turistiche d’Italia (il 54,2% contro il 28,9% di Venezia, secondo i dati rilevati dall’indagine su “La marca d’Italia” promossa qualche anno fa dal Dipartimento del Turismo) non ha, di fatto, una tradizione nel campo degli studi del settore e della formazione specialistica di alto livello. A Milano,come è noto c’è ormai da 17 anni un master per gli imprenditori e manager turistici. A Roma
il master in Economia del turismo dota tre anni di attività. Le cattedre di sociologia, di economia e di marketing del turismo sono state attivate, solo da poco tempo. Non c’è un “luogo intelligente” dove le esperienze nazionali, internazionali e locali si possono sedimentare con un effetto benefico, sia sugli operatori, sia sui mediatori culturali, a cominciare dalla stampa specializzata. D’altra parte, non sfugge, che per la stampa di informazione, il turismo è quasi sempre notizia di interesse solo per i risvolti critici o negativi e di cronaca. Chi non ricorda le battute che circolavano sui Romani pronti a trasferirsi pur di non dover subire gli sconvolgimenti che la stampa paventava per il Giubileo?
Cultura turistica e promozione d’impresa
Roma è una città sostanzialmente aperta, forse è l’unica metropoli con fisionomia internazionale, ma resta una città incapace di capire e confortare la sua vocazione turistica. La quotidianità dei romani e l’industria del turismo, nonostante la sua pervasività, restano mondi separati. All’interno dell’industria turistica le varie offerte difficilmente dialogano, non scatta quel meccanismo sinergico in grado di trasformare in un “domino” l’insieme delle tessere, che prese singolarmente, anche se di grande valore attrattivo, non costituiscono un sistema di offerta.
Da questo punto di vista, è sperabile che il progetto di costituzione di un Centro di eccellenza negli studi turistici all’Università “la Sapienza”, trovi il modo di diventare al più presto operativo e che, nella sua struttura , sia possibile ricomporre larga parte dei soggetti che a questa industria sono interessati ed attenti, a cominciare dallo stesso BIC, che si candida a trasferire, per quello che è possibile, la sua decennale esperienza nella promozione di impresa e nel sostegno allo start up.
E’ chiaro che tutto il ragionamento fatto è parziale, al di là della sua correttezza, proprio perché come dichiarato in apertura ci siamo occupati solo di offerta (Gli atteggiamenti della domanda turistica rispetto all’offerta museale sono analizzati nell’articolo del direttore della rivista, a pag.51). Ma riteniamo che questo non sia stato un limite sia perché crediamo che ci sia ancora molta tela da tessere sul piano delle proposte, delle iniziative, della progettazione di eventi, sia perché è sul versante della qualificazione imprenditoriale e della virtualità imprenditoriale che vogliamo attirare l’attenzione e il confronto.
Naturalmente si tratta di una sensibilità che ci deriva anche da essere il BIC Lazio, un soggetto sensibile per missione e professionalità a questi temi che può offrire attenzione e sostegno a cominciare dalla decisione di costruire un nuovo incubatore cittadino, che sarà allocato in un luogo della tradizione imprenditoriale romana, l’ex Pantanella. Un incubatore che vuole essere un contributo a creare imprenditoria, a cominciare, proprio, dai servizi per il turismo e per il loisir.
Il caso di Roma, del resto, può essere visto come una situazione emblematica perché la moltiplicazione e la diversificazione dei focus emozionali non trovano un limite nel perimetro delle aree metropolitane ma possono interessare vasti territori: solo nel Lazio, per esempio, la creazione di nuove imprese nell’area di Bracciano o dei Monti Lepini, rappresentano testimonianze di sviluppo autocentrato dell’economia locale basato sulle attività culturali e di intrattenimento.
di Mario P. Salani