Lo scippo virtuale di una turista a Roma
La scena si apre con un’immagine presa a prestito dalla Capitale. Sullo sfondo del paesaggio romano,la passeggiata di una sofisticata signora americana viene interrotta da due scippatori a cavallo di una Vespa che, con disinvoltura rafforzata dalle risa di altri passanti divertiti, strappano la borsa alla donna per dividersi il rotolone di dollari nella sequenza successiva. Lo slogan di chiusura sottolinea l’utilità dei traveller’s cheque.
Così un articolo pubblicato su “Libero” lo scorso 3 settembre, descriveva uno spot che sembrava essere mandato in onda negli USA per pubblicizzare i traveller’s cheque del colosso della finanza “American Express”. Una notizia che ha scatenato rabbia e polemiche, sostenute in primis dall’Enit, l’Ente Nazionale Italiano per il Turismo, che ha valutato quel messaggio come estremamente dannoso per l’immagine turistica italiana e della capitale, rappresentata come “città degli scippi”. Una preoccupazione che il Campidoglio ha dovuto riprendere e far sua, dato il suo ruolo istituzionale, ipotizzando una richiesta di risarcimento dei danni morali.
Poi, dopo alcune indagini svolte in America, si scopre che lo spot non è mai esistito se non nella penna del giornalista che ne ha dato notizia,il quale – secondo quanto riportato dal presidente europeo dell’American Express, Massimo Quarra – ha scambiato San Francisco per Roma. Una bufala, dunque, che ha scatenato una forte e risentita difesa a favore dell’immagine della città di Roma. Una vicenda nella quale è apparso tutto il nostro provincialismo, la mancanza di fair play e, soprattutto, la nostra scarsa conoscenza dei meccanismi e delle regole della comunicazione.
Soltanto il direttore dell’Apt di Roma, è andato al di là dell’ ”immagine sloganata” da uno spot – in realtà mai esistito – affermando che, sulla base di un sondaggio effettuato ogni anno sui visitatori statunitensi, l’immagine mentale che gli americani hanno di Roma si basa su ben altro, e certo non può essere uno spot ad intaccarne la forza e la suggestione.
In effetti, guardando l’attuale situazione statunitense, si comprende facilmente che i timori degli americani vanno ben oltre il pericolo di un piccolo scippo sceneggiato in uno spot che, al contrario,
poteva essere letto come un messaggio positivo proprio perché Roma veniva assunta come la metafora del viaggio turistico. Al di là di un banale pretesto/contesto creativo, Roma era il punto di partenza, non l’obiettivo finale, di un messaggio il cui senso comunicativo diretto era: viaggiate portando con voi i traveller’s cheque che potrebbero rivelarsi utili nel caso di “eventuali” inconvenienti (e il senso comunicativo di seconda suggestione poteva essere: viaggiate e visitate Roma, la destinazione turistica per eccellenza).
Del resto, per chi conosce le regole del gioco, la comunicazione mediatica è questo: è verità fusa con la menzogna, è esaltazione del reale filtrato attraverso la finzione, è illusione. La verità è spesso enfatizzata secondo i principi della spettacolarizzazione, oppure viene offuscata tramite codifiche inaccessibili o inesistenti.
In particolare la comunicazione pubblicitaria è fiction, è messa in scena che non si limita alla descrizione del prodotto, ma sfrutta la sua proiezione simbolica generando segmenti di realtà virtuale che sono in grado di catturare – cognitivamente o emotivamente – l’intenzione del ricevente. La pubblicità attuale è la forma informativa e comunicativa più bizzarra perché viene elaborata attraverso sofisticati giochi visivi e linguistici,per una gara all’originalità. Il contrasto tra la funzione commerciale e la funzione spettacolare è tale da stimolare nell’utente una fruizione ludica e distaccata, da cui deriva una sua peculiare interpretazione del messaggio persuasivo che si collega alle pulsioni e alle esigenze del suo vissuto quotidiano. E’ per questo che il messaggio è quasi sempre ambiguo, un’ambiguità a volte intenzionale, che ha lo scopo di ovviare all’omologazione dello stimolo inviato al fine di catturare tutte le diversità di ricezione esistenti, un’ambiguità che altre volte non è intenzionale ma è percepita dallo spettatore sulla base della cosiddetta “decodifica aberrante”.
Un’interpretazione non va mai generalizzata, perché le intenzioni possono essere diverse e, soprattutto, le letture dei messaggi possono essere diversissime. Non c’è mai nudità psicologica di fronte ad un messaggio”.
Per questo motivo, lo spot mai esistito poteva essere l’esempio di un “input turistico” – in un periodo in cui le persone hanno paura di viaggiare – che, pur senza una connessione diretta con il fenomeno stesso, sarebbe potuto rientrare nell’interpretazione immediatamente consapevole o successivamente inconscia del potenziale fruitore.
L’immagine visualizzata di uno scippo potrebbe essere un deterrente al desiderio di fare turismo, ma gli americani non l’avrebbero tenuto in gran contro di fronte alla tragedia reale che hanno vissuto e di fronte ai quotidiani fatti di cronaca nera di cui il continente è pervaso (la decodifica va sempre studiata tenendo conto del contesto, della contingenza e del sistema delle attese!). Così come non si sono spaventati nel vedere lo spot reale, quello di un eventuale scippo a San Francisco.
Lo “spot fantasma” quindi – semmai avesse richiamato il cityscape di Roma – poteva essere letto come un messaggio positivo anche perché l’American Express , con il suo nome noto in tutto il mondo e contornato da un grande prestigio, avrebbe dato quel plus di valore al senso occultato di Roma come destinazione turistica per eccellenza e alla ricezione “deviata” di una Italia troppo permalosa e insicura.
Un’Italia in cui il Presidente dell’Ente di promozione turistica, che più di tutti dovrebbe conoscere i meccanismi che stanno alla base dei processi di comunicazione e saperne interpretare gli effetti,chiede un incontro con l’ambasciatore USA per elevare una protesta “diplomatica” al fine di difendere il buon nome del nostro paese e della nostra capitale.
Ma si sa, prima di essere un popolo di eroi e di navigatori, siamo uomini d’onore.
di Vittoria Citarelli