Adeguamento della offerta alberghiera: anche un problema di mentalità

Per superare la crisi dobbiamo innanzitutto rimuovere l’impatto psicologico della difficile congiuntura generale e lasciarci alle spalle le paure che hanno influenzato i comportamenti economici degli ultimi anni in molti settori, compreso quello alberghiero.
E’ a tutti noto che nelle fasi economiche negative sono innescate delle difficoltà nel competere e prolungate dalla sfiducia: a questo punto del ciclo congiunturale, già orientato alla ripresa, è solo un residuo di sfiducia negli operatori che limita le potenzialità di rilancio.

Se gli opinion-markes o le associazioni di categoria conferissero eccessivo risalto e valore emblematico a taluni dati negativi, quali le chiusure di attività registrate negli ultimi anni nelle piccole imprese (non distinguendo ad esempio la quota dovuta al fisiologico turn-over dai frutti patologici della congiuntura), ciò tenderebbe a prolungare gli effetti della crisi.
Una rinnovata fiducia nelle potenzialità del sistema-paese è da collocare alla base di qualsivoglia progetto di rilancio dell’economia: ciò vale in particolare nel settore alberghiero che ha subito effetti non catastrofici e che può orientarsi alla ripresa.
Il successo elettorale di promesse miracolistiche è il sintomo di una generale voglia di ripresa e ciò va interpretato, in termini economici, come richiesta di immediato rilancio dell’economia al di là dell’adesione più o meno convinta a un programma liberista.

L’obiettivo di “superare la crisi” nel turismo presuppone prima di tutto un cambio di mentalità nei soggetti privati e pubblici che operano e intervengono nel turismo:
– tornare a ragionare in termini di medio-lungo periodo e non solo con la prospettiva del breve o brevissimo periodo;
– recuperare le idee e i progetti di specializzazione dell’offerta in funzione della segmentazione del mercato;
– rianimare le idee e i propositi di azione integrata fra più soggetti;
– ridare linfa ai collegamenti economici, alle economie reticolari e di sistema, ai rapporti fra l’interno e l’esterno delle imprese.

Ci sono stati esempi interessanti negli scorsi anni di come questa mentalità innovativa stesse progredendo, sia pure con troppa lentezza, nel comparto alberghiero.
La crisi, che nel turismo è stata fra l’altro assai meno traumatica che in altri settori, ha attenuato la spinta al rinnovamento dell’offerta; più che sui bilanci, ad essere obiettivi, la crisi ha provocato il contraccolpo peggiore proprio sul dinamismo e sulla capacità di innovazione delle imprese.
Numerosi sono gli antichi vizi dell’offerta turistica italiana che sono riemersi come forte tentazione nella fase di crisi economica che abbiamo attraversato. Certamente le imprese piccole e medie non hanno trovato stimoli per superare il tradizionale atteggiamento attendista: mentre al livello delle grandi catene turistiche infuriavano scontri epocali per il controllo dei gruppi alberghieri più ramificati in Italia e per la gestione della maggior parte dell’offerta ricettiva di standard internazionale, nessun raggruppamento di piccoli e medi operatori ha fatto la scommessa di puntare ai grandi business in campo turistico.

Il “piccolo”, forse anche perché da autorevoli istituti di ricerca è stato definito “bello”, continua a non ricercare i collegamenti e a non definire strategie per crescere. Alcune esperienze importanti di aggregazione sono in corso ma per ora riescono ad affrontare solo alcuni ambiti della filiera turistica (ad esempio la commercializzazione).
La fase di crisi ha fornito ulteriori margini e alibi alla scelta dell’azione individuale, al rinvio di ipotesi di partnership plurime, attorno a “leaders di filiera” riconosciuti , al rifiuto di ipotesi di franchising in campo turistico.
La crisi ha significato per il turismo italiano un rallentamento (e quindi, in termini competitivi, un arretramento) sul versante della segmentazione delle politiche di marketing e della specializzazione dell’offerta. Siamo tornati alla caccia di tutti i tipi di turismo a prescindere dalle effettive caratterizzazioni dell’offerta alberghiera.

Abbiamo pensato che bastasse la svalutazione della lira per tornare ad essere attrattivi per la clientela estera. In qualche caso gli attrezzi per la ginnastica degli ospiti sono finiti in cantina e sono stati stabiliti con imprese di servizio esterne proprio per diversificare e specializzare l’offerta di ospitalità e per animare e qualificare il soggiorno degli ospiti.
Con la crisi si è in qualche misura dispersa una parte di quella volontà di apertura all’innovazione del settore che era cresciuta dentro la categoria degli operatori turistici negli ultimi cinque anni, anche attraverso il percorso non sempre lineare delle leggi straordinarie (per i mondiali, per le crisi ricorrenti di tipo ambientale, per le colombiadi, ecc.). Gli investimenti in ristrutturazione degli immobili alberghieri non possono attendere nuove emergenze, devono diventare un fatto ordinario, un elemento basilare della politica di prodotto delle imprese.

Il minore consumismo dei viaggiatori e la maggiore pressione fiscale hanno nell’ultimo periodo scoraggiato idee ed esperienze innovative. Ciò rischia di separare ancora di più l’offerta dalle attese della domanda turistica italiana e internazionale, Il consumatore ha infatti, con la crisi, affinata la propria capacità critica; le indagini più recenti lo descrivono come un concentrato di astuzia (dalla vacanza “intelligente” siamo passati a quella “furba”): è un cliente informato, attento ai prezzi e alla qualità, poco fedele e poco cline a impegnarsi con una località o con un operatore; è, in sostanza, poco programmabile, in caccia di buona qualità a minor prezzo, di buon livello “prestazionale” del viaggio e del soggiorno che lo soddisfi concretamente (anche al di là del look). E’ un cliente che nell’albergo cerca un tipo preciso di sistemazione, non una qualsiasi sistemazione e soprattutto non a qualsiasi prezzo.

C’è, in sostanza, da una parte una innovazione di prodotto falsa, tutta immagine e senza miglioramenti nelle prestazioni concrete al cliente, poco caratterizzata nella modalità di soggiorno proposta, una innovazione falsa che va abbandonata perché ormai inefficace al cospetto di una clientela avvertita ed evoluta d’ altra parte c’è una innovazione vera, fatta di progetti-qualità, di servizi mirati, di caratterizzazione degli spazi, di standard strutturali europei, che selezionerà progressivamente il mercato.

Stante questo clima di selettività indotto dalle attese della domanda e dalla competizione internazionale, è bene che il rilancio di un comportamento imprenditoriale innovativo, che è il primo dei segnali di superamento della crisi, vada al sodo. E’ bene cioè focalizzare pochi concreti obiettivi, di efficienza gestionale, e di miglioramento del prodotto turistico:
– coerenza fra risorse (ambientali, culturali,ecc,) o attrattive territoriali e tecnologiche di servizio dell’albergo
– specializzazione delle soluzioni di ospitalità anche attraverso una scelta mirata degli optionals
– caratterizzazione degli spazi e degli arredi
– “progetti qualità” per la valorizzazione delle risorse interne, a cominciare dalla direzione e dal personale e per poter certificare la qualità secondo standard europei
– armonizzazione delle politiche promozionali con i restanti fattori competitivi.

In sostanza: non eccedere in niente; mirare al sodo e valorizzare al meglio le risorse già sedimentate.
La prossima fase non concederà spazio all’estemporaneo, all’innovazione “fai da te”: un controllo rigoroso della qualità e dei costi presuppone un pieno coinvolgimento delle risorse interne all’impresa ma anche un oculato utilizzo della professionalità e dei servizi reperibili all’esterno dell’impresa alberghiera.

Sottolineiamo anche l’esigenza di ridare voce e spazio alle esperienze di integrazione e di collegamento in grado di competere nella corsa ai grandi business connessi alle privatizzazioni e alla riorganizzazione privatistica di numerosi servizi turistici.
Tuttavia, non va dimenticato che il primo passo verso esperienze economiche connesse è sempre costituito, per la piccola impresa, dal cambio di prospettiva nell’affrontare i problemi di gestione e di mercato: da una prospettiva “introversa” a una apertura verso l’esterno attraverso collegamenti con altre imprese del settore e attraverso l’utilizzo di servizi esterni.

di Paolo Trevisani

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