Laurea breve e laurea specialistica
La legge di riforma del turismo 135/2001 istituisce i sistemi turistici locali (Stl) e quindi pone implicitamente la questione di definire le professioni in grado di progettarli e di gestirli.
Anche vari programmi speciali, spesso finanziati dall’Unione Europea privilegiano in modo esplicito la messa in rete delle risorse locali: i bandi di alcune Provincie per l’assunzione di “animatori socio-culturali del territorio” o di “esperti in marketing territoriale”, gli itinerari enogastronomici come le “strade del vino” i “patti territoriali” degli ultimi anni riguardanti le coste, i Por (Programmi operativi regionali) e molti bandi di gara regionali o comunali, provenienti dagli assessorati alla cultura e allo spettacolo propongono progetti mirati alla realizzazione di eventi connessi alle risorse ambientali e culturali con consistente ritorno promozionale per il turismo locale. La stessa urbanistica consensuale, ad esempio i Pru (Programmi di recupero urbano) e i Prust (Programmi di recupero urbano per lo sviluppo sostenibile del territorio), richiama competenze manageriali nel saper trattare le compensazioni degli standard urbanistici e, anche quando riguardano le periferie, richiede la figura dal facilitatore dello sviluppo locale con riferimento ai servizi e alle infrastrutture indispensabili per realizzare la “città ospitale”. Tutto ciò si inserisce nel processo logistico in atto a dare potestà legislativa sempre più rilevante a Regioni, Province e Comuni in attuazione del diffuso orientamento federalista.
La città è la scala geografica principale in cui si localizzano le nuove iniziative di rivitalizzazione delle funzioni turistiche, anche a seguito del nuovo assetto amministrativo disegnato dalla Legge costituzionale 3/2001 di modifica del titolo V della Costituzione. Non a caso l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha avviato il progetto “Le città d’identità” e Confcommercio-Legambiente hanno evidenziato come il turismo può far rinascere i Comuni, soprattutto montani, soggetti a spopolamento.
Di conseguenza, alcuni organismi pubblici hanno avviato programmi di formazione per inserire i laureati come agenti di sviluppo locale, come ad esempio il programma Rap 100 (rete di assistenza professionale) del Formez. Più in generale, vari finanziamenti del Fse (Fondo sociale europeo) riguardano il sostegno a corsi di formazione in cui prevalgono figure come l’animatore socio-culturale del territorio, l’operatore turistico dell’incoming, l’esperto in marketing turistico del territorio, l’esperto in valorizzazione de beni culturali, comunque figure connesse alla progettazione di sistemi complessi di valorizzazione del territorio.
I corsi di laurea triennali in “Scienze del turismo” e quelli specialistici in “Progettazione e gestione dei sistemi turistici” sono una delle pochissime risposte accademiche volte a formare con prevalente approccio socio-territoriale le nuove figure professionali operanti nelle interdipendenze settoriali del turismo con l’ambiente, i beni culturali, i trasporti, l’agricoltura e l’artigianato e all’interno dell’ordinatore culturale del “turismo sostenibile”. Si connettono in modo diretto con la riforma del turismo istitutiva dei “sistemi turistici locali”(Stl) e in modo indiretto con le pratiche spaziali della programmazione negoziata fondata su iniziative provenienti dal basso, dalla collocazione tra aziende ed enti locali.
In particolare, il corso di laurea in “Scienze del turismo e comunità locale”, istituito dall’Università
Milano-Bicocca, l’unico ad essere stato attivato da una Facoltà di Sociologia, punta sulla collaborazione tra pubblico e privato per lo sviluppo dell’incoming.
E’ necessario, quindi, orientarsi tra le diverse offerte formative per delineare le risorse umane .- formate a livello accademico – da inserire nelle politiche pubbliche, in particolare quelle urbane e territoriali, finalizzate alla valorizzazione del “giacimenti” culturali e gastronomici diffusi a livello locale, creando reti territoriali e comunicative con le nuove imprese ricettive, dei trasporti e della ristorazione operanti nei Sistemi Turistici Locali.
La legislazione turistica, insieme a quella riguardante l’ambiente, l’agricoltura e l’urbanistica, costituisce la fonte da cui scaturisce la domanda di nuove conoscenze e competenze turistiche. Occorrono, infatti, delle competenze particolari nel saper operare in un Stl o nell’essere un agente dello sviluppo locale o un facilitatore che sa coinvolgere gli stakeholders nella programmazione di un Prusst denominato, ad esempio,”economie del turismo”. Anche l’analisi e dei bandi di concorso per l’assunzione delle nuove figure professionali o per la progettazione di nuove iniziative di marketing territoriale turistico mette in rilievo la crescente domanda di professioni con conoscenze socio-territoriali e culturali, in connessione-integrazione con il consolidato approccio economico: agenti di sviluppo locale, in cui il ruolo della promozione turistica del territorio è una componente spesso rilevante.
Gli obiettivi sono duplici:
• innovare gli assetti organizzativi per adeguarli ai nuovi compiti di promozione e coordinamento delle iniziative di sviluppo che gli enti locali hanno conquistato recentemente a seguito dei provvedimenti “Bassanini” e della legge 265/99 di riforma della 142;
• formare, per mettere a disposizione dei Comuni, figure professionali che progettano iniziative di sviluppo in aree su cui vertano sovvenzioni e incentivi (fondi UE, programmazione negoziata,ecc.) ma carenti di attori che favoriscono la gestazione e l’avvio di progetti concreti di rivitalizzazione del territorio.
Non tutti i bandi prevedono l’occupazione a tempo indeterminato negli organici degli enti locali o nelle società di sviluppo economico da essi partecipate, si prevedono anche incarichi consulenziali per obiettivi. Gli agenti di sviluppo turistico locale devono essere in grado di redigere un progetto di
sviluppo integrato, tale da garantire la coerenza dello sviluppo stesso, dopo aver raccolto informazioni e suggerimenti dagli attori locali. Infatti, il programma di sviluppo parte dalla collaborazione tra gli attori, condizione di partenza indispensabile per procedere all’integrazione tra le diverse articolazioni per lo sviluppo territoriale (economica, sociale, culturale).
In particolare, la produzione legislativa è collegata con la crescente attenzione al ruolo attivo della comunità locale nel programmare lo sviluppo turistico locale, ormai dominato dall’ordinatore culturale e politico del “turismo sostenibile”, che si incrocia con i discorsi pubblici sul federalismo.
Esso proviene soprattutto dai discorsi scientifici sugli impatti ambientali,economici e socio-culturali del turismo e quindi dalla necessità di formare esperti nella regolazione su scala locale di questi impatti.
L’operatore turistico formatosi in un corso di laurea a prevalente indirizzo umanistico e sociologico-territoriale, è un analista de un programmatore delle comunità locali.
Alla laurea triennale, corrisponde l’operatore turistico junior; alla laurea specialistica corrisponde l’operatore turistico senior, sul modello degli albi professionali che disciplinano le molte figure professionali.
Verso un nuovo modello di località turistica
Nella dinamica locale-globale, che caratterizza anche il turismo contemporaneo, i sociologi del turismo (soprattutto in Italia) continuano a privilegiare gli impatti negativi dei flussi e delle localizzazioni turistiche sulle comunità locali. Come se ci trovassimo in piena epoca del turismo di massa. Come se il turismo sostenibile non avesse proposto nuove pratiche correttive e regolative dei flussi nonché nuovi metodi di programmazione del territorio.
Le comunità locali sono considerate passive o fragili, inesorabilmente destrutturate nella loro ‘autenticità’ dalle pratiche spaziali o dal cattivo gusto esibito dalle ‘orde dorate’ mentre il potere illimitato delle multinazionali del divertimento avrebbe “macdisneyficato” i consumi culturali e trasformato i luoghi in disaggregati spazi dell’effimero postmoderno.
Il pregiudizio anti-turistico è tipico della ‘teoria crtica del turismo‘, che compara il peggio del turismo di massa, espresso dalla società dei consumi nell’epoca della produzione fordista, con il meglio del turismo di èlite, con la perduta e spesso rimpianta ‘arte di viaggiare’. Questo pregiudizio continua a darci informazioni più sulla “nostalgia” degli intellettuali che sui dilemmi “reali della gente” alle prese con la creazione di un difficile equilibrio tra tempo e denaro, tra consumi turistici e produzione del reddito (Cross,1997). Gli intellettuali pensano che l’autenticità dei luoghi e delle culture debba essere comunicata soprattutto dalle parole e dallo ‘sguardo romantico’ di pochi e, non dalla culturale materiale dei souvenir realizzati dagli artigiani e men che meno dai consumi e dalle shopping communities del turismo. E così il ‘mondo delle cose’ ha messo in ‘relazione’ le persone tra di loro (cenette al ristorante, abbronzatura sulla spiaggia,attività sportive,ecc.) mentre i consigli austeri e pedanti degli intellettuali sono stati rifiutati. I pregiudizi anti-turistici ci danno informazioni più sui tentativi degli intellettuali di esibire una distinta poetica del gusto e del disgusto che sulle dinamiche del mercato turistico, comprese le ‘buone pratiche’ avviate dal ‘turismo sostenibile’ per riqualificare il turismo di massa della società dei consumi o per proporre modelli innovativi di gestione dello sviluppo locale incentrati sugli ‘autentici’ desideri dei clienti-consumatori.
Si ricordi che la sociologia del turismo ha dimostrato da molti anni che non esiste ‘il turista’ ma esistono ‘i turisti’. Non esiste soltanto l’iperturismo dei parchi ricreativi, creato dal capitalismo mediatico per integrare le risorse turistiche, commerciali e artistiche sotto il dominio della “marca aziendale”, ma esistono anche gli itinerari enogastronomici, il turismo rurale o il turismo ambientale, il turismo culturale che si incentrano sulla valorizzazione delle comunità locali, sulla rinegoziazione dell’autenticità dei luoghi, su regole di conservazione dell’ambiente, sulla “marca” dei luoghi veicolata da certificazioni ambientali o dai prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato o dalla qualità estetica delle attrattive culturali scampate ai processi omologanti dell’urbanesimo contemporaneo.
In sostanza, si confonde il ‘peggio’ del turismo ricreativo, ereditato dalla società dei consumi ‘senza limiti’, e il ‘peggio’ del divertimentificio, generato dai mix economnico-culturale delle imprese medianiche postmoderne, con tutto il turismo. E quindi si sottovalutano gli sforzi per salvaguardare il 10% del territorio nazionale con l’istituzione di parchi e riserve naturali, per realizzare prodotti artigianali da inserire nei circuiti del turismo globale o le nuove strategie di marketing territoriale perché i giacimenti enogastronomici diventino un medium del territorio con lo sviluppo dei servizi turistici (Paolini, 2000).
Il nuovo turismo di massa e le comunità locali
A causa della componente snobistica, la teoria critica coglie soltanto un aspetto della realtà, quello della deresponsabilizzazione dei turisti eterodiretti, ma non vede i cambiamenti in atto nel mercato turistico.
Ci limitiamo ad alcune osservazioni:
a) sul lato della domanda, il turismo di massa si è diversificato. Molteplici segmenti del turismo internazionale cercano un rapporto consapevole con la comunità locale, superando la standardizzazione del turismo di massa tipico degli anni dominati dalla rigida alternanza tra lavoro rispettivo e vacanza presa ad un “unico boccone”. E ciò non si è verificato a seguito della ‘critica culturale’ ed estetizzante degli intellettuali. Hanno inciso soprattutto le politiche pubbliche a livello internazionale: la teoria dei ‘limiti sociali’ allo sviluppo, elaborato già negli anni settanta, ha contribuito a creare un consumatore responsabile e consapevole e, sul piano turistico, una nuova deontologia professionale del saper viaggiare. Il principio della ‘prevenzione’, che ha generato tecniche di gestione degli impatti ambientali del turismo e quello della ‘precauzione’, che ha generato nel corso degli anni novanta una sempre più efficace politica pubblica di conservazione delle aree naturali (cfr. Beato,2000), sono presenti in modo trasversale in molti stili di vita turistici.
Le motivazioni della domanda sono diventate sempre più ‘amichevoli’ nei confronti dei luoghi e le esigenze sempre più orientate verso la ‘qualità’, tecnica e relazionale , dei servizi di accoglienza (Poon,1994). Il saccheggio del territorio, causato dall’ostentazione dei comuni senza limiti, è un modello del passato, indotto dalla sottovalutazione delle componenti socio-territoriali che caratterizzano l’offerta locale. Come un luogo specifico, un’attrazione unica e non riproducibile come un parco dei divertimenti. I fattori di spinta – la fuga, il break della routine, la domanda di compensazione affidata ai consumi, l’autoaffermazione – sono ancora presenti e determinano i processi decisionali e i modelli organizzativi del viaggio, ma sono collegati anche alle motivazioni del turismo responsabile e a nuovi stili di vita che tendono, anche all’estetizzazione della vita quotidiana, all’intellettualizzazione degli incontri, al cosmopolitismo delle esperienze turistiche, all’incontro con la comunità mediato dalla costruzione dell’interazione come ‘autenticità rappresentata’. Con il conseguente cambiamento delle percezioni, delle immagini e delle pratiche spaziali;
b) sul lato dell’offerta, le comunità locali soprattutto quelle italiane progettano di voler essere le protagoniste dello sviluppo turistico locale e vedono nel turismo un’opportunità per rivitalizzare le loro tradizioni culturali e offrirle allo ‘sguardo’ dei visitatori. Il turista è cercato e voluto perché le comunità locali si sentono sufficientemente forti per progettare i servizi di accoglienza a sostegno delle loro esigenze di sviluppo e per rivitalizzare, tramite le spese dei turisti, le funzioni economiche e culturali dell’area. Infatti, più che distinguere tra comunità fragili e comunità forti, occorre distinguere tra comunità chiuse e comunità aperte. Le prime hanno paura dello straniero, sia esso un metropolitan business man o un emigrante, per cui tendono ad evidenziare che l’autenticità è una proprietà permanente della cultura locale, è pura. Le seconde cercano di rivedere lo spazio di ricezione perché concepiscono l’autenticità come un processo dinamico, incessantemente prodotta e riprodotta, negoziata tra i vari attori sociali di volta in volta coinvolti, non è mai pura ma è sempre ibridata e rivitalizzata, è appunto ‘autenticità rappresentata’.
A differenza del periodo dominato dal turismo di massa, quando si offriva al turista genericamente la possibilità di trovare le quattro “s” (sun, sand, sea, sex), all’incontro con il turista è affidato oggi il compito di reinventare la “marca” del luogo, di riposizionarla strategicamente come luogo di “non comune piacere” perché dotata di una sua personalità
di una sua identità, re-inventata insieme con il turista e non per il turista.
I cambiamenti sono stati facilitati da molteplici forme di collaborazione interoganizzativa sia sul lato della domanda che dell’offerta.
Il pregiudizio critico trascura di prendere atto che ormai da decenni sia le aziende che le associazioni turistiche che gli enti locali stanno realizzando nuove filiere territoriali fondate su programmi di sviluppo dal basso. Per l’Italia, si pensi al modello bottom up presente nei Gal, gruppi di azione locale, che hanno favorito lo sviluppo rurale. In particolare, l’urbanistica consensuale già ricordata, privilegiando sempre più le attività turistiche come ambito di intervento, affida alla collaborazione tra enti locali e imprese il compito di ridisegnare le periferie o il risanamento dei centri storici per promuovere una città globalmente ospitale,in deroga agli strumenti “autoritari” come il piano regolatore comunale.
Si sta delineando un’industria dell’ospitalità fondata sulle piccole e medie aziende locali e sulla regolazione consensuale, prevista con disposizioni normative ma anche affidata a modelli ‘volontari’ di miglioramento qualitativo delle prestazioni aziendali, e sulle attività di big players (catene alberghiere, tour operator, vettori arerei) influenzati sempre più dai principi del turismo sostenibile.
Anche i big players, che ancora sono fermi al al turismo industriale fordista, nel senso che producono e commercializzano i servizi come se vendessero cose e non esperienze, hanno riconosciuto in varie circostanze che l’ambiente non compromesso è un punto fondamentale per il loro successo. Domandano perciò di avere gli strumenti di gestione, per progettare viaggi che minimizzano gli impatti ambientali e sociali negativi senza compromettere la redditività dell’azienda.
Il ruolo crescente delle comunità locali è presente nelle tendenze in atto volte a definire i modelli di gestione interorganizzativa del territorio allo scopo di salvaguardarlo come risorsa per progettare lo sviluppo locale autocentrato. Il protagonismo delle comunità locali, intese come aziende collettive che progettano e guidano lo sviluppo locale sta ridimensionando e mettendo in crisi i modelli di colonizzazione spaziale del turismo di massa, quando la località era dominata passivamente dalla domanda ed era poco regolamentata, generando inesorabile congestione e decadenza della stessa località se non intervenivano modelli correttivi nella programmazione territoriale.
Si è ormai istituzionalizzata nel corso degli anni novanta l’idea che la marca territoriale costituisca il centro di identità socioculturali che, opportunamente organizzate in itinerari e circuiti con servizi di qualità, possano costituire magneti territoriali in cui operano “professionisti” con competenze relazionali o “lavoratori della conoscenza”. Con la conseguenza che la maggior parte delle spese turistiche alimentano le piccole e medie imprese locali, organizzate a rete con fornitori e sub-fornitori che scambiano beni ma anche fiducia interpersonale, e non le grandi multinazionali globalizzate del turismo neo-fordista.
Il ruolo crescente delle comunità locali e presente nelle tendenze del mercato turistico caratterizzato dalle regole del turismo sostenibile volte a definire modelli di gestione inter-organizzativa del territorio allo scopo di salvaguardarlo come risorsa per progettare lo sviluppo autocentrato.
Il nuovo equilibrio è caratterizzato dal turismo di massa riformato perché la politica locale guida il cambiamento.
Turismo incoming e gestione delle località turistiche
Il nuovo operatore turistico dell’incoming formato dalla laurea triennale, e il ‘progettista e gestore’ degli Stl, formato con la laurea specialistica, operano all’interno di una nuova rappresentazione geografica delle località turistiche. Infatti, si stanno realizzando modelli di gestione del turismo sostenibile di massa modellati per attrarre e soddisfare specifici target della domanda, quali il turismo ambiente o il turismo culturale (Weaver, 2000). Il nuovo modello di spazio turistico, in cui operano i nuovi professionisti del ‘turismo di massa riformato’, deve dar conto delle conseguenze spaziali ridotte dalle politiche territoriali ispirate dal turismo sostenibile e da disposizioni legislative incentrate sul principio della ‘prevenzione’ (prevedere gli impatti negativi prima di realizzare un progetto turistico) e della ‘precauzione’ (mettere limiti per salvaguardare l’ambiente a prescindere dalla valutazione degli impatti). Gli spazi turistici, quindi, devono essere governati in funzione di due variabili: l’intensità dei flussi e la loro regolazione attraverso politiche urbane e territoriali finalizzate alla conservazione dei ‘giacimenti’ naturali e culturali (artistici e gastronomici).
La regolazione dei flussi può essere molto più rigida attraverso vincoli assoluti di accessi, o può essere il risultato di accordi tra gli attori locali sulla “capacità di carico ottimale”o sulle modalità di programmazione del territorio.
Gli input negativi indicati dai flussi sono presenti nella coscienza collettiva a tutti i livelli e riguardano i vari ambiti di diretto o indiretto supporto all’esperienza turistica:
• fisico: danni permanenti all’ambiente naturale, affollamento e congestione, inquinamento, problemi di traffico automobilistico ecc.;
• sociale: minore accessibilità ai servizi e alle attrattive turistiche, conflitti con i residenti per l’uso dei servizi, perdita dell’identità culturale e compromissione del paesaggio, riduzione dei benefici del turismo, decadenza delle skills dei laboratori ecc.;
• marketing: fallimento nel capitalizzare nuove opportunità ed erosione di quote di mercato a favore di aree concorrenti, insoddisfazione crescente da parte degli innovators e degli early adopters(i primi arrivati), oscuramento complessivo dell’area, conflitti tra gli operatori nel cooperare per comuni strategie di comunicazione;
• organizzativo: approccio frammentato al marketing turistico, sfiducia interpersonale tra operatori e tra operatori ed enti locali, inadeguata rappresentanza degli interessi delle varie categorie, fallimento nelle azioni di comune interesse per la soluzione di problemi o per cogliere le opportunità ecc.
Davanti a scenari di questo tipo, in cui gli effetti negativi sono già avvenuti o potrebbero verificarsi, si avviano azioni di riqualificazione urbana e ambientale o preventive o precauzionali rispetto ai possibili danni. Tutto il turismo è considerato un sistema regalato di input e output, in cui le azioni modificano il ciclo di vita della località turistica e la riposizionano strategicamente. Soprattutto le azioni regolano le località che sono in fase di avvio ma anche quelle in cui il ‘molto’ è diventato ‘troppo’ in funzione di standard, specifici per ogni luogo, indicati dalla programmazione territoriale sostenibile: identificano approcci alternativi al turismo di massa sostenibile, adottano modelli inter-organizzativi flessibili per rispondere a situazioni inaspettate nelle dinamiche della domanda, mantengono l’unicità della cultura locale e delle risorse naturali, creano il ‘desiderabile’ con eventi speciali e forme innovative di cooperazione, eliminano l’”indesiderabile” come l’ostilità dei residenti e le frizioni tra operatori turistici.
Il tipo di località turistica dipende dalle tecniche di regolazione dei flussi e dal consenso sulle regole da parte degli attori locali ed esterni all’area di destinazione, dalle decisioni congiunte prese dopo negoziati in cui ogni punto di vista ogni immagine del territorio e ogni progetto di sviluppo locale, ha la sua legittimità.
Analizziamo nei dettagli le nuove tipologie:
• Turismo Sostenibile di Massa: alta regolazione e alta intensità dei flussi.
Quando si utilizza un biglietto di accesso in una città (è il caso di Venezia) per programmare i flussi di accesso e ciò riduce gli impatti negativi dei trasporti turistici sull’ecosistema urbano, si ha il turismo sostenibile di massa. Non soltanto la risorsa è conservata per i futuri turisti, ma anche si attivano modelli di marketing management che richiedono conoscenze socio-territoriali e competenze operative nel saper spalmare i flussi in modo da aumentare la soddisfazione del turista mettendolo in grado di percepire una diversa qualità dell’offerta proprio a seguito della mitizzazione degli impatti turistici sugli stessi turisti. Quando gli albergatori di Riccione creano un’associazione volontaria per trasformare gli alberghi secondo i principi dell’ecocompatibilità (smaltimento dei rifiuti, materiali edilizi non inquinanti ecc.) e cercano di vendere la nuova immagine ambientale del luogo, non fanno soltanto green marketing ma diventano attori consapevoli del turismo sostenibile di massa, delineano un modo diverso di vivere la località. Quando il Touring Club e Legambiente verificano le balneabilità delle acque e stilano le graduatorie delle località del turismo marino, incidono nel trasformare il rito tradizionale del turismo di massa, che era disattento al contesto ambientale, attratto esclusivamente dalla vacanza, cioè dal dolce far niente sotto l’ombrellone, per trascorrere apaticamente le ferie: inducono una consapevolezza del luogo a partire dall’igiene e dal benessere. Le “buone pratiche” trasformano la comunità locale che si rivitalizza e, connettendosi con altre risorse locali, può diventare anche una componente di un più ampio Stl.
• Turismo Alternativo Programmato: alta regolazione e bassa intensità dei flussi.
Quando si decide di applicare il principio precauzionale,si istituisce un’oasi naturale e si creano i camminamenti per esercitare lo sguardo turistico (vedere gli uccelli senza disturbarli, fotografare gli animali ecc.) e si creano modelli di accessibilità selettiva per soddisfare il target del turismo responsabile e consapevole. La regolazione può essere applicata ai vari livelli di intensità: si può usare un ticket d’ingresso con servizi naturalistici (guida, bookshp, angolo per souvenir, spaccio di prodotti tipici ecc.), oppure, come succede per l’isola di Montecristo, proibire qualsiasi tipo di accesso se non a un indefinito ‘personale autorizzato’ , con la conseguenza di creare gli accessi ‘privilegiati’ per motivi politici (gli amici di chi sa come essere autorizzato), conseguenza tipica quando una risorsa è sottratta alle regole di mercato.
L’operatore turistico come professionista riflessivo
I modelli qui proposti consentono di individuare una competenza specifica in cui collocare gli operatori turistici del turismo di massa con contenuti nuovi: saper leggere gli spazi turistici affinché i pacchetti incoming favoriscano il passaggio dalla località verso le nuove e dominanti tipologie dell’offerta.
Le nuove conoscenze del progettista e gestore degli Stl, formato a livello accademico con una rilevante quota di insegnamenti socio-territoriali, si possono affermare se si abbandona la figura dell’intellettuale “critico e legislatore di sapere”.
Occorre prendere atto che il turismo può avere effetti benefici sulla comunità locali e che queste ultime possono essere dotate di un capitale sociale, fatto di fiducia istituzionale e interorganizzativa, sufficiente a ridefinire le pratiche spaziali in funzione dello sviluppo sostenibile.
La sociologia dell’ambiente e del territorio, insieme con altre discipline sia umanistiche, storiche e geografiche, sia economico-gestionali, contribuisce a fornire gli strumenti di analisi teorica e di progettazione operativa utili a realizzare la messa in rete dei beni culturali e ambientali, dei prodotti tipici dell’agricoltura e dei beni culturali, dei trasporti e delle strutture ricettive alberghiere e extralberghiere, di tutti gli elementi che compongono il sistema. Contribuisce anche a fornire le competenze organizzative indispensabili per gestire un consorzio pubblico-privato o una strategia pluriennale di marketing territoriale turistico.
L’operatore turistico che opera a livello di comunità locale secondo un approccio sistemico è un facilitatore che sa mediare tra i vari punti di vista nell’innovazione dei processi di offerta locale, coinvolgendo gli stakeholders nella progettazione congiunta delle nuove proposte che incidono nella trasformazione delle aree di destinazione: è un interprete del paesaggio e sa collocare strategicamente le sue proposte a livello di turismo alternativo programmato o a livello di turismo sostenibile di massa.
L’avvio delle “migliori pratiche” di integrazione sistemica dell’offerta locale passa attraverso la diffusione territoriale di esperti nel creare nuove e originali connessioni nella collaborazione tra enti pubblici e iniziative private. Esperti su come si fa ad organizzare servizi complessi creando reti territoriali e comunicative, creando filiere e cluster. La sociologia dell’organizzazione li definisce professionisti riflessivi perché sanno intervenire nei circuiti dell’offerta locale creando opportunità per lo start up di nuovi fornitori di servizi in rete.
Del resto, già adesso i più consolidati operatori turistici, quelli più aperti all’apprendimento organizzativo, ragionano secondo una diversa consapevolezza del loro ruolo, nel senso che sono in relazione con tutte le componenti del sistema. Ciascuno è parte di un’offerta omogenea e specifica dell’area, e si sente il rappresentante di una località che è ospitale con se stessa per essere ospitale con tutti. La qualità dei servizi, infatti, non è disgiunta dalla qualità territoriale: è intesa come risultato di un processo diffuso, delle tante ‘marche’ locali. Una qualità da affrontare e coniugare al plurale, superando tentazioni di derivazione internazionale che rischiano di appiattire le specificità, di omologare domande e risposte ad un unico livello. L’industria dell’ospitalità postfordista (Poon,1994) ha sempre più l’esigenza di rispondere in modo efficace a diverse capacità di spesa, di far stipulare contratti che certifichino la soddisfazione di una domanda sempre più diversificata ma anche una diffusa esigenza di coniugare la redditività con la personalizzazione dei servizi.
I professionisti riflessivi non sono, quindi, coloro che applicano in modo standardizzato i principi della qualità totale e le norme Uni-Iso, ma coloro che operano in modo proattivo e collaborativo con il territorio e sanno affrontare anche i temi etici dell’umanizzazione dei servizi di accoglienza e sanno creare ambienti in cui l’autenticità dell’offerta sia organizzata in modo da offrire una città friendly, con un volto autenticamente ospitale (Leoni, 2001).
L’ibridazione dei saperi
Già nel decimo rapporto sul turismo, è stato rilevato (Costa e Martinotti, 2000) che è certamente un fatto innovativo l’approccio economico al turismo: nel corso degli anni novanta, esso è stato considerato un fattore produttivo sullo stesso piano dell’attività industriale, sia sul versante formativo con i Diplomi Universitari in Economia e Gestione dei Servizi Turistici sia sul versante degli incentivi pubblici allo sviluppo locale con la legge 488. Finalmente, il turismo non è confuso con le attività ricreative, considerate secondarie rispetto al lavoro e marginali per la crescita di nuova occupazione e di nuove imprese. Ora, riprendendo questo articolo e sviluppando ulteriormente questa impostazione, si può ipotizzare che l’ibridazione dei saperi scientifici, tra loro finora separati, e degli stessi saperi umanistici per il know how dei migliori professionisti riflessivi costituisce il focus formativo delle nuove risorse umane degli Stl e delle comunità locali. Proprio per l’attenzione alla formazione di nuove leadership e alla intersettorialità, un Stl può essere inteso come l’incubatore istituzionale in cui nascono e si affermano i ‘gruppi creativi’ dell’industria dell’ospitalità postfordista che può accogliere una domanda turistica esigente e responsabile anche se è organizzata con le modalità proprie del turismo di massa.
Sin dai tempi di Camillo Olivetti, cioè sin dagli anni cinquanta, è sta presente tra gli operatori economnici e gli intellettuali l’idea di una figura professionale capace di integrare le conoscenze economiche e scientifiche con quelle umanistiche. La sua strategia è finalizzata ad integrare quelle che allora venivano definite le ‘due culture’. L’imprenditore piemontese, oltre a far dialogare molteplici figure professionali provenienti dai più disparati settori perché fornissero indicazioni e consigli sull’organizzazione aziendale, affidava agli ‘studi di comunità’ un ruolo importante per la circolazione dei saperi scientifici. Del resto, la casa editrice da lui fondata si chiama ancora oggi ‘Comunità’.
L’integrazione non è affidata all’azienda, ma alle relazioni locali da cui l’azienda è supportata e consolidata. Di questa forma di relazioni il distretto industriale del made in Italy è l’aspetto economico più visibile la punta di un iceberg. Tra distretto industriale e approccio di comunità non vi è discontinuità, né teorica né pratica, come dimostrato da Bagnasco nel recente volume intitolato ‘Tracce di Comunità’ e dedicato proprio al sistema di piccole e medie imprese della Terza Italia (Bagnasco, 1999)
A livello di ricerca scientifica, economisti e sociologi dell’Università di Bologna hanno insistito sull’”economia civile” e sulle “strategie di comunità”, ma queste idee vengono a maturazione operativa soltanto durante gli anni novanta con i ‘Patti territoriali’ promossi dal Cnel e, nel settore del turismo religioso, con la programmazione del Giubileo fuori del Lazio, caratterizzato dall’urbanistica consensuale e dall’integrazione tra beni culturali ecclesiastici e strutture ricettive a basso costo.
Sempre durante gli anni novanta cominciano a saltare le appartenenze artificiali all’alta’ cultura contrapposta alla “bassa”. Si riconosce che i curricula accademici con i tradizionali corsi di laurea non fanno ‘sistema formativo’, si afferma l’importanza del learning by doing, l’idea che si conosce che ciò che si apprende all’esterno dell’azienda o delle scuole può essere utilizzato dai lavoratori per migliorare la qualità tecnica, intellettuale e sociale delle loro skills. Non vi è un sapere ‘alto’ propedeutico al sapere ‘basso’, rappresentato dal fare.
Soprattutto, la comunità locale con il suo capitale sociale, fatto di fiducia reciproca o interpersonale e di fiducia nelle relazioni istituzionali, riemerge come entità dotata di sapere diffusi, come ambiente che favorisce l’apprendimento organizzativo, attraverso cui si attivano le forze autopropulsive dello sviluppo locale.
La separazione specialistica dei saperi chiusi in corporazioni e diffidenze è riconosciuta come un ostacolo allo sviluppo mentre la sperimentazione interdisciplinare e le conoscenze inter-organizzative sono considerate le risorse indispensabile per fare sistema e per realizzare reti territoriali, sociali e informatico-comunicative.
L’istituzione dei Diplomi Universitari in economia e gestione dei servizi turistici (Duegst) è stato un embrionale tentativo di far partecipare anche l’Università al cambiamento in atto negli atteggiamenti mentali e nelle pratiche politico-sociali. Ma oggi l’operatore turistico è sempre più inteso sia come manager che come intermediario culturale, un imprenditore che sa produrre valore aggiunto e un intellettuale che raggiunge l’obiettivo della crescita sapendo valutare le conseguenze culturali delle sue azioni e le sue stesse capacità di saper fare rete sul territorio. Il professionista riflessivo è il modello di riferimento a cui danno forma le migliori pratiche spaziali attivate dagli imprenditori intellettualizzati (tour operator di nicchia, gestori agriturismi, organizzatori di giochi storici, gestori di parchi tematici ludico-culturali, consulenti di marketing strategico, ecc.).
Il progetto incompleto di Olivetti e di tutti gli scienziati sociali esperti in studi di comunità sembra continuare con le ibridazioni dei saperi richiesta dall’industria dell’ospitalità. E la comunità non è più la dimensione utopica di un “industriale-profeta” ma la risorsa territoriale, l’eredità storica dei saperi, che i molteplici stakeholders operanti nelle interdipendenze settoriali del turismo cercano di riscoprire o di ricostruire per progettare l’organizzazione postfordista dell’impresa, la nuova dimensione dell’azienda turistica aperta al suo esterno come il nodo di una rete, senza gerarchizzazioni e centralità burocratico-amministrative o fordiste.
Pertanto, si richiedono nuove competenze e nuovi professionisti nel saper progettare e gestire gli Stl esibendo performances operative in grado di delineare i contorni di nuovi distretti turistico-culturali o ambientali fondati sul ruolo della comunità locale. Più in generale le ‘conoscenze’ scientifiche e umanistiche e le ”competenze e abilità’ professionali possono essere ibridate perché cresce la domanda di operatori pubblici e privati che diano sostanza ai progetti locali di un turismo sostenibile.
Il progettista/gestore degli Stl
Il progettista e il gestore sono due figure diverse sul piano operativo ma complementari della formazione accademica.
Il progettista è soprattutto un professionista con prevalenti competenze scientifiche, il gestore è un manager con prevalenti competenze organizzative e imprenditoriali. Entrambi appartengono alla categoria del philosophic practimer (Tribe, 2002) caratterizzato da competenze organizzative su basi intellettuali (umanistiche), da competenze informatico-comunicative con predisposizione al cosmopolitismo.
Questa figura assomma in sé:
• l’approccio scientifico al turismo, acquisito attraverso gli apprendimenti universitari forniti da studiosi, da ricercatori professionali e istituzionali.
• il sapere acquisito attraverso la trasmissione di conoscenze e di competenze ottenute da professionisti riflessivi che già operano nell’industria dell’ospitalità.
Il progettista e il gestore,pur ricoprendo ruoli diversi all’interno dei processi di sviluppo locali, sono simili nelle pratiche spaziali caratterizzate da capacità collaborativa e visione sistemica del territorio in cui producono gli outcomes dell’incoming: sono dei facilitatori e integratori dell’offerta turistica locale e operano negli organismi pubblici e privati preposti all’innovazione dell’offerta locale e alla sua promozione. Isostanza, il progettista e il gestore degli Stl può essere indifferentemente il direttore di una Apt, di un Consorzio, di un’Agenzia speciale operante nel marketing territoriale o nei servizi culturali appaltati in outsourcing dagli enti locali ma anche il manager a tempo di un assessorato comunale, provinciale o regionale o di un’asssociazione imprenditoriale, sia turistica che dei trasporti o dell’agricoltura. Egli è una figura trasversale che ascolta il territorio, interpreta i processi aggregativi, facilita l’inte-grazione delle risorse,ecc.
Proprio perché legato all’innovazione dei prodotti locali, il progettista e gestore degli Stl non è esclusivamente un operatore che vive e lavora nella comunità locale, ma anche un dirigente dei big players del turismo (catene alberghiere, tour operator, vettori aerei) interessati alla realizzazione congiunta, cioè insieme ai fornitori locali e agli amministratori pubblici degli enti locali, di protocolli innovativi da inserire nelle reti internazionali allo scopo di migliorare le loro performance competitive. Ipotizzare che l’attuale arretratezza fordista dei big players rispetto al ruolo del territorio e della comunità locale possa durare a lungo, è un atto di immotivata sfiducia sulla capacità reattiva di queste aziende nel sapersi riposizionare strategicamente rispetto alle tendenze in atto.
Si tratta di un professionista riflessivo che anima il territorio perché è abile nel facilitare il dialogo tra gruppi e organizzazioni svolgendo studi e ricerche economico-sociali ma anche sa stendere un master plan turistico fortemente collegato all’assetto del territorio oppure sa costruire un prodotto urbano di base finalizzato sia a valorizzare le identità locali sia a richiamare gli investimenti dei big players del turismo internazionale mostrando il volto amichevole della città ospitale. Si tratta di un ibrido tra il sociologo, l’economista, l’urbanista e l’antropologo: è un modello esemplare di professionista che rappresenta la comunità locale e agisce in qualità di delegato o di esperto di fiducia interpersonale e inter-organizzativa.
Data l’elevata discrezionalità di cui gode – come tutti i lavoratori della conoscenza – il “fiduciario delegato” cerca di soddisfare due aspettative fondamentali presenti tra gli stakeholders che agiscono
nel sistema turistico locale: competenza tecnica e integrità rispetto agli standard professionali , sia nella fase del progetto che nella fase della gestione, a cui possono corrispondere anche persone diverse. Perciò è un propagatore o intermediario di fiducia sistemica e non di fiducia sulla persona: la fiducia interpersonale è di supporto a quella inter-organizzativa. A tal fine, elabora o divulga le reti territoriali e comunicative che vuol gestire definendo dettagliati obiettivi da raggiungere step-by-step in un determinato tempo e ne misura gli output in termini interaziendali.
Un esempio di questa funzione di rappresentante della comunità è data dalle abilità nel saper gestire la sorveglianza reciproca dei produttori di servizi di diretto o indiretto supporto ai turisti. Egli sa agire in modo che ognuno di loro occupi una nicchia di mercato distinta e comunque orientata a soddisfare i molteplici gusti dei clienti, di una domanda multimotivata. Egli sa allentare l’attenzione tra produttori impegnati ad osservarsi reciprocamente e a riprodurre modelli omogenei di offerta per favorire lo start up di nuove imprese locali sintonizzati sulle esigenze della domanda attuale e potenziale allo scopo di differenziare l’offerta di beni e servizi. In tal modo, integra la dotazione fattoriale presente nella comunità locale.
Se il progettista/gestore di un Stl è un fiduciario delegato, il Stl non ha una dimensione geografica predefinita, ma è la conseguenza di uno studio sul territorio e degli accordi che il progettista ha saputo suscitare dal basso. Gli accordi volontari che generano regole condivise determinano, come nei distretti industriali del made in Italy, la scala geografica, che sarà a geometria variabile, non coincidente automaticamente con la scala del diritto amministrativo.
Sono gli scambi reali, regolari e costanti, che circolano tra gli stakeholders dal lato della domanda e dall’offerta a far emergere un Stl. Un Stl è una costruzione sociale, cioè negoziata e libera, conseguente alle ‘mappe mentali’ degli operatori turistici dell’incoming e dei turisti stessi, è la conseguenza di un’economia dei servizi che mantiene le ‘promesse’, di ospitalità offrendo una rete territoriale per le aziende che operano nell’incoming. Il fiduciario delegato ne è, per usare un termine platonico, il demiurgo, mentre la comunità locale con il suo capitale sociale fornisce le risorse collaborative da orientare, indirizzare, organizzare.
di Nicolò Costa