Fondi di magazzino o prodotti di marca da riconvertire?
La svalutazione competitiva e i benefici reali per la fiera turistica
Processi di razionalizzazione dell’apparato ricettivo e sviluppo della capacità di accoglienza
Patrimonio ambientale e “total quality community”
Imprese alberghiere: incremento della redditività e rilancio degli investimenti
Una maggiore sintonia tra luoghi ed edifici
Dal’1993 ogni primavera , come in un rito propiziatorio, per tutta l’Italia turistica inizia la trepidante attesa del “ritorno” degli stranieri. In attesa di questo particolare lieto evento, che poi scopriremo corrispondere solo in parte alle aspettative, ogni anno si verifica una rimozione collettiva dei problemi del nostro turismo; l’arrivo di masse di clienti dovrebbe azzerare i fattori critici e le ambivalenze di un fenomeno visto spesso solo in termini quantitativi.
Vediamone invece alcuni aspetti qualitativi.
Ridotto a un enorme discount del turismo internazionale dalle ripetute cadute di valore della nostra moneta, è praticamente inevitabile che il nostro Paese attragga turismo dall’estero: torme di viaggiatori in cerca di risparmio rivolgono la loro attenzione al nostro Paese. Sappiamo tutti che, se non si consoliderà un minimo di ripresa della nostra moneta, all’accresciuta quantità degli afflussi non corrisponderà un altrettanto forte lievitazione del beneficio valutario netto (beneficio eroso dalle carenze presenti nella nostra filiera turistica: pensiamo ad esempio a quanto lascia il sud ai tour operators esteri ).
Ancora più preoccupante è la sostanziale impreparazione della nostra offerta turistica e del nostro territorio ad accogliere volumi più imponenti di visitatori.
Negli ultimi anni il nostro apparato ricettivo è stato più impegnato in processi di ristrutturazioni e razionalizzazione che in iniziative di crescita e sviluppo della capacità di accoglienza: qualche albergo residenziale, qualche raggruppamento e specializzato (ricettivo in edifici storici, per chi va in bicicletta, per i romantici, ecc.), l’introduzione di centri di prenotazione consortili, qualche nuova struttura in ambientazioni di elevato valore naturalistico hanno un po’ svecchiato il panorama della nostra offerta. Complessivamente la nostra capacità di accoglienza non è però aumentata.
Ci sono fra l’altro in ogni regione italiana grandi complessi ricettivi che sono stati chiusi perché coinvolti in fallimenti di iniziative finanziarie o immobiliari, impostate, durante gli anni ’80 da gruppi economici che vedevano nel turismo una occasione per una facile diversificazione degli affari. Non siamo, in sostanza, pronto per un grande assalto di visitatori. Ma in presenza di un forte incremento degli afflussi, non è il ricettivo a dover temere l’impatto e i contraccolpi peggiori: perlomeno si potrà lavorare per ottimizzare il riempimento, proporre le basse stagioni, inventare nuove modalità di raccordo fra strutture e esercizi, rimettere in circolo le seconde residenze collegandole all’offerta alberghiera o alle agenzie incoming… Uno sforzo di riconversione e di inventiva è fra le più probabili e possibili reazioni del nostro sistema turistico che è abituato a programmare sul breve periodo e che è piuttosto rapido negli adattamenti: il famoso “stellone” italiano brilla perché migliaia di piccoli imprenditori fiutano le occasioni e rinnovano rapidamente le gestioni.
Diverso e più complicato è il problema del potenziamento e dell’adeguamento delle strutture ricettive (gli edifici e le tecnologie ospitali) e delle infrastrutture territoriali. Se fossero davvero alle porte anni d’oro per il nostro turismo, questa dovrebbe essere la stagione dei grandi progetti di sviluppo e qualificazione, e invece rischiamo di riscoprire l’ospitalità nei solai e negli scantinati con cui si raggiunsero i famosi record di afflusso degli anni ’70.
Abbiamo risorse e mercato potenziale ma il nostro tessuto imprenditoriale e le capacità finanziarie, svilite dalla svalutazione, non sono sufficienti per affrontare una strategia di sviluppo. Le realtà più lucide, come Napoli, sembrano giustamente aprire le porte agli investitori internazionali e affidare al turismo un ruolo tutto nuovo per le città del sud (certo si sarebbe dovuto lanciare questo coraggioso messaggio 15 anni prima, dopo il terremoto, quando invece tutti confidavano ancora nell’industria di Stato: quanti occupati avremmo oggi a Bagnoli se questa strada fosse stata intrapresa allora?).
Quanto poi alle infrastrutture territoriali, la capacità di fare fronte a ondate massicce di turisti intenzionati a sfruttare il vantaggio valutario è veramente modesta. Intanto bisogna considerare che solo poche regioni italiane si sono attrezzate negli anni per offrire servizi a prezzi competitivi e per accogliere masse di turisti. Se guardiamo il modello del turismo costiero romagnolo, ad esempio, bisogna considerare quanto è stato investito, a livello privato e pubblico, per offrire nella città e nel territorio tutti quei servizi che restavano fuori dalla struttura recettiva proprio per consentirle di praticare prezzi competitivi. Solo attraverso investimenti cospicui in qualità urbana è possibile accogliere con un minimo di razionalità e decoro le grandi masse stipate (ma in modo organizzato) lungo le spiagge, le passeggiate pedonali, le discoteche e i parchi pubblici. Proviamo a chiederci cosa succederebbe se la stessa quantità di persone si andasse a stipare in spiagge libere o in strade urbane dense di traffico: i rischi di tracollo igienico-ambientale sarebbero fortissimi e il bel-paese finirebbe, alla prima epidemia, per essere definitivamente associato alle destinazioni pericolose del terzo e del quarto mondo.
Il clima da probabile tutto esaurito, meglio, da “svendita” di fine stagione non sembra dunque molto propizio per applicare i concetti del “total quality community” al nostro turismo. Se si pensa solo allo sfruttamento intensivo delle strutture esistenti, l’orizzonte è assai limitato: oltre il totale riempimento non si può andare, a meno di non accettare un progressivo degrado. L’alternativa è uno sviluppo programmato che apra le porte con cautela (senza svendere il nostro patrimonio territoriale) agli investimenti esteri e che prefiguri nuovi modelli di ospitalità in sintonia con la domanda europea.
C’è molto da fare: l’impegno delle nuove Amministrazioni locali potrebbe essere la chiave di volta di questo possibile rilancio.
L’Italia della ricerca, i progetti valutati dal punto di vista dell’impatto ambientale, della pianificazione ambientale, del pluralismo imprenditoriale deve, anche nel turismo, trovare il coraggio di crescere e diventare maggioranza nei comportamenti economici e nelle scelte istituzionali. L’occasione di sviluppo prodotta da un posizionamento internazionale favorevole non va sprecata: il turismo è, fra l’altro, uno dei pochi settori in cui, ponendosi in una prospettiva di sviluppo qualificato e di diversificazione dell’offerta diventano possibili incrementi significativi di occupazione.
In particolare per l’apparato alberghiero si impone una accelerazione dei processi di adeguamento in corso.
Le buone annate a cui stiamo assistendo consentono livelli di redditività più elevati a cui è indispensabile far seguire un rilancio corposo degli investimenti. Già nel 1994 ha evidenziato un incremento sostanzioso di presenze e il 1995 si annuncia ancora migliore. Stante la limitatezza del ritmo di trasformazione e sviluppo del nostro apparato ricettivo, è da presumere che gran parte delle presenze aggiuntive siano da attribuire all’aumento dei coefficienti di riempimento delle camere e che da ciò possa derivare una maggiore capacità di accumulazione delle imprese.
Diventa perciò cruciale ripensare in questa fase alle strategie di investimento nel campo della diversità alberghiera e alle politiche pubbliche di indirizzo e sostegno di scelte di sviluppo e riqualificazione, mai come oggi indispensabili per dare respiro e continuità a una ripresa troppo dipendente dalle congiunture valutarie. Sarebbe deprecabile che anche questa occasione di rilancio organico del turismo fosse buttata al vento e che le risorse finanziarie accumulate venissero dirottate su altri settori economici e finanziari, com’è avvenuto nel corso degli anni ’80. Il supporto degli incentivi pubblici dovrebbe far si che tutti i benefici derivanti dal vantaggio competitivo ottenuto dalla nostre imprese alberghiere grazie alla svalutazione si tramuti in nuovi investimenti per adeguare la nostra offerta alle attese della domanda internazionale.
Ma cosa si aspettano dal nostro ricettivo i turisti che ritornano ad affollare le nostre località? Non è solo un versante della standardizzazione che noi possiamo competere in campo internazionale, anche se ciò non significa che si possa sottovalutare la mancanza di talune tipologie alberghiere standardizzate ormai entrate da protagoniste nel panorama turistico internazionale (ad esempio alcune catene dedicate ai visitatori delle città che non dispongono del rimborso spese).
Occorre lavorare soprattutto sul versante della caratterizzazione della nostra ospitalità, per creare una maggiore sintonia fra luoghi ed edifici, fra paesaggio e qualità dell’accoglienza. Ciò non significa però ritornare alle soluzioni individuali : occorrono “piccole catene” specialistiche che offrano soluzioni ospitali appropriate alla nuove aspettative dei tanti turisti ormai diffusi.
L’introduzione dei sistemi qualità dentro le imprese e il collegamento fra più alberghi della stessa tipologia finalizzato alla creazioni e all’utilizzo di servizi avanzati, sembrano le priorità per i sistemi ospitali già strutturati. Ma questa fase andrebbe utilizzata anche per rilanciare uno sviluppo sostenibile dell’apparato ricettivo, uno sviluppo attento alle compatibilità ambientali e territoriali, capace di dare risposte ai nuovi tipi di domanda che stanno emergendo in Italia e all’estero.
di Paolo Trevisani