Dall’evento al Marketing dei Musei

La gestione dei beni culturali è stata in passato, ma lo è tuttora, sporadicamente orientata al soddisfacimento della domanda. Il prevalere di una concezione statica del bene culturale, da gustare con parametri puramente astratti, così come la concezione dell’istituzione museale limitata ad uno solo  dei suoi aspetti, il più classico, quello della raccolta e conservazione, sono stati alla base della mancata interazione fra  domanda e offerta culturale. Le conseguenze sono evidenti: caduta della qualità della fruizione, caduta della domanda, sottoutilizzo di quote consistenti del patrimonio, insufficiente sviluppo dell’offerta.

A lungo si è creduto che bastasse proporre la cultura al non-pubblico perché questo vi accadesse, commettendo l’errore di ritenere che i consumi culturali fossero riconosciuti come valori non sostenibili; mentre, in realtà, essi fanno  parte delle attività del tempo libero, con le quali concorrono e competono. In Italia, la società civile – per prima – ha manifestato l’esigenza di una offerta culturale più matura. Lo hanno dimostrato il numero crescente delle associazioni e dei soggetti impegnati nel volontariato e nel turismo culturale, proprio durante il lungo periodo di inattività legislativa, poi conclusosi con il decreto Ronchey, ed al quale sono seguite una serie di regolamentazioni aventi l’obiettivo di migliorare l’’offerta e la fruizione delle strutture museali.

Il riconoscimento del peso delle attività culturali sul piano economico, e del ruolo della cultura nello sviluppo, hanno portato negli ultimi anni alla estensione e ad una diversa valutazione delle politiche culturali. Alla logica dello Stato che sostituiva completamente il mercato, si è passati ad una logica di sostegno, nell’ambito di altri rapporti di collaborazione quali il meccanismo, le sponsorizzazioni, le fondazioni.

Queste  forme di intervento hanno trasferito nella gestione del patrimonio museale i principi e le logiche delle imprese marketing oriented, perseguendo obiettivi che sono di valorizzazione e promozione da un lato, e di recupero di immagini di efficienza dall’altro.

Così, come per ogni altra impresa orientata al mercato, attraverso l’analisi  della domanda il museo viene a conoscenza del proprio mercato di consumo. A tale scopo, gli studi sui visitatori, che all’estero sono una pratica ormai consolidata, hanno l‘obiettivo di esplorare problematiche diverse quali l’età, il livello di studi e la personalità del visitatore, i suoi interessi, il comportamento durante la visita, il grado di apprendimento, il tempo trascorso all’interno del museo, l’utilizzo dei servizi offerti. Si scopre, così, che sono molteplici  i motivi che possono influire sulla scelta di visitare un museo: l’interesse, la curiosità, il divertimento, lo studio e il lavoro sono tra i più frequenti. Di conseguenza, ampio spazio deve essere riservato all’organizzazione e alla gestione dei servizi che costituiranno l’offerta del museo.

Un’offerta diversificata, infatti, risponde a due esigenze fondamentali: speculari l’una rispetto all’altra, ma direttamente collegate. Da una parte, quella del visitatore, di realizzare una visita “su misura”, cioè adattabile alle proprie esigenze di tempo e di comfort durante la visita, nonché alle proprie capacità di lettura dei contenuti della mostra; dall’altra parte quella dello stesso “gestore” museale, che ha l’opportunità di creare un’affezione da parte del proprio pubblico, una vera e propria fidelizzazione del visitatore che è stimolato  a tornare perché il museo si è trasformato, da contenitore di oggetti a luogo attivo, educativo e ricreativo nello stesso tempo.

Esposizioni temporanee, “special  events” , servizi didattici, tra cui laboratori, mediateche, ludoteche e attività di merchandising , sono il risultato di politiche di prodotto sempre più incisive, volte a garantire soddisfazione culturale da un lato, e soddisfazione commerciale dall’altro. Tra queste, il merchandising risponde ad una doppia finalità: quella di incrementare il contributo finanziario e insieme di sostenere la funzione educativa del museo.

La realizzazione di strategie di redditività che si basano sulle  attività commerciali, rappresentano inoltre uno strumento importante per la diversificazione delle entrate. La loro corretta gestione dovrebbe permettere al museo di realizzare un ritorno economico complessivamente remunerativo :  qualora fosse ben organizzato, infatti, l’offerta commerciale permetterebbe di creare un’ attività per certi aspetti autonoma e quindi funzionante anche oltre l’orario di apertura del museo. Per raggiungere questo scopo, il ristorante o lo shop del museo dovrebbero essere concepiti secondo alcuni canoni ben precisi: la loro localizzazione dovrebbe  consentire l’accesso senza pagare il biglietto d’ingresso; l’offerta dovrebbe essere diversificata ma senza trascurare la qualità (un oggetto infatti,  più sarà piccolo e poco costoso, maggiore sarà il numero degli acquisti, la diffusione e quindi  la promozione per il museo); inoltre tutto quanto è offerto in vendita – dai testi cartacei o informatici, ai tradizionali poster, cartoline e T–shirt – dovrebbe rispettare e rappresentare le scelte e la politica del museo.

Ma il problema della crescita della fruizione culturale non riguarda solo l’offerta di patrimonio museale in sé, giacché è soprattutto correlato  alla esigenza di un costante rapporto di comunicazione fra pubblico e  museo. La conoscenza del museo prima di tutto, e il modo in cui il pubblico lo percepisce poi, sono tra le principali barriere di ordine psicologico, rilevate dagli uffici di marketing di alcuni fra i più importanti musei del mondo. Se il pubblico non è consapevole di ciò che il museo ha da offrire, è improbabile che paghi per visitarlo, Inoltre, tradizionalmente, i musei considerati dalla maggioranza del pubblico come difficili, in quanto i valori esposti richiedono capacità di lettura che essi ritengono di non avere; poco interessanti, addirittura noiosi e comunque percepiti come luoghi che impongono limitazioni al proprio comportamento.

La realizzazione di una efficace politica di promozione dovrebbe allora riservare particolare attenzione all’immagine, alla reputazione e allo status del museo. In sostanza si tratterebbe di mantenere un costante rapporto di comunicazione da e verso l’esterno: una comunicazione di tipo istituzionale, rivolta ai media, alle aziende, agli organi internazionali, ed una rivolta ai fruitori dei servizi culturali agli opinion leader e ai visitatori potenziali.

I fenomeni di fruizione di massa, collegati alla esposizione di alcune opere d’arte, che si sono verificati negli ultimi anni, hanno messo in evidenza una sorta di “dualismo” nell’offerta culturale.  Da un lato, infatti, alcune mostre hanno riscontrato un successo tale da raggiungere 400 mila presenze in pochi mesi, mentre dall’altro permane la visione “polverosa” di tutto quanto è cultura. Quello che si sta  delineando in Italia è il fenomeno della cultura come evento, per cui non è più sufficiente che le opere d’arte siano presenti, ma bisogna che esprimano, una loro “soggettività”. Per questo è necessario che esse siano impegnate per  informare, cioè diffondere la conoscenza della mostra; persuadere, quindi incoraggiare la visita; accogliere, nel senso di divenire accessibili all’utenza più vasta.

Anche attraverso lo spazio il museo realizza la trasmissione del proprio messaggio culturale e quindi il suo rapporto con il pubblico. All’esterno, la localizzazione nella città deve permettere a tutti di raggiungere il museo, quindi avere indicazioni tali da guidare qualsiasi potenziale visitatore; all’interno, l’architettura, l’organizzazione del percorso espositivo, gli spazi dell’accoglienza, del riposo, della rappresentanza e della promozione culturale, concorrono a rendere fruibile il patrimonio museale dal punto di vista dell’accessibilità fisica, della sicurezza delle opere esposte e dei contenuti espositivi.

Ma il problema più attuale della valorizzazione del patrimonio culturale è strettamente correlato alla creazione di una vera e propria “ospitalità culturale”. Qui il discorso si connette strettamente con il turismo, non senso strumentale – come si fa generalmente quando si evidenzia la peculiare attrattività degli eventi culturali e dei musei rispetto ai flussi turistici -, ma nel senso di un approccio al pubblico in termini di “corretta accoglienza”. Si tratta, in sostanza, di far incontrare  le esigenze di tutela e conservazione con le quali si sono giustificati negli ultimi venti/trent’anni musei chiusi, orari di visita ridotti, barriere architettoniche ed assenza di qualunque servizio per il visitatore, con quelle di valorizzazione e promozione delle risorse. Una gestione dell’offerta dei beni culturali maggiormente orientata al mercato è l’unica strada da perseguire perché – anche in Italia – diventi finalmente produttivo investire nella cultura, con ricadute immediate in termini economici, occupazionali e di immagine. I segni concreti che, anche in Italia, si sia risvegliato un grande interesse per questo settore non si sono fatti attendere: i più importanti imprenditori stanno gareggiando per assicurarsi la gestione dei servizi aggiuntivi da organizzare nei principali siti culturali.

Un passo in avanti decisivo è dunque fatto e ora lo stesso ministro Veltroni ha ribadito la necessità di identificare un modello di gestione tutto italiano, che guardi alle esperienze estere, ma si adatti alle esigenze e peculiarità del nostro Paese, per portare all’attenzione e alla fruizione del mondo l’intero patrimonio esistente, rispondendo così alla crescente domanda di cultura.

di Giuseppina Martino

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