L’accoglienza dei cittadini temporanei
Nel turismo , la parola qualità dovrebbe essere formulata sempre al plurale, con riferimento sia alle filiere della qualità per le varie tipologie di servizio, ma anche a quella qualità sistemica che porta verso una “certificazione” delle aree a vocazione turistica e delle città turistiche.
Sono considerazioni che, rapportate ai processi di formazione e delle metodiche della qualità, presuppongono comunque la definizione – in particolare per quanto riguarda le dinamiche territoriali – di una vision comune e condivisa, da cui discenda, poi, anche tutto l’insieme del processo formativo. Facendo un esempio molto pratico e concreto, se noi dovessimo formare all’accoglienza i vigili urbani di una città, avremmo bisogno di introdurre degli obiettivi comuni e condivisi rispetto ai quali ispirare questo processo formativo. Ciò vale per tutti coloro che entrano in relazione con quella categoria particolare di utilizzatori temporanei della città che sono i turisti. Occorre quindi soffermare l’attenzione su questo aspetto, cercando di introdurre alcuni paradigmi che rappresentano gli elementi costitutivi della vision di una città ospitale e, conseguentemente, anche gli elementi salienti di marketing di questa città.
In primo paradigma è appunto la capacità di essere accogliente a 360 gradi: tutti devono essere i benvenuti nella città ospitale, senza guardare al colore della pelle, alla religione, al numero di carte di credito che si hanno nel portafoglio, normodotati o disabili, tutti in modo che ciascuno possa dire “anche io”.
La città, bene o male, invita costantemente i suoi fruitori a rifarla, a consolidarla in una forma che permetta a ciascuno di viverla come la propria dimora. Raban ha scritto un testo molto famoso negli anni ’70 che si chiamava appunto “Soft City”: “decidete chi siete e la città assumerà nuovamente la forma fissa intorno a voi, decidete come essa deve essere e la vostra stessa identità sarà svelata”. Dunque, la città come teatro, in cui gli individui possono elaborare la loro magia assumendo molteplici ruoli, la città come un alveare di reti di interazione.
Secondo paradigma. La città ospitale è per definizione una città aperta, per cui il concetto di cittadinanza si allarga, va oltre la rigida distinzione fra residenti e turisti, ciascuno nel momento stesso in cui la utilizza ne diviene cittadino, nella pienezza dei diritti e dei doveri. Parlare di city user, significa prima di tutto cogliere il valore della flessibilità che porta a riorganizzare la fruizione della città secondo percorsi plastici e personalizzati.
Con questo ragionamento introduciamo il concetto di qualità personalizzata, onepersonone market, la personalizzazione d’uso della città e del territorio. La città aperta che sa esaltare ogni soggettività fa rima con libertà, e il senso di libertà è il presupposto fondamentale del turismo. Una libertà totale che fa volare i sogni, e il sogno è la linfa vitale del turismo, consente quella inversione rituale dei comportamenti che spinge verso la ricerca di nuove e diverse emozioni.
Ma aperta vuol dire anche godibile , sempre e dovunque, di giorno e di notte, d’inverno e d’estate. Questa città non ha segreti, si svela piacevolmente, si modella come un abito fatto su misura. La città ospitale, inoltre, è sicura. Tra aperta e sicura si stabilisce un rapporto di reciprocità, di causa/effetto: una città chiusa è per definizione insicura, mentre una città cosmopolita, che parla le lingue del mondo e che sa dare all’esperienza del particolare un valore universale, è sempre una città informata che sa informare in maniera personalizzata.
Terzo paradigma. La città ospitale è una città amichevole, friendly, è benevolmente complice di chi la usa, sa essere gentile, cortese soprattutto nei confronti di chi è più debole, i bambini, i disabili, gli anziani. La cortesia nella città ospitale non è un valore esibito, è qualcosa di sfuggente, che si fa notare molto di più per la sua essenza che per la sua presenza. Giovanna Axia ha scritto un bellissimo volume intitolato “Elogio della cortesia”, in cui afferma che la cortesia è la capacità di prendersi cura del benessere altrui, il sorriso espresso anche a parole. La cortesia segnala rispetto, attenzione, cura dei sentimenti e dei desideri degli altri, si esprime nell’umorismo, nella sollecitudine, nell’interesse.
Nella definizione dei parametri di qualità di un servizio (che è prima di tutto un fattore di relazione interpersonale), temo molto, per la verità la rigida e anonima applicazione di standards. La qualità del turismo è qualcosa di più. Una città friendly sa essere tollerante e solidale, è una città gioiosa e divertente, sa anche farsi ricordare e mantiene rapporti nel tempo.
Quarto paradigma: La città ospitale rispetta l’ambiente, allarga e dinamizza gli spazi naturali, sa ridisegnare i paesaggi urbani, rispettando e utilizzando intelligentemente la natura con l’obiettivo primario di far star bene.
Il quinto paradigma è appunto che la città ospitale sa essere al servizio di chi la usa. Questo è un concetto un po’ complesso perché in questo modo si sostituisce la logica di prodotto con quella di servizio che, come scrive G. Marocci, “non può fare il gioco del consumo infischiandosene del consumatore, come avviene spesso nel campo della produzione dei beni materiali dove è più facile indurre il desiderio di un certo prodotto catturando il consumatore nella trappola che lo porta ad acquistare un bene di cui non ha realmente bisogno”.
Viceversa, il benessere del consumatore è al centro della logica del servizio, ed è questo anche il fondamento del marketing della città ospitale. Vale davvero la pena chiedersi se è possibile migliorare il servizio solo con i mezzi messi a disposizione delle nuove tecnologie o se veramente si può rompere l’assioma alta tecnologia, basso contratto. Io sono convinto che il servizio sia “bellezza della relazione interpersonale, piacere di far piacere, prendersi cura, rispondere, essere cortesi, riparare, aiutare, mettere in ordine, rendersi presentabile, accogliere, mettere a proprio agio, conservare, rassicurare, scherzare, giocare”, “Questo è il fulcro del pensiero ospitale e dell’accoglienza”.
Il sesto paradigma è che la città ospitale sa dare e sa far rispettare le regole di relazione. Essa è, per definizione, una città che contrasta la sopraffazione: non è terra di conquista, non conosce la legge del “chi arriva prende”, o del “prendiamo indiscriminatamente da chi arriva”, Vi è un’etica della cosa pubblica, dello spazio collettivo, del bene comune, che è fondamento delle relazioni interpersonali.
Ma proprio perché la città ospitale deve essere aperta, essa richiede un sistema di regole condivise che è indispensabile applicare rigorosamente. Se qualcuno si appropriasse di pezzi della città, della sua struttura economica, o se alcuni poteri fossero prevaricanti, sarebbe come se una pesante saracinesca scendesse ad impedirne l’accesso.
Ultimo paradigma, il settimo , l’identità del luogo, Rispetto della propria storia e della propria tradizione, certo, ma la vera identità per una città ospitale è un continuo processo di contaminazione culturale, il risultato del confronto tra culture, modi e stili di vita diversi, Identità è anche saper dare valore alla diversità, essere come effettivamente si vuole apparire.
L’identità prende dunque forma contemporaneamente alla percezione dell’alterità. In sostanza, la parola identità si comporta come un verbo, pur essendo un sostantivo. Quindi la vision della città turistica del 2000 è incardinata sul concetto dell’accoglienza, di servizio e di libertà, il suo marketing è di prendersi cura, il benessere di chi la usa.
A questo punto ragioniamo pure di standards e di percorsi formativi, che sono naturalmente importanti, ma cerchiamo di finalizzare la definizione di standard e di metodiche al raggiungimento di obiettivi che aprono questi scenari di carattere valoriale e che rappresentano la vision di un agire comune.
di Pietro Leoni