La flessibilità delle PMI come modello di riferimento anche nel settore turismo
L’indifferenza dei grandi gruppi per il mercato globale in presenza di redditive occasioni legate alla spesa pubblica.
Il sistema turismo e la politica liberista: deregolazione, antitrust e mercato non impediscono di sostenere l’innovazione e favorire le relazioni internazionali.
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Fra le tante verifiche a cui il nuovo governo verrà chiamato a fare fronte, fra le tante paure che dovrà dissipare, una interessa particolarmente molte aree del nostro paese e alcuni settori della nostra economia, fra cui il turismo. La ricetta liberista saprà rispettare e promuovere il pluralismo economico, la ricca articolazione delle forme imprenditoriali ormai connaturata a tanti settori e a tante aree del nostro paese o spianerà il terreno ai grandi trust?
L’interrogativo è cruciale dato che l’economia italiana trova ,proprio nei sistemi di piccola e media impresa, risorse comparative che hanno dimostrato coi fatti di poter affrontare i processi di globalizzazione prima e meglio di tanti altre holding.
Nelle regioni e nei comparti produttivi dove la piccola e media impresa ha trovato spazio per diffondersi, radicarsi in profondità e crescere attraverso processi integrativi e di cooperazione, si è creato un tessuto produttivo caratterizzato spesso, come nelle aree ad economia turistica forte, da una estensione formidabile dell’esperienza imprenditoriale (e non solo nella più semplice dell’impresa familiare). Ciò ha consentito di consolidare un’adattabilità, una reattività ai cicli economici, una coesione sociale nell’affrontare la crisi, una voglia collettiva di progredire e di adeguarsi all’evoluzione delle esigenze della clientela, tanto da far pensare ad una sorta di “qualità totale” ante litteram.
Certo, le esperienze di crescita di medie imprese fino all’acquisizione di capacità di esportazioni rilevanti e verso la strutturazione di sistemi complessi in grado di “aggredire il globale” sono tipiche, purtroppo, solo di alcune produzioni industriali, ma il modello ha incominciato a diventare un riferimento anche nei servizi e persino nel turismo, settore di cui da sempre si lamenta l’inadeguata cultura industriale.
A prescindere dalla diversa qualità delle performances di singole aziende o settori, rimane l’interrogativo se il nuovo governo si porrà il problema di stimolare e promuovere la crescita dei sistemi produttivi di media e piccola dimensione o se, di fatto, si darà spazio solo allo scatenamento dell’aggressività commerciale e finanziaria dei grandi gruppi.
In questo secondo scenario è del tutto possibile che attraverso il liberismo, si otterrà il risultato che non è stato raggiunto neanche nelle passate fasi di più acuto statalismo, e cioè l’assalto (e quindi l’affossa-mento) di quella pluralità di espressione imprenditoriale che è la vera unica anomalia positiva in campo internazionale del Sistema-Italia.
Difatti, in tutto il periodo in cui le leggi più sostanziose di spesa sono state costruite ad uso e consumo di un ristretto novero di imprese assistite, la piccola e media impresa non assistita ha potuto muoversi in settori non pervasi dall’intervento pubblico, ha puntato sui mercati del consumo innovativo interni, sull’esportazione e sui processi di innovazione autogestiti “dal basso”, riuscendo a mantenere una propria rilevante sfera autonoma di iniziativa. In tutto quella fase molte grandi imprese, e in generale tutte le attività assistite e protette – proprio perché indaffarate nella predefinizione e nello sfruttamento dei più o meno ricchi filoni della spesa pubblica – non hanno prestato grande attenzione ai fattori evolutivi e al dinamismo delle aree e delle imprese orientate all’innovazione e all’esportazione.
Ecco perché alcuni sistemi di piccola imprenditoria diffusa hanno potuto crescere fino a soglie competitive di eccellenza anche in campo internazionale, senza che vi sia stata una generale “caccia alla lepre” , da parte dei grandi gruppi finanziari e industriali italiani, atta ad acquisire quelle rilevanti capacità produttive dentro la sfera di controllo delle tradizionali oligarchie imprenditoriali.
Le stesse multinazionali estere sono restate per anni in posizione di attesa di fronte all’anomalia italiana di un mercato che era poco affidabile e poco aggredibile, proprio per4chè concretamente e solidamente ancorato a costi più elevati e a un protezionismo politico che finiva per essere ben più potente dell’apertura delle barriere economico-commerciali.
Si può in sostanza ipotizzare che lo spazio autonomo di crescita di nuovi settori produttivi gestiti dal tessuto delle piccole e medie imprese e il progressivo delinearsi di nuove realtà imprenditoriali siano figli anche del disinteresse dei grandi gruppi italiani per attività che costavano troppa fatica, troppi sforzi di adattamento, troppo “sudore” competitivo rispetto ai più facili e redditivi business legati alla spesa pubblica.
E’ probabile che in quella fase , se non avessero preferito la ricerca del protezionismo e dei piccoli favori, persino i nostri operatori turistici avrebbero avuto il tempo e l’occasione per crescere e strutturarsi in sistemi di impresa coesi e collaboranti, capaci di competere a livello internazionale. Non a caso, quei pochi che hanno battuto la strada dell’integrazione e dell’industrializzazione del settore hanno ottenuto – nonostante le vicissitudini dell’immagine Italia – risultati soddisfacenti.
Nella nuova fase liberista, se essa non sarà temperata da serie politiche antitrust e da un rinnovato protagonismo degli Enti locali territoriali, è assai probabile che i nostri gruppi economico-finanziari più grossi, quasi tutti in difficoltà e, in qualche caso, ormai incapaci di competere con le proprie forze produttive e con la propria autonoma capacità di innovazione nel campo internazionale, si buttino a fare shopping di piccole e medie imprese innovatrici ed esportatrici ed è altrettanto probabile che questo shopping lo vadano allegramente a fare in compagnia di più potenti gruppi esteri.
Questo appare il percorso di globalizzazione più facile, più in sintonia con il risparmio di sudore competitivo della fase precedente; peccato che questo sia anche il percorso che crea maggiori difficoltà alla crescita autonoma in campo internazionale dei nostri sistemi di piccola e media impresa.
Per il turismo, in particolar modo, la realtà imprenditoriale è ancora troppo debole ed esposta non tanto per le ridotte dimensioni aziendali, quanto per la mancanza di un sistema di relazioni interaziendali.
Le multinazionali estere, che, nei loro paesi e in molte aree sviluppate, vengono controllate e a volte stoppate da legislazioni antitrust più rigide e soprattutto più attentamente gestite che in Italia, potrebbero vedere nella debolezza delle nostre imprese più grosse il Cavallo di Troia per sfondare anche le barriere più impalpabili e nel “liberismo”, cioè in una politica economica deregolatrice, il terreno di battaglia più favorevole.
E’ del tutto probabile che l’assalto si indirizzi verso le imprese più competitive; il restante tessuto diffuso più debole, fra cui tanta parte dell’imprenditoria turistica, sarà semplicemente spiazzato e progressivamente marginalizzato.
Ma alcuni sistemi di piccola e media impresa italiani arrivano alla prova del liberismo deregolatore con le carte in regola per affrontare l’urto selettivo e per resistere alle intenzioni di sopraffazione dei grandi gruppi.
Certo, sarà anche una questione di regole di mercato. Nel turismo purtroppo la presenza di sistemi robusti è limitatissima proprio perché troppo parziali e sporadiche sono state le esperienze di collegamento economico e di aggregazione imprenditoriale.
Nel turismo, se non si vuole andare verso un ulteriore impoverimento del nostro tessuto imprenditoriale, la promozione della crescita e il sostegno dell’innovazione della piccola e media impresa appare indispensabile: se ne accorgeranno i liberisti?
di Paolo Trevisani