Un Nuovo Strumento di Promozione: Il City Marketing

Turismo e ambiente urbano

Il turismo e la rivitalizzazione delle funzioni urbane

Le grandi città turistiche (Venezia, Firenze, Roma), ma anche le città in fase di avanzata de-industrializzazione (Milano, Torino, Genova), hanno un centro storico che può essere definito un “magnete” per il turismo urbano internazionale.

Alle attrattive culturali occorre aggiungere , nei casi di Milano e di Bologna, il ruolo delle fiere internazionali che condizionano il segmento del turismo congressuale e d’affari; anche a Rimini, città simbolo del turismo marino a mono funzione ricreativa-evasiva, si è dotata di un centro congressi per diversificare l’offerta e l’immagine urbana.

Per un motivo o l’altro, la classe dirigente locale, imprenditori e amministratori , vede nel turismo un fattore strategico nel rivitalizzare le funzioni urbane. Più in generale, vede nei vari tipi di city users (turisti ricreativi, turisti culturali, metro-business men, congressisti) una popolazione di consumatori che può favorire il benessere economico dei residenti.

Non sempre questa attenzione  si è trasformata in consapevole e sistematico impegno organizzato teso ad attrarre city users. A differenza di euro-città come Glasgow e Francoforte, Rotterdam e Lione, che hanno gestito la de-industrializzazione potenziando il terziario avanzato, in particolare i servizi alle persone in funzione turistica, a differenza delle due più prestigiose capitale europee, Londra e Parigi, che negli anni ’80 hanno fatto forti investimenti in opere pubbliche e nei servizi culturali fruiti dai residenti e dai turisti, né Milano né Roma – secondo le dichiarazioni delle stesse autorità politico-amministrative – si sono attrezzate a livelli così alti: ospitalità commercializzata e gestione imprenditoriale delle risorse culturali non hanno avuto sviluppi. Si sarebbe dovuto fare di più e meglio per competere con le euro-città e con le capitali politiche europee.

Dall’accordo sui principi generali agli accordi organizzativi

La Legge  217 affida alle Regioni e alle APT la funzione di promuovere il turismo, con il coordinamento dell’ENIT. Molteplici sono però le critiche a quanto è stato realizzato fino ad ora: si va dalle eccessive spese per il personale alla immotivata proliferazione di APT.  I motivi  dell’insoddisfazione possono essere imputati anche al divario tra l’accordo apparente sui principi generali e l’adozione di relativi modelli organizzativi , Un divario che perdura fino ai nostri giorni.

Vediamo perché.

Vi è un accordo sul principio generale che la promozione dovrebbe essere gestita con criteri imprenditoriali. Secondo quella abilità e quella creatività che a noi italiani non dovrebbe mancare, se analizziamo i successi delle “piccole multinazionali” della moda che, unendo cultura visiva e competenze produttive e commerciali, hanno trascinato l’export nazionale dalla seconda metà degli anni ’70 ad oggi. Perché non si dovrebbe trasferire tutto ciò anche alla valorizzazione delle risorse ambientali  e culturali ai fini turistici? Perché, per molti anni, l’accordo sul principio generale non è seguito un consapevole e coerente accordo sui modelli di gestione, sui criteri di spesa, sullo stato giuridico e i profili professionali dei dipendenti che rendessero operativi  i principi dell’economia di mercato e dalla cultura d’impresa . In effetti, le APT e la stessa ENIT non sono riuscite a diventare vere “aziende”: il termine ha avuto una funzione solo retorica, al punto da essere inserito nella denominazione dell’organismo subregionale, senza assegnare ad esso nessun valore ordinatario.

Vi è anche un consenso sul principio generale della cooperazione tra pubblico e privato, oltre all’accordo di programma tra diversi livelli istituzionali (vedi legge 142 del 1990). E chi potrebbe dissentire? Si dissente infatti con i comportamenti organizzativi; si proclama di essere d’accordo per poi agire diversamente rispetto ai principi con le più svariate motivazioni. Non si conosce infatti un accordo di programma che sia modello di cooperazione tra pubblico e privato che possa essere considerato un caso- pilota al punto da fornire know-how utili ad altri contesti: lo scambio di informazioni tra enti pubblici riguarda il tecnicismo giuridico e non la valutazione comparata dei risultati conseguiti  dall’azione amministrativa. E così, quando le cose non vanno, si invoca la riforma dell’ente. Come è stato fatto per l’ENIT, senza cavare finora un ragno dal buco.

Un esempio è offerto dalle procedure operative delle Aziende di promozione turistica: le APT non si sono mai attrezzate per controllare la qualità delle imprese ricettive né stimolano veramente la creazione di prodotti turistici tra loro competitivi (non sempre gli albergatori sono interessati a favorire la competizione). Di fatto c’è accordo sulle procedure perché la cooperazione tra pubblico e privato è soltanto una figura retorica creata dall’interazione verbale per rappresentare un’intenzione, una buona volontà, quella che Goffman definisce “contesto meta comunicativo del quieto vivere”: il principio non è assunto nella sua serietà e non serve a creare fiducia istituzionale e normativa. Dalle molteplici prove ed errori non si ricava un’esperienza da socializzare, ma frammenti, per cui è diffusa anche tra gli stessi funzionari l’idea di dover sempre ricominciare daccapo, o di prospettare una riforma di là da venire.

Invertire la tendenza: il city marketing

Il city marketing, cioè la strategia volta ad acquisire investitori e visitatori per rivitalizzare le funzioni urbane, può costituire un contributo per ricucire i rapporti tra obiettivi generali e le metodologie operative per raggiungerli.

Nel corso degli anni ’80, come si è detto, molte città europee si sono organizzate per competere tra loro nell’acquisizione di vantaggi per le popolazioni residenti. Anche se la competizione si è svolta dentro i confini nazionali o con la regia delle autorità centrali, il fenomeno dimostra che le euro-città vogliono gestire lo sviluppo in prima persona. Vogliono agire da protagoniste nello scenario internazionale. In questa dinamica si sono distinte soprattutto le città non capitali politiche. Sicchè, ad esempio, si sono utilizzati alcuni mega-eventi come lo show off di conferma dell’avvenuta rinascita urbana: Siviglia con l’Expo, Barcellona con le Olimpiadi, Glasgow con l’Anno europeo della cultura ecc.

Anzi, quando prima e dopo il mega evento (che per la verità è sempre più un media evento per telespettatori) vi è stata una più o meno organica strategia di city marketing, i risultati sono stati generalmente positivi. La classe dirigente locale ha cioè dimostrato ai potenziali clienti – utilizzatori dello spazio urbano – che una determinata area ha delle specifiche peculiarità che la differenziano da altre aree.

La documentazione, che occorre presentare alle autorità e alle istituzioni che decidono la sede di un  mega evento periodico, costituisce una fonte documentaria degli sforzi intrapresi dalle amministrazioni locali per presentare le qualità – materiali e socio-culturali – della città candidata ad ospitarlo (vedi l’articolo di Roberto  Fabbri in Azienda Turismo N° 1/92). La “vendita” di un pacchetto di funzioni urbane è diventata quindi una politica diffusa in uno scenario di crescente competizione fra città: una vendita che si colloca sullo stesso registro del tradizionale marketing turistico elaborato dagli enti pubblici territoriali, ma non può essere ridotta ad esso. Comune ad entrambi gli orientamenti è l’obiettivo di presentare un ambiente urbano attraente, ma il city marketing è globale, considera le risorse dell’accoglienza come una condizione generale per la valorizzazione della città verso l’esterno. E’ oltre il turismo, di cui accoglie gli standard impegnativi e li diffonde a tutta la città. E’ post-turismo, iper-turismo:  tutta la città si automigliora per essere ogni giorno più accogliente perché sempre visitata e quindi scrutata, comparata, valutata. Le città  non sono più il mero contenitore , il contesto immobile entro cui le forze economiche interagiscono. Sono esse stesse i soggetti attivi, protagonisti della competizione, finalizzate a sviluppare le risorse economiche. Di qui la compenetrazione del rapporto tra città e impresa : il “prodotto urbano” è formato dal set  variabile di servizi e attività, il suo mercato potenziale è globale, i consumatori sono i city users non residenti, coloro che usano lo spazio urbano e non coloro che lo abitano.

Il city marketing, dunque, è quell’orientamento strategico che identifica i bisogni dei city users e li soddisfa mettendoli in connessione con l’insieme dei beni e dei servizi che formano il prodotto urbano.

Il city marketing manager nelle A.P.T. e negli Assessorati al turismo e alle relazioni internazionali

I manager delle APT  o degli Assessorati comunali e provinciali al Turismo hanno piena consapevolezza di quanto sia importante introdurre criteri maturati dalla cultura d’impresa nella promozione del territorio, oltre ad essere disponibili ad interventi dei privati nella realizzazione del materiale promozionale (depliant, guide gastronomiche ecc.) Questa disponibilità non ha dato luogo a modelli organizzativi di auto-miglioramento  liberatamente  accettati.  Si è perciò attuato il cosiddetto minimal marketing, cioè la confezione di pacchetti di promozione del territorio senza procedere alla concreta commercializzazione , nella convinzione che essa spetti alle agenzie di viaggi o che il prodotto si venda da solo senza supporti e orientamenti strategici.

Il city marketing dimostra invece che i tempi sono maturi perché si passi  dall’offerta generica per un pubblico indiscriminato alla segmentazione della domanda con la commercializzazione di specifici prodotti  urbani. Senza per questo far prevalere l’aspetto economico su quello  istituzionale. La promozione cerca  infatti di influenzare gli atteggiamenti e le decisioni dei potenziali clienti, tour operators e consumatori finali, fornendo un’immagine urbano attraente  nella sua globalità, in tutti i suoi aspetti e funzioni, e non soltanto perché si propongono prezzi competitivi.

L’adozione di criteri imprenditoriali nella gestione dei city marketing  da parte di aziende pubbliche che agiscono con finalità non profit si scontra con iter burocratici fatti di precedenze, permessi, autorizzazioni, che rendono le procedure lente, faticose  complesse. E’ perciò un compito arduo costruire prodotti urbani mediante l’introduzione della commercializzazione nella promozione istituzionale e della promozione istituzionale nella commercializzazione. Soprattutto se il prodotto urbano, composto da attività e servizi diversi, che riguardano aspetti diversi dell’accoglienza (dai trasporti ai beni culturali, dagli alberghi ai negozi)  richiede l’omogeneità degli standard. Eppure, i risultati conseguiti, da varie euro-città  non dovrebbero scoraggiare chi vuol raccogliere la sfida dell’innovazione e della competizione  tra città. Anche in Italia le APT e gli assessorati al Turismo, soprattutto quelli delle aree metropolitane  su cui verte la legge 142, potrebbero introdurre la figura del “city marketing manager”, che elabora, promuove e commercializza prodotti urbani con obiettivi ben definiti e assunzione a termine ( si dimette appena non raggiunge il potenziale di mercato definito dal progetto di city marketing, che ha il valore di un  contratto).

Per introdurre il city marketing manager non c’è quindi bisogno di una particolare ingegneria istituzionale. Non c’è bisogno di rifondare gli organismi della promozione turistica. C’è bisogno di potenziare quanto  già esiste e di introdurre iniezioni potenti di flessibilità imprenditoriale. Del resto, il maggior beneficio del nuovo orientamento deriva dal processo in sé più che dall’esistenza di un piano ben formalizzato, scritto bene, con eleganza e tanti numeri, Il processo richiede però la figura del city marketing manager che definisce la struttura organizzativa, si assicura che le analisi strategiche della concorrenza e dei prodotti urbani prendano in esame i fattori di probabile successo, mantiene gli equilibri tra i risultati di breve e di lungo periodo, mostra in modo chiaro il suo contributo alla pianificazione e alla gestione del mix, testimonia il suo impegno imprenditoriale perché l’azione sia sostenuta da incentivi.

Incentivi anche morali: l’APT o L’Assessorato al turismo di una grande città potrebbe lievitare nel prestigio acquisendo le funzioni di promuovere le relazioni internazionali con le altre grandi città del mondo, formando u gruppo di pressione o di interesse orientato a rivitalizzare le funzioni urbane con soluzioni utili a tutte le città partecipanti.

di Nicolò Costa

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