Varato il decreto del Presidente del Consiglio previsto dalla legge 135
Finalmente è stato varato l’atteso Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (13 settembre 2002) sette mesi dopo l’accordo sottoscritto tra Stato, Regioni e Provincie autonome che, a febbraio di quest’anno, avevano “ deciso di decidere”. Un po’ di complicazioni inutili, non si negano a nessuno.
Dunque, questo neonato decretino regolerà “l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico” come prevede il primo articolo del DPCM? Nemmeno per sogno. Come tutti i neonati, rimanda al futuro e, infatti, accerta e dichiara che tutte le questioni che riguardano il turismo, peraltro già diligentemente specificati nella legge 135/2001, verranno regolate dalle Regioni e dalle/ Province autonome. Bella scoperta!
C’è da aggiungere poi che, oltre alla ripetizione pedissequa di quanto già elencato minuziosamente nella legge di riforma che prevedeva l’emanazione, il decreto non manca di sottolineare, con la dovuta retorica, alcune banalità, laddove prescrive che debbano essere rispettate le leggi sull’abbattimento delle barriere architettoniche e la tutela dei disabili, le norme sulla sicurezza e sul rispetto dell’ambiente, e che debba essere garantita l’applicazione delle condizioni normative e salariali stabilite dai contratti collettivi di lavoro.
Va bene che viviamo in tempi caratterizzati da una forte sensibilità giuridica dove le leggi, se scomode, vengono modificate o abrogate, ma serve un decreto per dire che le leggi vanno rispettate?
Quest’ultimo parto giuridico ha radici che partono dalla legge Bassanini (15 marzo 1997 n.59) di delega al governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Quella delega portò all’emanazione del decreto legislativo n. 112 del 1998 che consentiva allo Stato “la definizione, in accordo con le Regioni, dei principi e degli obiettivi per lo sviluppo e la valorizzazione del sistema turistico” attraverso linee guida da emanarsi, entro sei mesi, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ma non se ne fece nulla.
Poi, a febbraio 2001, è venuta la legge 135 che, nel definire “i principi e gli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico”, elenca tutti gli argomenti che avrebbero dovuto essere regolati con un altro decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro sei mesi. Ed ecco ora il decreto, che però è arrivato fuori tempo massimo, perché intanto è successo qualcosa di veramente innovativo di cui però il recente DPCM tace pudicamente. Ci riferiamo al referendum popolare del 7 ottobre 2001, con cui è stata definitivamente approvata la legge costituzionale sull’ordinamento federale della Repubblica (legge n. 3 del 18 ottobre 2001), che ha cambiato sostanzialmente le carte in tavola.
Il turismo è, così di esclusiva competenza regionale e se ne deduce che la legge 135 non può essere applicata nella parte che contrasta con le nuove norme costituzionali.
Ma perché questa legge di modifica costituzionale non viene nemmeno citata nelle premesse del DPCM del 13 settembre 2002? Come mai un provvedimento di così alto spessore giuridico, comunque prevalente rispetto alla legge ordinaria, viene del tutto ignorato? Si vuole oggi ritenere vivo e vitale un provvedimento tardivo che avrebbe potuto, anzi “dovuto” per legge, essere emanato nel 1998 e poi nel 2001, ma che oggi non ha più la base giuridica su cui fondarsi? In effetti, la stessa inconsistenza del DPCM conferma che sull’argomento lo Stato non può decidere proprio niente e che saranno le Regioni e le Province autonome a doversela vedere con le proprie regole interne. E le regole di Regioni e Province sono un altro nervo scoperto del “sistema turistico” che, peraltro e per fortuna, se la sa cavare di suo, nonostante l’iperattività legislativa regionale che continua a regolare minuziosamente tutto, anche la presenza del cestino della carta straccia nelle camere d’albergo, secondo parametri e logiche che variano da regione a regione.
Quindi, le regole in campo turistico rimangono disorganiche; ogni regione ha fatto e fa come vuole. Ne sono un esempio le varie leggi regionali emanate successivamente al 1999, che sono pubblicate nel riquadro a lato.
Le regioni, dunque, agiscono come meglio credono, ciascuna nella convinzione di muoversi secondo principi di politica economica e sociale di assoluta rilevanza. Così continueranno, è prevedibile, dopo l’approvazione di questo DPCM che – ma come poteva non farlo? – rimanda tutta l’eventuale disciplina di argomenti seri, come l’individuazione delle tipologie di impresa, le modalità di esercizio, gli standards di qualità, i livelli delle cauzioni ed altro, a successivi provvedimenti che saranno adottati d’intesa con le Regioni. Staremo a vedere se queste intese ci saranno. Per ora, i destinatari di tali iniziative legislative e regolamentari, imprese e cittadini, italiani e stranieri, sono – e lo saranno di più in futuro – subissati da un’abbondanza di disposizioni, classificazioni, provvedimenti.
Un fiume di parole, criteri, elencazioni che non trascurano di distinguere con ossessiva precisione centinaia di requisiti minimi qualitativi per la classificazione di alberghi, motel, villaggi albergo, campeggi, residences, ed altre strutture ricettive, ivi compresi banalissimi oggetti d’uso, dotazioni indispensabili e ovvie, servizi e strumenti vari, che si trovano in ogni abitazione, apparecchi televisivi, radio o filodiffusioni,telefono, telefax, talvolta computers, ma che, in genere, ignorano gli allacci per i collegamenti internet a disposizione dei clienti o gli indicatori di qualità relazionale della struttura ricettiva o gli skillis professionali dei dipendenti o degli operatori di contatto.
Ma insomma, alla fine, tutte queste norme a cosa servono?
In generale la legge deve servire a regolare attività e comportamenti per garantire e facilitare rapporti civili tra i cittadini, deve essere utile ai suoi destinatari deve intercettare e rendere possibile il soddisfacimento delle loro esigenze, altrimenti non vale la carta su cui è scritta.
Allora quest’ultimo DPCM, cui prodest? Alle Regioni? Alle imprese? Ai cittadini? Agli ospiti? Al sistema organizzativo e alle politiche dell’accoglienza?
Certo è che non aggiunge nulla, né innova alcunché. Le nobili parole e i principi che vengono diffusi nei due articoli di cui consta, sono assolutamente inoppugnabili perché illustrano concreti radicati nel nostro sistema giuridico o connotati da elementare buon senso: vuoi che il CIPE non debba valutare nell’utilizzo dei fondi comunitari l’attivazione di iniziative e strumenti di natura intersettoriali e/o infrastrutturale,volte a favorire lo sviluppo economico in campo turistico,ovvero inserite in programmi complessivi di più vasta portata? Oppure che non si debbano favorire lo sviluppo di zone connettive, o che nella programmazione di infrastrutture non si debba tenere “conto delle esigenze e delle possibilità di sviluppo turistico dei territori di riferimento”?
Va da sé che questi sono elementari principi di ordinaria buona amministrazione che potrebbero essere tranquillamente utilizzati in testi didattici ma che sono, oggettivamente, sottintesi in ogni provvedimento normativo.
Le regole giuridiche hanno costi materiali ed immateriali notevoli che sono l’intelligenza ed il tempo dei parlamentari, i consiglieri, governatori, assessori, dirigenti e funzionari che le producono e quelli dei cittadini che ne sono destinatari, E dunque anche per le regole giuridiche dovrebbero esistere valutazioni di economicità, intesa come convenienza sociale ed economica , a vantaggio di tutta la collettività o almeno di una parte notevole di essa.
Ogni progetto di nuova regola dovrebbe porsi delle domande:
• perché? Ovvero quali sono i bisogni, le esigenze insoddisfatte che saranno tutelati con le nuove regole;
• come? Ovvero in che modo il nuovo prodotto giuridico svolgerà la sua funzione;
• in quali relazione entrerà con le altre regole già esistenti?
• è in grado di garantire che tali rapporti saranno produttivi?
• qual è il suo rapporto costi/vantaggi economici e non.
Solo dopo aver valutato le risposte a queste domande, il “legislatore” dovrebbe responsabilmente procedere all’emanazione di nuove regole.
Ma questo non avviene, e ne sono una prova di centinaia di migliaia di leggi, regolamenti, decreti attualmente in vigore. Ed il turismo non fa eccezione con le sue circa 400 leggi regionali che rendono impossibile, per imprese, turisti e cittadini, una partecipazione informata alla produzione ed al consumo turistico. In realtà imprese e cittadini se la sfangano anche in presenza del “fuoco amico” di leggi, leggine commissioni, comitati, per lo più autoreferenziali, che – per fortuna – non riescono a frenare lo sviluppo, sia pure disordinato del sistema turismo. Avere ventuno punti di produzione di regole invece di uno solo, migliora la qualità della vita della gente solo se le regole sono poche, chiare e utili, ma la soffocano se queste regole sono tante, ambigue e ridondanti.
Ora, in questa iperproduzione di regole, a cui si aggiunge anche il recente DPCM, non c’è come abbiamo visto, un richiamo alla più importante legge varata negli ultimi anni, quella di riforma costituzionale approvata con il referendum dell’anno scorso. Il muro di gomma che si oppone all’applicazione della vigente legge di riforma del titolo V della Costituzione, significa che le resistenze sono maggiori dei consensi, e che il federalismo vero, intelligente, ragionato non fa parte di un patrimonio culturale e giuridico condiviso: a molti giova di più sbandierare un federalismo parolaio e massimalista a fini elettorali, che cambiare veramente le cose.
Parafrasando la legge di Gresham “la legge cattiva scaccia quella buona”, così una legge seria non si applica, ma si conciona e si straparla di nuove riforme del Titolo V . In realtà il federalismo che è ormai di esclusiva competenza regionale, non può che essere regolato dalle Ragioni: questo significa, ad esempio, che l’ente di promozione all’estero, l’ENIT, dovrà certo essere adeguato per struttura e funzioni, alle esigenze regionali, ma anche che dovrà essere finanziato dalle Regioni. Se lo Stato non è competente a gestire il settore, non è nemmeno legittimato a sostenere la spesa relativa, o no? Se lo Stato vuole intervenire, non potrà che farlo sulla base del principio di sussidiarietà, già introdotto nel nostro ordinamento della legge Bassanini del 1997.
D’altronde, le nuove regole costituzionali prevedono che, d’intesa con le regioni, lo Stato provveda alla: valorizzazione dei beni culturali e ambientali, ed alla promozione ed organizzazione di attività culturali.
Punto e basta. Eppure se lo Stato provvedere veramente alla valorizzazione dei beni culturali e
ambientali ed alla promozione ed organizzazione di attività culturali, esso determina una straordinaria ricaduta economica sulle imprese, perché ne arricchisce l’offerta e produce notevoli economie di scala in tema di informazione e comunicazione.
Anche nel quadro dei limitati poteri stabiliti dalla riforma costituzionale, dunque, lo Stato centrale potrebbe ancora fare molto per lo sviluppo del turismo, per ampliare i diritti dei turisti e per tutelare le imprese. Basterebbe tener conto che esso può:
• stimolare con opportuni incentivi economici la realizzazione ed il controllo di standards di qualità;
• finanziare progetti promozionali interregionali o intersettoriali;
• proporsi come strumento di diffusione delle comunicazioni regionali e come produttore di servizi di consulenza, assistenza, studio dei mercati ecc.;
• e, in ogni caso, intervenire come “socio” come partner scelto volontariamente dalle Regioni.
Ma il neonato DPCM non offre nessuna possibilità o opportunità in questa direzione. Mentre sarebbe indispensabile, alla luce della riforma costituzionale, che lo Stato, Regioni, imprese e consumatori chiarissero finalmente i ruoli e le funzioni di ciascun soggetto, senza sovrapposizioni di attività, individuando gli obiettivi nazionali e locali da raggiungere, le compatibilità giuridiche nazionali e comunitarie, i costi ed i finanziamenti.
di M. Raffaella Tiberino
< Gli Articoli di Azienda Turismo