Il marketing pubblico e la crisi strutturale del turismo italiano

E’ ben noto che la crisi del turismo italiano è di natura strutturale. Il suo modello produttivo, organizzativo e gestionale, da sempre incentrato sullo spontaneismo e alimentato dall’illusione che il pur forte appeal della risorsa Italia fosse inesauribile, non ha saputo collocarsi in una dimensione di sistema, finendo per rimanere ingessato nella sua preponderante connotazione settoriale e per essere governato da politiche di congiuntura, anziché da strategie economico-organizzative.
E’ altrettanto noto che le componenti principali della crisi sono due, riconducibili rispettivamente alla sfera aziendale e a quella istituzionale, entrambe caratterizzate dall’incapacità di aderire a tutte le pieghe di una domanda sempre più dinamica e dalla fatica a strutturare le proprie funzioni sulle caratteristiche emergenti del mercato.

Gli elementi di debolezza dell’ impresa turistica italiana – sufficientemente indagati e, peraltro, rintracciabili in diversa misura anche nel più vasto contesto europeo – possono essere individuati, innanzitutto, nella frammentazione e nella conseguente gracilità anche finanziaria sia delle aziende ricettive che di quelle dell’intermediazione, le cui prevalenti dimensioni medio-piccole e il relativo modello gestionale, spesso a carattere familiare, le pongono in posizioni di grande debolezza all’interno dei processi in atto di integrazione dell’offerta e di globalizzazione del mercato.
Ne consegue una cultura d’impresa con caratteristiche troppo spesso pre-industriali, che mostra impaccio, quanto non diffidenza, nell’uso del marketing, delle tecnologie avanzate e degli strumenti più aggiornati del management.

Le conseguenze le conosciamo: inadeguatezza qualitativa e quantitativa dei servizi offerti; rapporto squilibrato tra qualità e prezzo,dovuto anche alla scarsa dimestichezza con le economie di scala; inefficienze gestionali e organizzative, dovute spesso a un uso limitato degli strumenti informatici e telematici; ritardi nella formazione e nell’aggiornamento professionale,ecc., che si traducono nella perdita di quote sempre più consistenti di mercato.

Se le componenti aziendali della crisi del turismo italiano sono state adeguatamente approfondite, non altrettanto possiamo dire di quelle istituzionali, le quali, in aggiunta, rispetto alle prime, rappresentano una particolarità tutta italiana e finiscono per svolgere rispetto a quelle un pericolosissimo ruolo di accelerazione, con conseguenze molto gravi e già chiaramente avvertibili sulla competitività del prodotto Italia sui mercati europei e mondiali.

Per tentare di avviare un primo approfondimento degli aspetti istituzionali della crisi, dobbiamo premettere che, in effetti, è da troppo tempo – venti anni circa, cioè dall’istituzione delle Regioni – che la politica italiana si interroga sull”assetto nazionale e territoriale dell’Organizzazione turistica pubblica e, solo talvolta, sul suo ruolo e sugli obiettivi. Questa interminabile e, necessariamente, manieristica riflessione, che ha visto impegnati gli organismi politico-istituzionali più disparati a tutti i livelli, non è riuscita a produrre alcuna seria ipotesi di nuova organizzazione, nessuno strumento operativo attendibile, nessun passo avanti nella conoscenza scientifica del settore.
Ha prodotto, invece, molti fenomeni fortemente negativi riassumibili nella frammentazione e disgregazione di un settore che, anche per questo, non è ancora riuscito a collocarsi in una dimensione di sistema.
Le cause che hanno portato a questa particolare forma di deregulation (che potremmo definire spontanea, in quanto non esplicitamente voluta e in gran parte non governata) sono da ricercarsi sia in una generalizzata carenza di cultura imprenditoriale che pervade anche le articolazioni pubbliche del settore, sia nelle continue e malcelate tentazioni gestionali delle Regioni, che fanno passare in secondo piano i loro compiti di programmazione e indirizzo.
Basterà fare,in proposito,solo alcuni esempi.
A distanza di undici anni dall’emanazione della legge quadro, alcune Regioni l’hanno applicata integralmente ,taluna cercando anche di correggere almeno in parte qualche stortura, altre parzialmente, altre ancora non l’hanno applicata affatto. Di conseguenza, in ciascuna di esse compaiono le funzioni vitali per il turismo come: le professioni turistiche, la classificazione e i conseguenti standard qualitativi delle aziende ricettive, le leggi di incentivazione delle imprese, l’organizzazione turistica pubblica territoriale. Inoltre rispondono alle logiche più diversificate, talora anche bizzarre, spesso frutto di protagonismo esasperato quanto sterile, incapace o non interessato a guardare al mercato e a misurarsi con esso.

Il turismo italiano si presenta, insomma, all’appuntamento del mercato europeo unificato in una situazione in cui agli elementi di debolezza di sempre si aggiunge non soltanto l’incapacità di costruire un modello organizzativo univoco, nazionale, moderno, in grado di governare uno dei settori più avanzati del terziario del mercato, ma addirittura la colpevole responsabilità della dissoluzione di un’OTP certamente ormai inadeguata, ma, in quanto tale, da aggiornare, non già da lasciare in balia dei fenomeni di progressiva disgregazione che sono sotto gli occhi di tutti.
In mancanza di un quadro di riferimento voluto, condiviso e accettato, le Regioni hanno finora affrontato la questione dell’assetto istituzionale del turismo partendo da posizioni estremamente lontane e dando luogo, di conseguenza, a soluzioni altrettanto diverse.
Si assiste, alla più completa immobilità da parte di alcune di esse, nelle quali persiste un modello organizzativo vecchio di sessantacinque anni, incentrato sugli Enti provinciali e sulle Aziende Autonome o prevalente dimensione comunale, con le inevitabili sovrapposizioni operative e il conseguente spreco di risorse.

Sul fronte opposto si colloca lo sperimentalismo talvolta esasperato di oltre, le quali, procedendo spesso per tentativi, sono già alle prese con il quarto riordino dell’organizzazione turistica periferica.
In quest’ultimo caso, ancora una volta, le ipotesi di riforma sono le più eterogenee e vanno dall’istituzione di un’Agenzia regionale unica per la promozione turistica, lasciando agli EE.LL. la scelta di attivare uffici turistici locali, alla creazione di A.P.T. con funzioni diverse e con altrettanti diversi criteri di aggregazione territoriale (provinciali, per tipologia di offerta, comprensoriali):alle suggestioni, quasi d’obbligo, della privatizzazione, anch’esse riconducibili a posizioni umorali piuttosto che a convinzioni mediate.
Siamo tutt’altro che contrari sia alla sperimentazione, sia alla privatizzazione di quegli organismi pubblici che per la loro prevalente connotazione economica commerciale possono e devono essere privatizzati, sia in particolare, all’innovazione.

Siamo, però, fortemente convinti che, soprattutto in materia istituzionale, né la sperimentazione, né l’innovazione possano essere identificate con la ricerca quasi ossessiva dell’inedito a tutti i costi, che ci sembra oggi caratterizzi il “dibattito” sull’assetto dell’OTP.
La semplice considerazione che il modello organizzativo e funzionale dell’OTP deve rispondere soltanto a logiche istituzionali e di mercato, dovrebbe facilmente convincere che questo stesso modello non può che essere fortemente unitario, certo e riconoscibile, e non permanentemente e reiteramente messo in discussione dalla mania di protagonismo di numerosi centri decisionali.
Dovrebbe, inoltre, essere superfluo ricordare (ma così non è) che la stessa natura del fenomeno turistico presuppone la gestione pubblica, non foss’altro che per le sue caratteristiche di trasversalità che chiamiamo in causa l’impegno convergente di tutti i comparti della pubblica amministrazione, per il necessario approccio sistemico che quest’ultima deve ad esso garantire e, non da ultimo, per il fatto che la sua privatizzazione genererebbe pericolosi fenomeni di egemonia da parte della grande impresa, con il conseguente rischio di marginalizzazione ed espulsione dal mercato di quelle aziende medio piccole che ancora in Italia e nel resto d’Europa ne rappresentano in larghissima misura la spina dorsale.

Sorgono, in proposito, alcuni dubbi. Dietro le suggestioni privatistiche non si nasconderà l’ammissione di incapacità a rinnovare realmente la pubblica amministrazione e l’OTP in particolare?
Vanno esse interpretate, dunque, con l’ennesimo alibi di comodo? E, soprattutto, prima di pensare alla pura e semplice privatizzazione, non sarà opportuno iniziare a introdurre nella pubblica amministrazione, magari a cominciare proprio dal turismo, quei criteri di managerialità, di efficienza, di efficacia, di politica del prodotto che da sempre contraddistinguono l’impresa?
Eppure è relativamente semplice definire un modello di nuovo OTP improntata a queste caratteristiche.
Si tratta, innanzitutto, di eliminare le beghe (di potere) che per troppo tempo hanno opposto l’ex Ministro per il turismo alle Regioni, lasciando al governo centrale i necessari compiti di indirizzo e coordinamento, a cominciare dalla definizione univoca del modello stesso, della sua natura, delle sue caratteristiche e delle sue funzioni e alle secondo delle quelli proprie della programmazione territoriale del settore, depurata dalle tentazioni di gestione diretta che oggi è prassi consolidata.
Dopo questo primo, indispensabile atto di chiarezza, si tratterà di mettere a punto il modello gestionale periferico e, dunque, di affrontare uno dei problemi più spinosi, quello della riforma delle attuali Aziende di promozione turistica.
C’è un gesto, che ha anche un suo valore simbolico, da fare prioritariamente: estromettere i partiti e le logiche partitiche di nomina dai loro Consigli d’amministrazione e creare organismi collegiali molto ridotti nel numero dei componenti, agili e veloci nelle procedure decisionali e, soprattutto, la cui composizione risponda a una sola logica, quella della competenza: molto lontani, dunque, dai vecchi “parlamentini”.
In essa la rappresentanza dei operatori privati dovrà essere, oltre che qualificata, anche numericamente molto più consistente che in passato e (perché no?) magari subordinata al co-finanziamento delle sole attività promozionali.
Il Direttore vi assumerà le funzioni tipiche dell’amministratore dell’authority turistica locale. Dovrà essere, cioè, in grado di incidere sulle scelte degli Enti locali al fine di massimizzarne gli effetti a favore della creazione e dell’aggiornamento del prodotto turistico locale e della sua competitività.
E’ noto, infatti, come la difficoltà di trasformare un prodotto spendibile sul mercato le tante risorse turistiche disponibili sia essenzialmente da ricondurre o a mancanza d’interesse da parte degli EE.LL.o, più spesso ,a scelte disarticolate e prive di sistematicità che, più che a logiche di mercato, rispondono o a superficialità dell’approccio, o a interessi di parte o a semplice protagonismo.
Una volta definito il modello istituzionale delle nuove A.P.T. su questi contenuti, sarà molto agevole individuarne ruoli e criteri gestionali in un’ottica “privatistica” che le liberi definitivamente dai lacci delle logiche burocratiche che ancora ne condizionano il funzionamento, a cominciare dai meccanismi tutt’ora prevalentemente formali che presiedano alle definizioni delle scelte operative e amministrative e al controllo degli atti.
Essi dovranno lasciare il passo a criteri, appunto, manageriali, incentrati, oltre che sulla legittimità formale delle decisioni, sull’efficacia dell’azione, sulla qualità dei programmi, sulla loro realizzazione e, infine, sul controllo dei risultati.
Naturalmente, in questo quadro, nulla impedisce che le nuove A.P.T. possano svolgere, anche al fine di reperire ulteriori risorse finanziarie, alcune attività commerciali che in passato sono state impedite non già dalla legge, ma da una malintesa politica della gratuità del servizio pubblico, per definizione estraneo ad attività lucrative.
Si pensi, solo per fare un esempio, alla vendita del materiale informativo e delle opere editoriali d’interesse turistico.
Ma non si vendono neppure ostacoli che impediscano attività commerciali ancora più proprie, come quella della prenotazione di tutti i servizi turistici.
Sappiamo bene che qualcuno troverà un modello di OPT come quello sopra tracciato, a seconda dei casi, velleitario, non realistico, interessante ma impossibile da realizzare, magari suggestivo ma impraticabile,ecc.. Precisiamo, in proposito, che si tratta di un modello che, lungi dall’essere stato creato “a tavolino”, è ampliamente applicato, talvolta in modo pressoché integrale, da tutti i paesi europei che nella gestione del turismo hanno fatto scelte decise di politica di mercato.
Non meno orientata al mercato dovrà essere la definizione dei compiti delle Aziende. Alcuni di essi, quelli ormai tradizionali (promozione, informazione e assistenza turistica) vanno semplicemente adeguati alle esigenze più avanzate, in termini di aggiornamento professionale e tecnologico.
Ad essi vanno aggiunti compiti nuovi che l’evoluzione del mercato negli ultimi anni rende d’importanza vitale e, dunque, non più ignorabili,pena ulteriore e non più sanabile perdita di competitività.

Abbiamo già affrontato il problema dell’urgenza dell’innovazione dell’impresa turistica e abbiamo indicato nella prevalente dimensione medio piccola di quest’ultima uno dei suoi limiti oggettivi, che ne rende spesso impari al confronto con un mercato sempre più globale.
E’ questo uno dei momenti di debolezza del sistema, sul quale le nuove Aziende possono e devono dare un contributo decisivo svolgendo un ruolo, che va ad esso affidato, di assistenza e consulenza di marketing all’impresa, in termini di definizione delle dimensioni aziendali e degli standard qualitativi e, dunque di posizionamento, di impostazione di strategie commerciali, di comunicazione e di management, di uso di strumenti gestionali ecc..
Non meno importante è il ruolo di studio della domanda che va affidata alle A.P.T.. Esso dovrà rispondere a criteri di affidabilità scientifica e di utilità operativa, ben lontani dall’approccio artigianale e meramente quantitativo (arrivi-partenze, italiani-stranieri, esercizi alberghieri ed extralberghieri) che caratterizza ancora i metodi di rilevazione statistica dei flussi turistici.
Il lavoro di indagine e di elaborazione dei dati dovrà, soprattutto, trovare i propri interlocutori attivi, oltre che nelle imprese, in banche dati regionali e, finalmente, in una banca dati nazionale. Esso dovrà, inoltre, essere finalizzato a ricerche di mercato anche per conto di terzi, a cominciare dalle aziende ricettive e dell’intermediazione.
Siamo convinti, inoltre, che la riforma delle A.P.T. non possa non tener conto dei problemi che si sono aperti dal momento in cui le strategie tese al raggiungimento della total quality dal settore dell’industria, che ha cominciato ad applicarle per primo, sono state trasferite, in Italia, a quello dei servizi e del turismo, in particolare.
E’ vero che l’applicazione di queste strategie ai processi di creazione del prodotto turistico deve vedere impegnati tutti i soggetti, pubblici e privati, titolari delle diverse competenze nelle materie corrispondenti a ciascuna delle componenti del prodotto stesso.
Ma è altrettanto vero che le A.P.T. – nella veste che a esse è più propria di organismo di raccordo tra le istituzioni pubbliche e l’impresa – devono poter svolgere un ruolo insostituibile sia nella definizione dei livelli qualitativi del prodotto locale, sia, soprattutto, nella gestione dei meccanismi di controllo permanente della qualità, senza il quale il perseguimento di quest’ultima si ridurrebbe a puro esercizio di velleitarismo.
Tali meccanismi sono molteplici e si potranno sostanziare nella capacità riconosciuta alle A.P.T. di esprime giudizi di merito sulla rispondenza delle scelte degli EE.LL. Alle esigenze poste dalla competitività del prodotto e nello svolgimento di un ruolo attivo nella classifica degli esercizi ricettivi, nel controllo degli stessi e di tutti gli altri servizi turistici in cui si articola il prodotto stesso, nella tutela dei diritti della clientela.

di Valentino Paparelli

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