Beni Culturali: Risorsa e Sviluppo Sociale

Beni culturali e musei

Da alcuni anni la cultura non è più dominio di una élite intellettuale, ma caratterizza un pubblico sempre più vasto. La crescita del livello culturale della società è favorita da un lato, dall’aumento del reddito medio pro-capite e, dall’altro, dall’azione dei mass-media, ma soprattutto è un fenomeno emerso in tutte le nazioni con economia evoluta, dall’Europa agli Stati Uniti senza dimenticare il mondo asiatico, e la risonanza di questo fenomeno si ripercuote su diversi settori della nostra economia, determinando sempre più l’esigenza di trasformarne il sistema.

Anche l’ambito turistico risente di questo mutamento sociale: da una domanda turistica prevalentemente rivolta a soddisfare bisogni di tipo ludico e ricreativo si è passati ad una richiesta dove predominante è l’aspettativa culturale, quel fenomeno che viene definito “intellettualizzazione della vacanza”.

Seguendo questa tendenza dei flussi turistici l’Italia si potrebbe trasformare, ancora di più, in una meta prediletta dal turismo internazionale, presentando oltre ad un ambiente naturale di straordinaria bellezza, anche un patrimonio artistico-culturale di grande prestigio. Del resto, sin dal ‘700, il “Viaggio in Italia” ha sempre rappresentato per diversi popoli una fondamentale esperienza formativa.

Ma, nonostante l’eco della tradizione artistica italiana nel mondo, non sempre le istituzioni hanno mostrato particolare sensibilità in tal senso, trascurando sovente di sfruttare a fondo i propri “giacimenti culturali”. Nei decenni passati l’azione di tutela e di valorizzazione dei beni culturali è stata rivolta prevalentemente ad alcune aree del territorio, quelle inserite negli itinerari turistici tradizionali, dimenticandone delle altre che, per  quanto situate in zone emarginate del paese, non erano da considerarsi meno importanti.

Mi riferisco a tutti quei monumenti e siti archeologici, per la maggior parte localizzati al sud o nelle zone più interne che, per mancanza di interventi di restauro o di manutenzione, e per i limiti di un sistema centralizzato e troppo burocratico, sono tutt’ora in stato d’abbandono; senza valutare i possibili riscontri economici e le nuove occasioni di lavoro e di crescita civile che sarebbero potute emergere da un loro possibile recupero.

A favorire questa inefficace politica di valorizzazione e promozione del patrimonio storico-artistico hanno contribuito diversi fattori concomitanti. Al primo posto va citata la legge n. 1089, del 1’39, sulla “tutela delle cose di interesse artistico o storico” emanata dal Ministro Bottai, in un particolare contesto storico (quando, l’improvvisa crescita del commercio internazionale delle opere d’arte, richiedeva uno strumento di limitazione all’esportazione) dove prioritaria era l’esigenza di presentare i beni culturali, soprattutto quelli affini alla tradizione classica, dato il gusto dominante dell’epoca. La  legge, inoltre, istituiva un potere centralizzato che, a lungo andare, ha fortemente limitato l’azione di tutela degli enti locali su tutto il territorio.

La mancanza di una coscienza comune nella società civile – specialmente nel meridione – del valore del territorio, come testimonianza  del proprio passato, è l’altro importante fattore concomitante, Ad allontanare i cittadini dalla tradizione , sentita come estranea hanno contribuito a sia gli avvenimenti storici passati, con le centinaia invasioni straniere, sia la classe politica locale spesso collusa con le aree della malavita.

Tuttavia, negli ultimi anni, malgrado questo disinteresse nei confronti di questa fondamentale risorsa del paese, è emersa, anche al sud, una volontà politica orientata a rinnovare tutto il sistema di tutela.

La nuova tendenza a gestire i musei come un’azienda, seguendo l’esempio dei modelli stranieri, non è che un primo passo verso il cambiamento.

Un’inversione di rotta della classe politica favorita, da una parte, dai possibili riscontri, sia in termini economici sia di prestigio, che il settore culturale ora è in grado di fornire, per via della forte crescita culturale della società verificatasi negli ultimi decenni;  dall’altra , dalla nuova nozione di “bene culturale” (che sostituisce la vecchia categoria di “cose di interesse artistico o storico” della legge del ’39), emersa in sede internazionale, ormai universalmente accettata.

Da una visione  “estetizzante” dell’opera d’arte – che prediligeva, fino a pochi anni fa, i canoni classici, trascurando alcune epoche storiche – si è arrivati ad una nuova idea del “bene culturale” , la quale mette in risalto piuttosto il valore di “memoria” e di “testimonianza di civiltà” dell’oggetto artistico, e che quindi ne giustifica la sua conservazione, anche come mezzo per assicurare a un paese la sua continuità tra presente e passato.

Inoltre la tendenza diffusa nei secoli scorsi a “decontestualizzare” l’opera d’arte (ossia conservare il “bene culturale” completamente slegato dal suo territorio) si preferisce ora quella che convalidata da studi recenti sull’argomento, considera l’oggetto artistico imprescindibile dalla sua collocazione di origine, quando questo è ancora possibile ai fini di una sua conservazione, favorendo in tal modo l’istituzione dei musei locali, con i vantaggi che questo comporta.

Questa nuova concezione della tutela dell’opera d’arte, che consiste appunto  nel porre l’attenzione sul valore di testimonianza, che il bene assume per la collettività, favorisce di conseguenza una rivalutazione indiscriminata di tante aree emarginate del nostro paese, operando nuove possibilità di evoluzione: un impulso allo sviluppo del turismo, ma anche alla crescita civile del paese, grazie alla possibilità di utilizzare edifici di importanza storica per iniziative culturali, risolvendo così anche il problema della manutenzione dei monumenti.

La riscoperta della storia, quindi, quale principale strumento per diffondere nella collettività l’importanza delle proprie origini e rivalutare così l’identità della nazione; un modo efficace questo per avvicinare i cittadini al territorio e contenere il degrado di molti siti culturali, l’abusivismo edilizio e la distruzione dell’ambiente naturale.

di Stefania Valente

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