Archeologia e verde urbano

La specificità dei parchi romani

Nell’affrontare la problematica relativa ai parchi archeologici urbani, con particolare riferimento all’area romana, la mancanza di una chiara definizione normativa rappresenta un elemento pregiudizievole di particolare gravità. In effetti, in una città come Roma trattare il tema dei parchi archeologici significa affrontare una questione che affonda le radici in epoche storiche lontane, che toccano il rapporto, sempre particolarmente intenso, della città dei Papi con la città antica, senza prescindere da quel Rinascimento che, proprio nell’area archeologica centrale, ha lasciato segni profondi, intervenendo spesso nuovamente laddove, già in epoca medioevale, era avvenuto un riutilizzo di monumenti e di materiali antichi nella costruzione di chiese e conventi.

Del resto, nonostante il problema dei parchi archeologici urbani, impostato in termini di progetto, risalga addirittura all’epoca Napoleonica, la questione è ancora aperta e non trova adeguate soluzioni né sotto il profilo normativo né sotto quello urbanistico e funzionale. Pertanto, per spiegare le cause della mancata definizione delle aree archeologiche centrali di Roma in un progetto di parco, può essere utile inquadrare il problema romano nella più vasta problematica dei parchi archeologici italiani.

Sotto questo profilo, è evidente che l’interesse dimostrato negli ultimi decenni dagli enti locali per quei comprensori territoriali unitari in cui le realtà archeologiche si normalizzano in stretto rapporto con gli aspetti paesistici, persiste una pericolosa carenza normativa non ovviabile attraverso sporadiche, anche se apprezzabilissime, disposizioni legislative regionali.

Ancora oggi i parchi archeologici mancano di una definizione normativa. Ancora oggi, infatti, i parchi archeologici mancano di una definizione normativa e, a differenza dei parchi naturalistici, non sono regolamentati da una legge quadro analoga alla 394/91 sulle aree protette.

In effetti, la prima definizione di “parco archeologico”, contenuta nella circolare del Ministero dei Beni Culturali del 15 novembre 1990, recepisce le valutazioni espresse dal Consiglio Nazionale per i Beni Culturali per assimilare il parco archeologico ad un’area protetta nella quale, data la consistenza delle presenze monumentali, è possibile individuare e definire uno spazio museale aperto e, dunque, dotato di una particolare valenza. In seguito, questo concetto è stato ulteriormente definito dalla successiva circolare ministeriale del 16 maggio 1991, in cui si ribadisce “l’esigenza di una tutela integrale in cui i valori archeologici siano considerati contestualmente con i valori paesaggistico-territtoriali e siano conseguentemente regolamentati in maniera unitaria sotto il profilo della programmazione e della gestione”.

Sullo stesso argomento è tornata anche l’Amministrazione dei Beni Culturali, con due circolari del 26 aprile 1994 e del 6 dicembre 1995, per sottolineare,nella prima, la necessità di una precisa individuazione delle aree parco tramite la perimetrazione e per precisare, nella seconda, che anche le presenze archeologiche non emergenti possono essere idonee a caratterizzare un’area di interesse archeologico, ai sensi dell’articolo 1, lettera m, della legge 431/1985. A questo punto, tuttavia, si inserisce un elemento di grande interesse perché, mentre le preesistenze archeologiche accertate, anche se non sempre messe in luce, sono comunque tutelate ai sensi della legge 1089/39, la circolare ministeriale viene ad affermare l’importante concetto della necessità di esercitare una tutela nelle aree parco, anche in presenza di strutture non emergenti, ma in qualche modo accertate o attraverso ricerche effettuate con i normali strumenti diagnostici o, comunque, rese note attraverso fonti storico-letterarie.

In questo caso, dunque, la legge 431/85 si sovrappone, più che sostituirsi alla legge 1089/39, dal momento che l’art. 1, lettera m, prevede appunto la tutela delle aree che, pur non presentando le caratteristiche delle aeree archeologiche intese in senso tradizionale, sono comunque dotate di valenza archeologica. Pertanto, stando alle indicazioni contenute nelle circolari ministeriali, il concetto di parco archeologico viene ad arricchirsi di una serie di valenze specifiche, per connotarsi non solo in termini di salvaguardia dei beni pubblici, come un’area all’interno della quale sono applicabili tutte le disposizioni di tutela vigenti in Italia in materia di beni archeologici e ambientali, ma anche in termini di strumento di tutela attiva. Ciò comporta che la conservazione delle preesistenze archeologiche non possa essere disgiunta, nelle aree-parco, da una loro corretta fruizione che deve poi tradursi in un uso civile del bene stesso.

Il concetto di tutela

In questo senso, il concetto di tutela si fa particolarmente ampio ed innovativo, fornendo gli strumenti utili da un lato, allo salvaguardia dei beni aventi valenza archeologica, storica, artistica o, comunque, di paesaggio storicizzato, e dall’altro, ad una corretta e civile riappropriazione dei beni stessi. Si tratta di concetti espressi forse in modo ancora non particolarmente esteso, che tuttavia contengono, in nuce, delle interessante prospettive per arrivare a coniugare, all’interno delle aeree-parco, l’obiettivo della conservazione con quello di un uso pubblico dei beni che sia corretto e, soprattutto, compatibile con la loro natura.

Del resto, tra i siti urbani a continuità di vita, Roma rappresenta un unicum, non solo per l’elevata concentrazione di monumenti e di preesistenze archeologiche, ma anche perché queste hanno sempre avuto un ruolo rilevante – dal Medioevo, al Rinascimento, fino all’Età moderna – nel determinare la configurazione urbanistica della città e nel riqualificarne l’assetto. A Roma, infatti, l’antico e il moderno si sono sovrapposti e giustapposti, senza che si formasse mai una cesura tra la città antica e quella moderna. Pertanto, non si può parlare di una città dei morti accanto alla città dei vivi, quanto piuttosto di una città che ha continuato a vivere pluristratificandosi e che, per questo, richiede una sensibilità ed un’attenzione particolare, da parte di chi deve confrontarsi con un tema così impegnativo come quello di creare, a Roma, un sistema di parchi urbani.

Progetti Fori

E che si tratti di un problema attuale e sentito, è ampiamente dimostrato dal perpetuarsi del dibattito, emerso fin dagli anni 70, sul cosiddetto Progetto Fori, oggi riacceso dalla disponibilità dei finanziamenti liberati in vista dell’occasione giubilare, necessari ad avviare gli scavi in quella che è una delle aree archeologiche più significative della capitale. In effetti, se l’eccezionalità dell’evento offre l’opportunità storica di indagare un’area così rilevante come quella forense con l’obiettivo di ricostruire l’antico tessuto urbano, non si può non tenere in considerazione esigenze anche di altro tipo, come ad esempio quella relativa al problema della viabilità urbana. A tale proposito il periodo napoleonico è particolarmente significativo perché ha impostato organicamente il rapporto che a Roma unisce, in modo particolarmente intenso, l’archeologia con la progettazione urbana. In particolare, la mancanza di una progettazione urbana e la carenza di giardini pubblici riscontrata dai francesi già nel corso dell’800, li aveva spinti a progettare nel cuore della città i giardini del Grande Cesare sul Pincio, i giardini del Campidoglio, dell’aerea del Foro e del Palatino. E che le problematiche avvertite dai francesi siano le stesse alle quali ancora oggi si dibatte per la mancanza di una visione globale che coniughi l’aspetto urbanistico e quello archeologico, è confermato dal fatto che anche i francesi, nel redigere un piano per la sistemazione dell’area archeologica centrale, si trovano di fronte all’attualissimo problema dei dislivelli ancora oggi presenti nell’area del Foro e del Palatino.

Questo problema, per risolvere il quale ci si rivolse allora ad uno esperto di giardini, il francese Bertault, è lo stesso che impedisce oggi di progettare una grande area archeologica centrale che, da Piazza Venezia alle Mura Aureliane si colleghi naturalmente attraverso la Porta di San Sebastiano, alla Via Appia, la prima via pubblica romana da sempre inclusa nel circuito del “grand tour”, in una sorta di ideale prolungamento del Parco Archeologico che, dal Campidoglio alle Terme di Caracalla era già presente nel programma degli archeologi del periodo napoleonico. E tuttavia, l’obiettivo di ricongiungere queste straordinarie aree archeologiche in un unico parco è ancora lontano.

Per quanto concerne il comprensorio della Via Appia, infatti, dopo l’alternarsi dei piani paesistici e dei piani regolatori che, dagli anni 60 in poi hanno via via prodotto o ampliato le disposizioni di tutela riguardanti l’inedificabilità, e nonostante l’interesse suscitato dal Piano per il Parco dell”Appennino Antica, redatto nel ’76 dall’Associazione Italia Nostra, lo strumento normativo più importante è tuttora costituito dalla Legge Regionale n.66 del 1988, che ne sancisce la trasformazione in Parco Regionale; tuttavia, si attende ancora una legge dello Stato che disponga in merito al percorso, non solo urbano, della Via Appia e delle sue pertinenze, anche se appare indispensabile, nell’attuale contesto politico-territoriale, che nella tutela e nella gestione dei Parchi Archeologici, come previsto dall’articolo 5 della legge 394/91 per le aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli Enti locali attuino forme sempre più ampie di cooperazione.

Per concludere, è opportuno ricordare che l’esigenza di conservazione dei beni culturali tende oggi a coniugarsi con quello della loro produttività, in termini di indotto sia economico che sociale. Pertanto, su questi beni si è riservata l’attenzione degli enti locali che, lavorando spesso anche di intesa con le sovraintendenze del Ministero, hanno organizzato apparati didattici e realizzato una serie di percorsi attrezzati in termini di segnaletica, di zona di sosta e di servizi collegati con le aree-parco. Tuttavia, sarebbe opportuno che l’auspicabile sviluppo di queste forme di cooperazione e di gestione congiunta non fossero affidate solo alla buona volontà degli amministratori locali o di qualche sovrintendente, ma avvenissero all’interno di un quadro normativo di riferimento.

Quanto all’aspetto più propriamente tecnico e progettuale delle zone parco, mentre molte aree si sono attrezzate con questo tipo di infrastrutture, senza dubbio utilissime per un uso più allargato anche dal punto di vista turistico, non altrettanto può dirsi per quegli aspetti, come la tabellonistica o la presenza di sussidi didattici ed informatici, necessari ad una corretta lettura da parte dei non addetti ai lavori.

Inoltre, nell’affrontare il problema della ricostruzione del patrimonio architettonico è forse più opportuno usare il termine tecnico di integrazione biologica in modo da sottolineare la necessità che
gli interventi sulle presenze monumentali consentono non solo di rileggerne le volumetrie, ma anche di ricomprenderne la funzionalità, in modo che non restino solo lacert di muri o di pavimenti antichi, il più delle volte incomprensibili alla maggior parte dei visitatori. Si tratta, in sostanza, di risolvere un problema complesso che deriva dalla assenza di un certo tipo di cultura che non è
quello del restauro, nell’ambito del quale possiamo ritenerci all’avanguardia, quanto piuttosto quella della presentazione dei monumenti, un tema sul quale il dibattito è ancora aperto. Ciò spiega anche perché spesso, nei parchi archeologici, non è data adeguata visibilità alla lettura delle stratigrafie, il cui ruolo è invece estremamente importante sul piano della ricontestualizzazione dei reperti. Tuttavia, un segnale importante in questa direzione sembra provenire ad esempio dalla riapertura dell’Antiquarium del Palatino, che nel riportare le sculture decorative dei palazzi imperiali all’interno dell’area da cui provengono, ha comunque costituito il primo passo verso l’abbandono di una cultura museale particolarmente accentratrice nelle grandi strutture nazionali.

di Maria Rita Sanzi di Mino
Ispettore Centrale Archeologo
Uffìcio Centrale del Ministero
per i Beni Culturali e Ambientali

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