Una rinnovata attenzione per i problemi del turismo
Nel 1992, di fronte al referendum abrogativo del Ministero del Turismo, notammo che – al di là delle motivazioni delle richieste di soppressione dell’organo di governo preposto al settore – le Regioni correvano un serio rischio economico: con il venir meno dell’Autorità centrale potevano venire a mancare anche gli interventi dello Stato a favore dei comparto! Il rischio è divenuto una realtà sempre più evidente.
Non si può non sottolineare, brevemente, che la crescita del turismo italiano è stata sostenuta nel tempo da notevoli incentivi finanziari che hanno portato il paese al secondo posto nel mondo per la ricettività. Questo risultato non ha fatto venir meno le esigenze dell’intervento: forse non è necessario incrementare la notevole disponibilità di posti letto e probabilmente non è impellente costruire nuovi hotel, eppure le problematiche relative alle norme antincendio, gli standard delle camere, ai servizi igienici, alle tecnologie necessarie per rendere competitive alcune strutture di antico impianto collocate nei centri storici, postulano un’azione finanziaria di notevoli dimensioni che non è possibile collocare interamente a carico degli operatori.
Lo stesso dicasi per le attività di promozione: cessate le misure a favore del turista straniero motorizzato nel 1993 e le successive azioni a favore dei turisti che venissero a trovarsi in Italia in condizioni di emergenza nel 1995, l’Italia non ha alcun strumento originale di promozione. Vero è che conta sulla sua fama, ma non è questa una strategia vincente nel lungo periodo. Sorge il dubbio che si voglia sfruttare l’effetto trainante del Giubileo del 2000: se è vero che l’Italia ospiterà, circa 40 milioni di pellegrini, perché spendere in attività di promozione? Colui che facesse un simile ragionamento sarebbe certamente uno stolto, anche perché il movimento di una tale massa di turisti comporterebbe di per sé, un onere di gestione da affrontare per tempo, se si vuole evitare di dar credito a coloro che sostengono che il Giubileo sarà una tragedia per l’Italia e per Roma in particolare.
E’ tuttavia anche l’ENIT, che dovrebbe esercitare la promozione all’estero a favore dell’Italia, è ridotto alla mera sopravvivenza: non può certo effettuare alcuna azione con 37 milioni annui – e tale è la previsione anche per il 1998 e 1999 – che sono appena sufficienti per il pagamento delle spese di gestione e degli emolumenti del personale.
Alle soglie del 2000, l’Italia si trova quindi completamente priva di strumenti di propulsione e guida del comparto turistico e questo è anche conseguenza delle richieste delle Regioni di sopprimere il momento centrale di governo del settore che, al di là del referendum non ammesso, hanno comunque un effetto politico.
Sembra tuttavia evidente che gli organi locali non vogliono questa estrema conseguenza. Ne sono prova le richieste della Regione Umbra per affrontare le questioni più strettamente legate al Giubileo: il sistema dell’accoglienza, i restauri, l’accessibilità ai luoghi religiosi, i problemi del settore trasporti. Dei 283 milioni che si vogliono dal Governo, 60 sono destinati alle strutture di accoglienza. Così come la regione Lazio, che ipotizza una spesa di 130 milioni a favore della ricettività.
E’ di tutta evidenza che l’industria alberghiera necessita di sostegno pubblico e lo stesso vale per la promozione: attualmente il rafforzamento della lira sul marco penalizza l’Italia dirottando i flussi tedeschi verso altre destinazioni ed è chiaro che, contro tali avvenimenti, l’operatore privato è inerme così come è impotente la Regione. Gli organi locali continuano ad aver bisogno, quindi, di notevoli investimenti, ma di questi non si trova traccia nella finanziaria ’97, anche se vi sono interventi non specifici che possono essere utilizzati dagli operatori turistici.
A livello istituzionale, la legge registra una unica voce di soli 20 miliardi a favore del Fondo per la riqualificazione del l’offerta turistica italiana, creato allorché fu costituito il Dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con legge 203 del 1994. Per la verità il Fondo in questione, che appare l’ultimo strumento del Governo a favore del settore, si deve unicamente all’azione dell’ex Ministero del Turismo che, recuperando le risorse non andate a buon fine delle leggi di intervento 556 del 1988 e 237 del 1993, si era reso promotore della sua istituzione. Sono stati messi a disposizione del turismo e delle regioni, quindi, circa 100 miliardi grazie alla riassegnazione dei fondi che – per la prima volta nella storia amministrativa – è stata voluta e costruita per far ritornare al comparto i fondi stanziati a favore del medesimo, invece di farli finire nell’odioso calderone dei residui di bilancio, come era sempre accaduto in passato.
Il quadro ordinamentale risulta ora meno precario perché la Corte Costituzionale, respingendo il referendum che proponeva l’abrogazione del Dipartimento, ha evitato ulteriori esperienze traumatiche generale dall’inevitabile vuoto di gestione che sarebbe scaturito dalla scomparsa dell’organo centrale.
In verità, considerata l’importanza del turismo per la vita economica e sociale del Paese nel suo complesso, sembra assurdo sostenere che alla guida del comparto possono esserci solo gli organi locali ! In realtà va riconosciuto che il tanto deprecato Ministero e successivamente il Dipartimento hanno portato l’Italia al quarto posto nel mondo dopo gli Stati Uniti e Francia per i ricavi tratti dal turismo, al secondo posto dopo l’America per numero di posti letto, mentre è al sesto posto, preceduta da Stati Uniti, Germania, Giappone, Inghilterra e Francia per quanto riguarda le spese a favore del settore turistico, spese che occorrerebbe incrementare notevolmente calcolando che gli investimenti dovrebbero essere correlati al patrimonio da tutelare, anche se il sistema economico sembra osteggiare sempre più l’intervento statale perché lo vede come in freno allo sviluppo.
Secondo la dottrina tradizionale, il passaggio da un’economia statalista a una liberista determina una spinta allo sviluppo che, se non viene adeguatamente sostenuta, si esaurisce entro un periodo di tempo limitato, in base alla legge dei rendimenti decrescenti. A giudicare dalle voci allarmante che parlano di un calo delle prenotazioni del 30% e di un 10% in meno del fatturato globale, in questo inizio del ’97 (mentre l’ISTAT comunica di aver registrato un calo del 4,7% negli arrivi e del 1,9% delle presenze, nel periodo di fine ’96) la riferita legge economica sembrerebbe confermata. Tra l’altro, nei bilanci dell’OMIT del ’96, si legge che l’Italia è l’unico Paese, tra i primi dieci quanto alle entrate turistiche, ad aver subito un arretramento dello 0,4%.
E’ tuttavia le nuove teorie della crescita sostengono che una politica liberista genera una linea economica che alimenta se stessa, determinando una accelerazione permanente dello sviluppo. Potrà validamente applicarsi a un settore complesso e delicato come il turismo questa visione della politica dello sviluppo industriale? Potrà funzionare in uno scenario assolutamente differente rispetto ai mercati americani di provenienza?
Forse un approccio completamente diverso alle problematiche del turismo potrà fornire risposte più adeguate ai quesiti sulla politica istituzionale del settore. Qualcuno ha già notato che la remora allo sviluppo turistico italiano non è nella presenza dell’organo centrale di governo, ma è nella normativa ormai inidonea, cristallizzata in quella Legge Quadro del 1983: quasi un monumento intoccabile dell’intesa Stato/Regioni sull’intervento straordinario del Governo, che vi profuse 1100 miliardi in dieci anni, e sull’organizzazione delle strutture turistiche sub-regionali, che poi gli organi locali hanno ampiamente disatteso.
Oggi la situazione è profondamente cambiata, ma sia il Governo che le Regioni sembrano paralizzati dalle prescrizioni di questa legge che incide pesantemente sul sistema turistico e che il Parlamento non ha avuto, sinora, la forza di riscrivere.
Espressione di questa nuova visione dell’assetto istituzionale è il disegno di legge n. 1655, del Senatore Gambini ed altri, che provvede alla riforma della legislazione nazionale del turismo italiano. E vi provvede – a nostro giudizio – con intelligenza, inserendo il turismo nella programmazione economica nazionale ed attribuendo il potere di impulso politico al Ministero dell’Industria, secondo la dottrina più moderna che vede il turismo collocato nel settore industriale e secondo logica della programmazione nazionale vede lo Stato deputato a seguire direttamente la politica economica del Paese.
Risolto dunque il problema del referendum che voleva anche la soppressione del Ministero dell’Industria, restò il dubbio se non debba preferire l’attuale ordinamento che vede al vertice la Presidenza del Consiglio!. La ben nota intersettorialità del turismo che postula azioni di marcata trasversalità, rapidità ed ampiezza di raggio (dal cambio, ai trasporti, alla sanità, alla cultura etc.) , sembra sconsigliare che il turismo sia affidato ad un organo (Ministero) tipicamente settoriale, a meno di non voler considerare l’ipotesi di una struttura completamente diversa da quella attuale ed idonea a seguire un ventaglio più ampio di materie (ministero per le Attività Produttive), Ma, tornando al disegno di legge Gambini, notiamo che l’attività turistica viene organizzata in un programma quadro razionale che abbraccia anche la promozione all’estero ed il coordinamento degli interventi dell’Unione Europea. E’ prevista l’attuazione della Carta dei diritti del turista e criteri per l’individuazione degli standard dei servizi di accoglimento.
Il taglio del provvedimento, quindi, orientato sul turista e sui servizi da offrire , appare quanto mai moderno ed in linea con la realtà economica italiana condizionata da costi del lavoro piuttosto alti, per cui una politica dei prezzi non appare completamente percorribile, mentre appare più valida un’azione mirata sulla qualità. Si registra, inoltre, una politica nuova che mette al centro del sistema il turista e l’impresa, superando il contrasto Stato-Regione, e consentendo finalmente quella sinergia di intenti fra le categorie interessate, tra queste ed il settore pubblico.
Inoltre, viene istituito un fondo, ripartito tra le Regioni, per la realizzazione del programma turistico locale e, per quanto riguarda la promozione all’estero, questa verrebbe affidata all’Agenzia Italiana per il Turismo, società per azioni con cui si intende risolvere una volta per tutte in modo radicale il problema della rapidità e dell’efficienza sui mercati stranieri dell’azione condotta dall’ENIT che è legato a frenanti procedure e regolamenti di contabilità pubblica.
Vengono poi disciplinate le imprese e le professioni turistiche e risolto il nodo delle associazioni senza scopo di lucro.
Ci si trova di fronte ,dunque, ad una previsione di ampio respiro, ben articolata e scandita, agile ed efficace nella normalizzazione nonché rispettosa delle prerogative degli organi locali. V’è un unico aspetto problematico che ci riporta al problema dell’intervento: la dotazione del fondo. Di 300 miliardi per il primo triennio, appare limitata ove si consideri che assorbe sia i 37 miliardi destinati all’ENIT che i 50 miliardi del Fondo nazionale per la qualificazione dell’offerta turistica italiana.
Per la verità il Governo sembra aver considerato, con il disegno di legge del Ministro dei Lavori Pubblici (A.C. 2896), il problema dell’intervento finanziario, ma pur apprezzando l’iniziativa che intende finanziare un piano orientato sui percorsi giubilari e pellegrinaggi in località fuori dal Lazio, in aggiunta al sostegno specifico per Roma, va notato che si tratta di un intervento straordinario e – come tale – inidoneo a fronteggiare le esigenze intrinseche dell’industria turistica che vanno viste in un ottica allargata, armonica e funzionale alla crescita del sistema ed non vanno correlate ad eventi particolari, generatori di anomale domande di picco che non sono quelle fisiologiche del comparto.
Si ha invece motivo di ritenere che, con una dotazione di 300 miliardi annui iniziali, alimentati da una aliquota sui gioghi e concorsi pronostici, ma soprattutto, defiscalizzando la spesa che i privati sostengono per il miglioramento, il potenziamento e la riqualificazione nel settore turistico, la legge potrebbe costituire una base eccellente su cui ricostruire le fortune del turismo italiano
Parallelamente va chiarito il discorso sull’organismo centrale del turismo: sembra logico che il turismo sia seguito da una Società per azioni a capitale misto e pubblico e privato, sull’esempio dei Paesi nordici (NOSTRA),mentre il Dipartimento presso la Presidenza potrebbe curare il necessario raccordo con la Programmazione nazionale, con gli organismi internazionali, con gli Stati esteri e con le Amministrazioni interessate attivando i meccanismi d’intesa previsti dalla legge Bassanini, e dalla Conferenza Stato Regioni e dalla nuova Conferenza Stato Città ed Autonomie locali, in modo da assicurare il migliore governo del comparto, realizzando una corale partecipazione di tutti i molteplici soggetti coinvolti nell’azione turistica.
UN NUOVO RUOLO PER LA FIAVET
La FIAVET che emerge dal 34° Congresso Nazionale appare fortemente orientata ad avere un valore più “politico” e propositivo senza trascurare la rappresentanza sindacale degli associati. Non è un’impressione scaturita solo da profilo personale del nuovo presidente , Alessandro De Scalzi, che – oltre ad essere un agente di viaggio –è anche un amministratore comunale. E’ una constatazione che deriva dalle modalità con cui la Fiavet si propone di affrontare sia i problemi interni dell’organizzazione, sia gli interessi generali della categoria.
Per quanto riguarda i problemi interni, non vi è dubbio che, oltre alla questione dello Statuto, la nuova Giunta dovrà porre mano subito al risanamento economico-finanziario dell’organizzazione, che ha presentato all’Assemblea nazionale un bilancio non troppo brillante che richiederà un impegno particolare da parte del nuovo gruppo dirigente. Ma, già le modalità annunciate per la selezione della nuova “squadra” sono tali da far comprendere che la Fiavet uscita dal congresso non intende ripiegarsi su se stessa, concentrandosi sulla ricerca di una mediazione tra gli interessi di rappresentanza: non a caso si è parlato di “squadra”, un termine che, dal linguaggio sportivo è passato a quello politico proprio per esprimere il senso di una capacità di porsi obiettivi di intervento in campo aperto. L’impressione è che sia prevalsa, nella Fiavet, una “volontà di fare” al di là della mediazione tra le varie componenti proprio perché, in passato, gli equilibri di rappresentanza interna hanno limitato il ruolo dell’associazione e la possibilità di essere protagonista rispetto ai problemi complessivi dello sviluppo turistico del Paese.
Certo, “gli interessi specifici della categoria non devono passare in secondo piano, ma questi potranno meglio essere affrontati se la Fiavet saprà porsi come interlocutore globale sia rispetto alle forze politiche e al Governo, sia rispetto alle altre organizzazioni imprenditoriali, sia rispetto allo stesso movimento dei consumatori.
Negli altri paesi europei il ruolo dei T.O. e delle Agenzie di Viaggio è considerato centrale rispetto alle altre strutture turistiche, anche in presenza di una diffusa rete di imprese con dimensioni e fatturato rilevatissimi, come le catene alberghiere. Non è quindi un problema di parcellizzazione della categoria, come molti ritengono: in tutti i settori produttivi le piccole e medie imprese italiane hanno mostrato un dinamismo che da anni viene osservato con interesse e stupore da tutti gli economisti stranieri. Anche nel campo delle attività turistiche, quindi, il problema non sta nella dimensione delle singole aziende, ma nella capacità di fare insieme “massa critica” all’interno della filiera turistica, sapendo che è proprio la funzione di distribuire un prodotto formato da diverse componenti e servizi, quella che costituisce l’anello più importante nella catena del valore
Ci sembra che tutto ciò sia ben presente nelle intenzioni espresse dal nuovo presidente De Scalzi e vorremmo concludere questa nota rilevando che, mentre la Fiavet non si chiude al processo di integrazione europea ( come dimostrano gli atteggiamenti assunti sul problema della moneta unica, su cui si sofferma l’articolo di Agosteo) l’organizzazione “cugina” Federalbergni, apre l’ultimo numero del suo houseorgan Turismo d’Italia con un articolo sul “Rischio Unione Europea”, sostenendo i n sintesi che la stabilizzazione monetaria, riducendo i margini di manovra sui prezzi, dovrebbe comportare una riduzione nel volume complessivo della domanda acquisita. Almeno da questo punto di vista, gli Agenti di Viaggio e i Tour Operators sanno che la capacità di stare sul mercato non è solo un problema di vantaggi determinati dal prezzo di vendita, soprattutto in presenza di un trend espansivo come quello che –nonostante la crisi in cui versano le economie di molti paesi occidentali – si riscontra nel mercato turistico, ma è principalmente un problema di competitività globale, fatta di dinamismo imprenditoriale e di capacità di offrire prodotti che rispondano alle esigenze del consumatore.
Di cui, bene o male, gli agenti di viaggio sono i più diretti interpreti e garanti.
Di Antonio Sereno