Enti territoriali e “costruzione” del prodotto turistico

Secondo una definizione classica il “prodotto turistico” è il risultato di due serie di fattori:
fattori ambientali, e cioè le attrattive materiali ed immateriali, che caratterizzano l’area di destinazione delle vacanze ed il tipo di soddisfazioni psicofisiologiche che i turisti ritengono di potere trarre da esse
fattori strumentali, costituiti dal complesso dei servizi offerti dalle imprese turistiche che, attraverso le loro prestazioni rendono fruibili le attrattive espresse dai fattori ambientali.

Un limite di questa definizione è quello di collegare il prodotto turistico soltanto al momento della vacanza,escludendo così settori importanti come quello congressuale e fieristico, ad esempio, che pur non riferibili al concetto di vacanza sono considerati tra le principali occasioni che hanno dato origine al turismo moderno, cioè al turismo organizzato.
Ma a parte questo, non si può condividere l’affermazione che il prodotto turistico, in un’accezione di carattere generale, è sostanzialmente costituito da due gruppi di elementi molto sinteticamente descritti.

Da questa definizione si può evincere che i fattori ambientali sono di competenza del settore pubblico, mentre i fattori strumentali rientrano nella sfera privata.
In realtà molti servizi sono a carico anche dell’ente pubblico, e viceversa anche il privato può determinare i fattori ambientali.
La legge di riforma delle autonomie locali (n.142/90) non parla di prodotto turistico, però ad esempio stabilisce che le Province debbano provvedere:
• alla difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente e prevenzione delle calamità;
• tutela e valorizzazione delle risorse idriche e energetiche;
• valorizzazione dei beni culturali;
• viabilità e trasporti;
• protezione della flora e della fauna;
• caccia e pesca nelle acque interne;
• organizzazione dello smaltimento dei rifiuti,rilevamento,disciplina e controllo degli scarichi e delle emissioni atmosferiche e sonore;
• servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica;
• raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico amministrativa agli enti locali.

Inoltre la Provincia, in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi, promuove e coordina attività, nonché realizza opere di interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo.
Tutte queste attività, in modo diretto e indiretto contribuiscono a costruire un prodotto turistico valido, ed è indispensabile che siano svolte secondo obiettivi di crescita qualitativa delle singole realtà, in un quadro di sviluppo più ampio a livello regionale, nazionale e sempre più anche europeo.
E’ stato detto che ancora oggi sembra prevalere la logica che il turismo sia un bene naturale disponibile in quantità illimitata e che il problema sia soprattutto di commerciarlo e non di produrlo. Si tratta di una logica pericolosa, che si adagia sullo stereotipo del Bel Paese, e che probabilmente è proprio una delle cause non secondarie della crisi in atto e non aiuta certamente a riconquistare posizioni primarie nel mercato turistico.
Se l’Italia è stata superata da altri Paesi negli ultimi anni è anche perché non si è tenuto in sufficiente considerazione che i beni che la “natura” ci ha regalato, e quelli culturali che secoli di storia ci hanno tramandato, sono non solo limitati, ma una volta distrutti assolutamente irriproducibili.
La loro salvaguardia, valorizzazione e giusta fruibilità è compito in primo luogo dell”ente pubblico, che deve concorrere ad assicurare una delle componenti fondamentali del prodotto turistico.
L’ente locale territoriale ha una competenza circoscritta, ed è quindi importante che ci sia unità di intenti a livello regionale e nazionale, nonché europeo, come già accennato.

Alcune linee di fondo debbono essere perseguite ai diversi livelli. Basta ricordare l’immenso capitale storico, artistico, culturale dello Stato che rimane immobilizzato, nel senso che produce solo una minima parte della ricchezza che potrebbe produrre, se venissero applicate le tecniche di gestione già fruttuosamente sperimentate all’estero.

Il Metopolitan Museum of art, il Museum of Moderrn Art e il Guggenhein Museum hanno commissionato una ricerca per misurare l’impatto della loro presenza nell’economia cittadina, prendendo come campione quattro mostre: le due restrospettive su Jusepe Ribera e Magritte al Met; la “Grande Utopia: l’Avanguardia Russa e Sovietica 1915-1932” al Guggenhein; le 400 opere di Matisse al Moma.
In tre mesi le quattro mostre hanno avuto 1.750.000 visitatori, e il turismo in questo periodo ha portato all’economia cittadina 617 milioni di dollari e più di 60 milioni di dollari di imposte.
Se si considera che per promuovere non solo la pittura, la musica sinfonica e popolare, il teatro e tutte le altre arti, il municipio di New York spende 80 milioni di dollari l’anno, emerge il dato eclatante che in solo tre mesi quei tre musei hanno prodotto un gettito fiscale pari a tre quarti degli investimenti di tutto l’anno per tutte le attività artistiche e culturali.
E’ evidente quanto l’Italia sia distante da simili risultati, nonostante gli ingenti giacimenti culturale di cui dispone.
La gestione economica dell’impresa pubblica risente dei limiti di un sistema e di una diffusa convinzione che ha dato per scontato la buona collocazione dell’offerta italiana sia in ambito nazionale che internazionale, confidando su una consolidata rendita di posizione che, in ogni caso, avrebbe dovuto garantirne la stabilità.
Ma il comportamento dell’utente consumatore di beni culturali non è fondamentalmente dissimile da quello del consumatore di bei materiali e pertanto le sue attese di completezza di informazione, di fruibilità e gradevolezza ambientale, di accoglienza sono sempre più precise e puntuali.

La posizione privilegiata che l’Italia può vantare rispetto ad altri Paesi sia per l’entità che per l’importanza del patrimonio di cui dispone deve essere inserita in un circuito virtuoso in grado di produrre ricchezza, a sua volta in grado di conservare la cultura del passato e di produrre nuova cultura.

Gli enti locali territoriali lo possono e lo debbono fare nel proprio ambito di competenza.
L’esempio portato è sostenibile a tutti gli altri elementi che compongono i fattori ambientali.
A volte si straparla di marketing. D’altra parte ho anch’io le mie colpe, avendo scritto sull’argomento. Spesso ci si dimentica che il marketing è innanzitutto una forma mentis.
Inteso come metodologia, anche se spesso rispecchia un termine abusato, o usato in modo improprio, non può certamente essere accantonato. In questo senso esso rappresenta uno strumento di lavoro indispensabile anche per la pubblica amministrazione e non solo nel campo del turismo.
A tutt’oggi la pubblica amministrazione non è ancora completamente uscita dall’ottica della burocrazia e dal potere gerarchico, salvaguardata da regolamenti su regolamenti. Si sente l’esigenza di introdurre criteri di managerialità, ovverosia di capacità gestionale finalizzata a soddisfare l’utenza, ma si finisce per ingabbiarli in logiche che sono difficili da cambiare: procedure complesse, controlli, ecc., perdendo spesso di vista gli obiettivi e i risultati che si vogliono perseguire.
Le metodologie del marketing possono aiutare ad uscire da vecchi schemi mentali.

Una contrapposizione tra il marketing pubblico e quello privato sta ne fatto che la finalità di quest’ultimo è il profitto di impresa, la finalità del primo è l’interesse collettivo, che in quanto tale comprende anche l’interesse dell’imprenditore, naturalmente nei limiti di compatibilità entro i quali non sia in contrasto con il contesto più ampio in cui opera.
E’ questa la principale linea di demarcazione dei ruoli tra il pubblico e il privato.
Rispettare i ruoli significa che ognuno può andare per conto suo, perché da un lato il pubblico non può agire per astrazioni e l’interesse collettivo ha bisogno di una capace imprenditorialità, e dall’altro quest’ultima necessita di operare in contesto generale che risponda alle sue esigenze.
Quando le esigenze del privato si esprimono soltanto o prevalentemente in termini di assistenzialismo vuol dire che c’è una crisi di imprenditorialità, o una situazione di emergenza che va analizzata.
Anche il marketing insegna che al centro di ogni politica c’è l’uomo, con i suo i bisogni, che anche quando si esprimono in termini consumistici vanno considerati in una vision e che tenga conto del particolare senza trascurare l’insieme e viceversa.
Occorre trovare il punto di convergenza tra le iniziative dell’ente pubblico e quelle dei privati. Esiste un interesse comune alla crescita in termini quantitativi e qualitativi di una località.
Basti pensare ad un bellissimo albergo collocato in un luogo che presenti attrattive non sufficientemente valorizzate, lasciate andare al degrado nonostante ricche di valenze turistiche intrinseche, oppure non sufficientemente collegate e quindi difficilmente raggiungibili.
Quell’albergo potrà intraprendere tutte le migliori iniziative promozionali ma non riuscirà ad acquisire o a conservare una clientela perché nessuno è attratto ad andare in un luogo degradato, e la mancanza di collegamenti ad esempio può essere disincentivante.
Viceversa località deliziose possono essere ignorate dal turismo perché prive di qualsiasi organizzazione di tipo imprenditoriale in grado di rendere fruibile turisticamente il luogo. Dopo circa un secolo e messo dalla nascita del turismo organizzato è abbastanza diffusa nel nostro Paese una certa confusione.
Negli anni ottanta si è raggiunto, a mio avviso, la punta massima della schizzofrenia, i cui effetti si stanno trascinando in quest’ultimo decennio di secolo.
Invece di dare avvio ad un nuovo sistema di gestione del fenomeno sul fronte pubblico e su quello privato, si è prodotto da un lato l’ansia di travalicare gli ambiti di competenza dell’una e dell’altra parte, e nello stesso tempo un indebolimento delle funzioni proprie di ciascuno dei diversi soggetti.
Per superare la crisi in atto occorre uscire da questa posizione, e avviare un nuovo metodo in cui la professionalità del pubblico e del privato debbono avere pari dignità, nel rispetto dei diversi ruoli.
Quando si parla di una località come di un prodotto turistico, e non come l’insieme di fattori ambientali che costituiscono una delle due fondamentali componenti che unitamente all’insieme di fattori strumentali rappresenta ciò che viene genericamente definito un prodotto turistico, si intende qualcosa di più specifico.
Si sta diffondendo la pratica del “city marketing“, inteso come insieme di strategie volte a mettere in rilievo e valorizzare i vantaggi rivendicati di singole città per la localizzazione di determinati eventi o insediamenti, ritenuti particolarmente efficaci a produrre benefici economici, culturali e di sviluppo.
I mass media non hanno mancato di dare risalto alla strenua competizione tra le diverse città, ma anche fra gli Stati, per essere scelte nelle sedi di manifestazioni internazionali come le Olimpiadi, i campionati mondiali di calcio, le grandi esposizioni. In genere, tuttavia, la località o il territorio sono il contesto necessario e fondamentale per la costruzione di prodotti turistici validi.
Quindi ognuno deve fare la sua parte, non su fronti separati o contrapposti tra pubblico e privato, ma in una logica diretta da un lato a rafforzare le iniziative adottate dagli imprenditori, singoli o associati, e dall’altro a collegare la funzione pubblica con l’attività economica che nell’interesse generale si vuole ottenere.

di Gianna Spezia

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