Il coordinamento degli interventi
Rispetto al parallelismo tra il tema delle aree protette e il tema della montagna, con particolare riferimento a quella appenninica, APE ha il pregio di sintetizzare l’uno e l’altro in una sigla che, con un terzo richiamo, li colloca contemporaneamente in un contesto più ampio, che è poi quello europeo, all’interno del quale si muovono, appunto, l’ Appennino e i suoi parchi. L’identità dell’Appennino, come di tutta la montagna italiana, si esprime attraverso un patrimonio culturale,ambientale e socio-economico diffuso, che a sua volta si riflette, a livello istituzionale, in quel complesso articolarsi di piccoli comuni e di comunità montane che l’Uncem rappresenta. Aldilà dell’evidente constatazione ambientale, infatti, l’Appennino è stato teatro di molti dei più grandi eventi che hanno fatto la storia del nostro Paese e, in modo particolare, di quel Medioevo per molti aspetti ancora poco conosciuto ai più che attraverso la esperienza del monachesimo ha lasciato nelle abbazie e nei castelli d’Appennino un’importante traccia di un passato comune. Non a caso, è stato proprio questo approccio culturale ad ispirare la legge n.97 del 31 gennaio 1994, che ancora oggi rappresenta il punto di coagulo di una riflessione su quel tema della montagna altrimenti relegato ad un luogo del tutto minoritario e marginale. Tra l’altro, nell’affermare il principio della salvaguardia e della valorizzazione delle zone montane, questa stessa legge ha in qualche modo anticipato una tendenza culturale oggi estremamente diffusa ed ampiamente recepita anche nella legislazione.
Ma aldilà delle molte idee trasfuse in altrettanti testi normativi, per la verità ancora in parte inattuati almeno sul piano delle politiche concrete, la salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane rappresentano due aspetti di preminente interesse nazionale. E questo stesso interesse va dunque perseguito attraverso una serie di interventi speciali da tradurre in azioni organiche e coordinate superando le politiche di settore, che hanno ormai evidenziato i loro limiti. Attraverso la tutela e la valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene, si vuole quindi favorire, con azioni organiche e coordinate, uno sviluppo globale della montagna che faccia leva sulle proprie capacità e sulle proprie forze e che,contando sulla valorizzazione delle proprie risorse, tenda ad elaborare un modello proprio e autenticamente diverso da qualunque altro. Rovesciando i termini del problema, APE è la testimonianza di un’evoluzione per cui oggi vengono protette, come poli di sviluppo potenziale, quelle stesse montagne che in passato erano considerate marginali e addirittura antitetiche rispetto al progresso economico-sociale.
Ed è in questa inversione di tendenza,in cui ciò che prima era un peso oggi è una risorsa da tutelare, che APE tende ad incarnare un’occasione di sviluppo sostenibile con il carattere dell’interregionalità. Uno stimolo per le Regioni, dunque, perché comincino a ragionare sul loro futuro quali parti costitutive di uno Stato federale che, tuttavia, non va inteso come sommatoria burocratica di realtà locali chiuse in se stesse,quanto piuttosto come il prodotto di un’interazione intelligente, che si misura soprattutto sul terreno della tutela e della salvaguardia di quel patrimonio storico-ambientale comune che rappresenta, appunto, la nostra risorsa più preziosa. Ed è a questo punto che entra in gioco il turismo. Si calcola che, solo nei parchi, l’Italia disponga di un mercato di venti milioni di presenze, buona parte delle quali riferibili al turismo interno. Un turismo, quello nazionale, che oltre a mostrare una crescente propensione al viaggio, tende sempre più ad effettuare le proprie scelte in risposta ad un bisogno di crescita culturale che lo porta a respingere l’offerta generica ed a cercare, invece, situazioni più nettamente connotate sul piano internazionale.
Turismo intelligente
Rispetto a questo tipo di domanda,a questi flussi di turismo intelligente e sostenibile, l’area appenninica ha in sé tutti i requisiti per posizionarsi al meglio. Ovviamente è necessario un progetto di fruizione del territorio che dia garanzie sotto il profilo della eco-compatibilità. In tal senso APE potrebbe proprio farsi carico della questione. Nella realtà, infatti, l’incentivo al turismo assume talvolta caratteri scriteriati con qualsiasi ipotesi di sostenibilità. Basti pensare a quell’immenso patrimonio che sono le Grotte di Frasassi, il cui successo si misura ancora in termini di biglietti di ingresso venduti, per comprendere l’importanza di trovare finalmente un equilibrio che consenta di coniugare il diritto alla più ampia condivisione delle bellezze naturali, con il dovere di garantire la fruibilità, anche per il futuro.
“Albergo diffuso” sul territorio
In questo senso, occorre fare un grande sforzo di innovazione che, nel nostro caso, non vuol dire creare nuove, moderne ed imponenti strutture ricettive sull’Appennino, e magari proprio all’interno delle aree protette, quanto piuttosto favorire l’idea di un “albergo diffuso” sul territorio, da affidarsi non alle grandi imprese, che pure svolgono un ruolo importantissimo per la maggior parte dei settori dell’economia, ma ad una gestione familiare più adatta, per la flessibilità che le deriva dalle sue ridotte dimensioni, alla realtà socio-economica di questi luoghi ed alle esigenze di un’occupazione di prossimità. Pertanto, sarebbe quanti mai opportuno che le Regioni, anziché varare strumenti legislativi a sostegno della realizzazione di grandi complessi alberghieri che hanno fatto la fortuna e, più spesso, la disgrazia delle grandi realtà costiere, si orientassero in questa direzione, utilizzando questa cultura del “piccolo e diffuso” e dell’impresa familiare per il superamento delle arretratezze. Per chiudere con una breve annotazione, APE, che è una grande idea che ha sottoposto alle Regioni la questione del far massa critica, può diventare un’agenzia nazionale per lo sviluppo dell’Appennino, a condizione che trovi il sostegno delle istituzioni. In questo senso, bisogna estendere il patto di Orvieto alle Regioni che ne sono rimaste fuori e cominciare a predisporre le soluzioni e le strategie necessarie ad affrontare la riforma dei fondi strutturali, prevista per la fine del 1999. Allora anche come amministratore della montagna, credo di dover sollecitare le Regioni a trovare momenti di concretezza.
Il sistema appennino in grado di competere sul mercato globale
Se è vero che le Regioni sono le vere protagoniste di questo processo, la prima occasione per dimostrarlo è quella di recepire, quando non lo abbiano già fatto, la legge n.97/94, portando APE nelle leggi regionali e siccome per vendere bisogna prima creare il prodotto, è importante che tra Regioni si creino le sinergie necessarie a dare corpo ad un sistema Appennino davvero in grado di competere sul mercato globale. Naturalmente, occorrerà rivedere molte delle politiche sin qui attuate, superando la subalternità delle Regioni nei confronti del Governo centrale. In altri termini, le Regioni non debbono limitarsi a recepire acriticamente le scelte adottate a livello centrale in materia di servizi assistenziali, dalla sanità ai trasporti. Occorre che le Regioni imparino anche a puntare sulle proprie risorse, per migliorare le condizioni di vivibilità delle aree interne e montane, elevando il livello dei servizi utili alle popolazioni ma anche ai potenziali turisti. Occorre promuovere, un sistema adeguato d’informazione che – anche attraverso il SIM, il sistema informativo della montagna – sia capace di legare, le realtà istituzionali a quelle dell’economia locale, magari creando una rete di sportelli multiservizi. Occorre soprattutto utilizzare gli strumenti della programmazione negoziata come i patti territoriali. Se riusciremo a dare all’idea APE questa ossatura operativa di progetti concreti, probabilmente avremo fatto il lavoro che ci si attende, anche da noi piccoli amministratori della montagna.
di Riccardo Moderloni
Presidente della Comunità Montana dell’Esino Frasassi
menbro della Giunta Nazionale UNCEM