La Salute delle Aziende Termali

Superamento dell’intervento pubblico e valorizzazione turistica

Il comparto termale soffre, a guisa di male endemico, di eccesso e di normativa e di distribuzione di competenze, talché risultano impervie l’individuazione e  l’imputazione delle responsabilità.

Infatti il settore non è agevolmente riconducibile ad unità concettuale e/o organizzativa, dacché occorre far riferimento a diverse amministrazioni centrali di volta in volta coinvolte: industria (la materia è disciplinata, a livello statale, dalla legge mineraria n. 1443 del 1927), sanità ( con rinvio alla regolamentazione  sanitaria degli stabilimenti termali) e turismo: la mancanza di norme di coordinamento tra  le diverse discipline ha creato non pochi problemi a livello di gestione e di interpretazione.

A ciò si aggiunge il trasferimento di funzioni alle regioni, avvenuto in due fasi successive: con i decreti presidenziali  nn.  2/1972 e 616/1977.

La più recente  indagine –riflessione sul settore termale, quella condotta dalla Società di consulenza direzionale Studio Base, è stata resa pubblica nel luglio dello scorso anno in occasione della Consulta nazionale del termalismo.

All’indagine  hanno collaborato i nove decimi del complesso delle aziende termali italiane, composto da circa trecento unità distribuite in centocinquanta comuni , che presentano caratteristiche socio-economiche assai diverse fra di loro: aziende di natura pubblica (comunali, provinciali, regionali o a partecipazione statale) o di matrice privata. Il settore, negli ultimi anni non se la passa granché bene, tant’è che con decreto-legge n. 57/1993 se ne riconobbe lo stato di crisi strutturale. Inoltre le leggi finanziarie succedutesi dal 1992 ad oggi hanno concorso a peggiorare la situazione con l’aumento dei  ticket richiesti per usufruire delle cure termali; con la contrazione del numero delle patologie che possono trarre reale beneficio dalle cure medesime (v. decreto ministeriale del 12 agosto 1992, che ha anche fissato le condizioni di ammissione dei lavoratori subordinati a fruire delle prestazioni ad di fuori delle ferie e dei congedi ordinari, dettando contestualmente  un più severo regime di controlli. Ulteriore provvedimento del ministro della Sanità, datato del 16 aprile 1993, ha allargato, sia pure in misura irrisoria, il numero delle patologie riconosciute. L’elenco delle patologie sarebbe dovuto rimanere in vigore fino al 30 giugno dello scorso anno, termine successivamente prorogato al 31 dicembre – ma  sinora con un nulla di fatto – per consentire al Consiglio Superiore di sanità indicare nuovi criteri sia per l’individuazione delle patologie sia  per le modalità di valutazione dell’efficacia della terapia termale) e, infine, con l’abolizione del congedo straordinario per i dipendenti pubblici.

Dal 1991 al 1993 è sceso tanto il fatturato globale del settore (meno 19,5%) quanto quello riferito al Servizio sanitario nazionale (37,9%), Nello stesso periodo i curanti sono diminuiti del 31%. Conseguentemente ne hanno risentito sensibilmente l’occupazione: a parte il maggior ricorso alla cassa integrazione, è stato soprattutto lo stagionale a denunciare perdite sensibili in termini di posti di lavoro pere un 19,6% nel biennio considerato.

A  fronte, quindi, della crescita  dell’incidenza del conto del personale rispetto al fatturato, passato dal 50,8 al 55,08%, è parallelamente diminuito, nella misura dell’11,98%, il numero dei collaboratori, quindi, medici, paramedici e via elencando.

La crisi, sulla quale nel numero 3 di luglio-settembre 1993si era anche soffermato, sia pure in estrema sintesi, il trimestrale Turistica,non poteva – com’era più che ovvio attendersi – investire anche l’indotto turistico, stimato applicando, secondo un’ipotesi formulata dal Censis, il moltiplicatore 12 per ogni lira  spesa all’interno delle strutture termali. Sempre secondo la ricerca di Studi Base, alla ripresa osterebbero due tipologie di vincoli:

  1. culturali, dovute vuoi a insufficienza di attenzione verso le terapie preventive e riabilitative e di educazione sanitaria, vuoi al timore di incentivazione all’assenteismo del personale dipendente, gran parte del quale vivrebbe spensieratamente la permanenza alle terme come prolungamento delle ferie. Nella realtà, riferita al 1993, meno del 5% dell’intera clientela si trovava in regime di congedo straordinario;
  2. tecnico-fiscale, individuabili nell’assenza di ammortizzatori sociali: nell’indetraibilità dell’iva per beni e servizi   acquisiti per attività termali; nell’imposizione fiscale e livello locale (Ici, nettezza urbana) calcolata su base annua e non commisurata alla durata dell’attività stagionale e, da ultimo, nell’esosità della tassa di depurazione delle acque reflue che, tra l’altro, si presenta differenziata sul territorio nazionale.

Stando alle indicazioni della stessa società di ricerca, le aziende termali stanno reagendo al trend negativo con il razionalizzare i servizi erogati, accrescendone la qualità e con il sollecitare le pubbliche autorità a non aggravare ulteriormente il quadro normativo di riferimento e ad adeguare le tariffe dei cicli di cure termali al tasso di inflazione corrente.

Resta da valutare, come problema nel problema, la presenza pubblica nello sfruttamento  delle acque termali. Le terme pubbliche sono quelle di Montecatini, Recoaro, Chianciano, Salsomaggiore, Acqui, Merano, Agnano, Castrocaro, Salice Terme, Santa Cesarea e Casciana, oltre alle Stabiane  e alle Sibarite, e contano tremila addetti.  Il valore di mercato di queste aziende è stimato intorno ai 1.800 miliardi.

Attualmente, con l’articolo 7 del decreto legge n. 1/1995, si intende provvedere a trasferire, nel quadro della politica delle privatizzazioni, il pacchetto azionario ex-Eagat al Ministero del tesoro. La dismissione delle partecipazioni avverrà sulla base delle relative disposizioni legislative, privilegiando  per quanto possibile la valorizzazione delle aziende interessate, con riferimento all’importanza che esse rivestono per l’economia generale ed in particolare per gli interessi turistici degli enti locali.

Posto che il contenuto dell’art. 7 venga recepito tal quale dal disegno di legge di conversione (atti Camera, n. 1842) si renderà necessario un provvedimento di carattere amministrativo atto a disciplinare le procedure di dismissione delle attività termali dell’ente, istituito nel lontano 1958, soppresso vent’anni dopo, con l’affidamento  delle a operazioni  al comitato di gestione di cui alla legge n. 267 del 1977.

I tredici complessi termali, hanno chiuso il 1993 con ulteriori perdite rispetto all’anno precedente, di per sé già non brillante.  Il loro prodotto andrebbe riposizionato attraverso la valorizzazione sanitaria delle prestazioni e la valenza turistica dell’impresa. Aziende da porre in ogni caso al riparo da eventuali azioni speculative di ordine finanziario, immobiliare e sociale.

Interessante al riguardo la presa di posizione di Federalberghi, contraria a privatizzare. Secondo una nota diramata dall’Ansa il 7 ottobre, gli operatori turistici  del settore valutano infatti che “la formula più vicina

alle reali esigenze delle terme, in grado di rilanciare l’economia fondata quasi esclusivamente sul termalismo, sia l’avviamento di rapporti misti di concessione o di affitto tra i consorzi costituiti tra  privati (albergatori e pubblici esercizi)  ed enti locali (comuni, provincie, regioni). Viè infatti la certezza che in tutti e tredici le realtà economiche ci sia una diffusa volontà di partecipazione alla gestione delle attività termali, anche attraverso forme di azionariato popolare”.

In sede parlamentare, durante tutto l’anno scorso, il dibattito non è andato molto al di là di una presa d’atto dei quattro progetti di legge che si confrontano nell’ambito delle competenti  commissioni  riunite. Affari sociali e Industria, della Camera : si tratta esattamente delle proposte avanzate, rispettivamente, da  parlamentari appartenenti ai gruppi  Progressista Federativo ( n. 197), Rifondazione comunista (n. 784), Centro cristiano democratico (n. 1082) e Alleanza Nazionale (n. 1219).

In ogni caso, tra le tante soluzioni possibili (public company, cessione ad enti territoriali, privatizzazione tout court) è auspicabile che la gestione societaria sia trasferita al più presto  ai privati,  aprendo, se è il caso, anche al mercato comunitario, mentre la proprietà, soprattutto quando si fa riferimento a beni di grande valore ambientale (parchi, boschi e quant’altro del genere) dovrebbe continuare a restare di mano pubblica. In altri termini  va ricostituito il modello di sviluppo del termalismo nazionale, rimettendo il complesso termale ex-Eagat agli enti territoriali, perché a loro volta ne affidino la gestione ai privati con forme precise di affitto a lunga scadenza, attraverso gare d’appalto le più aperte possibili alla concorrenza.

E’ giunto in libreria, dovuto alla penna di W.Pasini  (Il cibo e l’amore) un volume strutturato in quattro parti, l’ultima delle quali è dedicato alle terapie. Soffermandosi sul  tema “psicoterapie e termalismo”, l’autore annota che “sono ormai cinquant’anni che è stata istituzionalizzata la possibilità di passare qualche settimana a curarsi nelle zone termali”, delle quali cita espressamente, richiamandone la specializzazione, Chianciano, Montecatini, Fiuggi, Montegrotto, Ischia e Salsomaggiore, notando come il bisogno di cure mediche si accompagni al desiderio di cambiare aria (pare in tutti i sensi). Maliziosamente il nostro osserva che, accanto alla coppia, alla ricerca di una vacanza di salute, si presentano alle terme i single, colà giunti nella speranza di allargare i propri orizzonti  culturali e non solo, ancorché per lo spazio d’una settimana o poco più.  Tale premessa soccorre al noto psichiatra  per sostenere subito dopo come la gran parte dei centri termali abbia ormai “spostato la propria area di intervento dalla cura della malattia al raggiungimento del benessere” senza oggettivi,  destando in chi frequenta stabilimenti termali attese ormai anche  psicologiche. Affermazione suffragata da un sondaggio svolto (estate 1993) alle terme di Saturnia e da cui si ricava che le motivazioni collocate alla base di una vacanza non sono soltanto   da ricercare nella sola terapia termale, dal momento che esse appaiono discendere da ragioni complesse, elle quali gli stessi centri termali non possono non tener conto”.

Pur tuttavia, e menando il discorso in termini più generali, non sembra che l’offerta termale, almeno a livello di sistema, abbia saputo, con lucidità e  prontezza  in assenza di un progetto d’ampio respiro, modellarsi in relazione alla mutazione della domanda.

L’estatica contemplazione  del bulicame ( e il conseguente, deleterio, atteggiamento da  rendita di posizione da parte degli operatori, unitamente alla svogliatezza del legislatore e alla vaghezza dell’esecutivo) dovrebbe aver fatto il suo tempo.

di Bruno Nobile

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