Come si modifica la consistenza e la composizione del patrimonio ricettivo
A partire dal 1968, anno in cui si è registrata per la prima volta, una flessione degli arrivi e delle presenze alberghiere italiane sia per la componente estera che per quella domestica, gli imprenditori turistici hanno cominciato a prendere coscienza della “debolezza strutturale” dell’industria italiana dell’ospitalità, poiché – al di là degli andamenti congiunturali – l’abbassamento del valore della spesa turistica giornaliera e la persistente dipendenza dell’offerta italiana dalla domanda tedesca, dimostravano uno scarso adeguamento dell’offerta rispetto all’evoluzione dei consumi turistici internazionali de una crescente difficoltà nell’intercettare le nuove motivazioni della mobilità turistica.
Certo, l’andamento positivo degli ultimi due anni conseguente al deprezzamento della nostra moneta, potrà generare condizioni favorevoli per una ripresa non soltanto congiunturale, ma la maggiore competitività internazionale dell’offerta turistica italiana non ha avuto ricadute uniformemente positive per tutti, mostrando in maniera ancora più evidente la diversa capacità delle aziende alberghiere di saper cogliere tutte le opportunità che si sono presentate.
Si è determinata ,in sostanza, una situazione di accentuata competizione dal lato dell’offerta, proprio perché la ripresa congiunturale si è presentata con caratteristiche di forte selettività, com’è normale date le minori disponibilità economiche da parte dei turisti. Appare chiaro, quindi, che oltre alla capacità di adottare politiche di marketing più aggressive, i fattori principali per il successo imprenditoriale sono da individuare soprattutto nella dimensione dell’esercizio, nella qualità del servizio, nella flessibilità dell’offerta.
Come ha rilevato il CENSIS in uno studio pubblicato nel 1984:
- senza una certa dimensione, nessuna azienda alberghiera potrà fornire una sufficiente varietà di servizi (si pensi a quanto costa la gestione di una piscina pro-cliente);
- dato che il turista non rinuncia alle cose cui è abituato quando non è in vacanza, nessuna struttura ricettiva può mancare di offrire dotazioni e confort par almeno allo standard medio delle abitazioni degli italiani, dei tedeschi, dei nordamericani;
- il consumo turistico è fortemente segmentato: se un tempo, a un dato profilo sociale corrispondeva una determinata scelta di tipologia ricettiva, oggi tutto è provvisorio; non esiste più una sola motivazione per la vacanza, ma si tende a compenetrare molteplici attività e soddisfazioni in periodi diversi o all’interno di uno stesso soggiorno. In questo contesto di variabilità, l’offerta deve saper rispondere con grande flessibilità di
Tutto ciò non è sfuggito agli imprenditori alberghieri che hanno certamente intrapreso un’opera di riqualificazione e di adeguamento delle loro aziende, avviando una radicale trasformazione del patrimonio ricettivo italiano. Questa ha finora interessato solo una parte delle imprese, ma è certamente destinata a diffondersi e a svilupparsi nei prossimi anni, anche perché gli stessi albergatori che hanno già realizzato i primi lavori di riqualificazione, stanno affrontando nuovi interventi per migliorare ulteriormente la loro offerta.
Le dinamiche interne al settore
Da un’analisi condotta l’anno scorso dalla società Data Idea, risulta che nel quinquennio 1989 – 1993 il patrimonio ricettivo alberghiero italiano ha subito una costante e profonda trasformazione che non si è limitata solo ad una riduzione globale degli esercizi con un aumento della dimensione media , come conseguenza dell’uscita dal mercato di un numero rilevante di piccole aziende – spesso stagionali – non più in grado di reggere una concorrenza divenuta particolarmente agguerrita.
Di questo fenomeno hanno parlato abbondantemente le statistiche ufficiali e i diversi “Rapporti”. Ma, ragionando proprio sulla capacità ricettiva della struttura alberghiera italiana, Data Idea ha osservato che la dimensione media degli alberghi italianai – nelle diverse fasce di categorie – varia nel tempo con un andamento inverso rispetto al trend generale.
Il divario tra la crescita della capacità ricettiva media per esercizio calcolata sull’intero universo e la riduzione della dimensione media degli alberghi nelle diverse categorie va interpretato come effetto dei molti cambi di classifica che connotano l’evoluzione del patrimonio alberghiero italiano.
I passaggi di categoria quindi, da un precedente livello ad uno generalmente superiore, sono le spinte innovative e il grado di evoluzione dell’intero settore. Osservando inoltre i dati sulle dinamiche di cambiamento per le diverse classifiche alberghiere, si può notare come – dal 1989 al 1993 –la crescita più rilevante si è verificata proprio nella fascia degli alberghi con più di 3 stelle, che è aumentata complessivamente nel numero degli esercizi (+ 38%) e nel numero delle camere (+31,7%); nello stesso periodo gli alberghi a 3 stelle sono aumentati del 22,7% , mentre gli esercizi di più bassa classificazione (1 e 2 stelle) sono diminuiti del 16,2%
In valori assoluti, quindi, c’è stato nel quinquennio un aumento di 1.795 di alberghi a 3 stelle e di 618 alberghi a 4 stelle, contemporaneamente alla scomparsa di 3.915 alberghi a 1 stella e di 329 alberghi a 2 stelle . (Va notato che, per gli alberghi a 5 stelle e lusso, il dato del ’93 che fa registrare un sensibile calo di esercizi, è certamente influenzato da motivi di trattamento fiscale – superati nel 1994 – che potrebbero aver spinto alcuni imprenditori a far declassare l’esercizio.
Dalla analisi di Data Idea risulta che le variazioni che si sono registrate dall’89 al 1993 nella composizione del patrimonio alberghiero italiano derivano quindi in buona parte dalla riclassificazione delle aziende esistenti che, in seguito ad interventi di manutenzione straordinaria, di ristrutturazione e talvolta da ampliamento, hanno conseguito una qualifica più alta. L’ingresso nel mercato dell’offerta di alberghi realizzati ex novo, infatti, che nelle statistiche vanno a prendere il posto degli esercizi che hanno chiuso l’attività, non potrebbero spiegare – da solo – l’entità del fenomeno né la sua accelerata dinamica.
Anche se non vi sono dati precisi sull’entità del processo di sostituzione determinato dall’ingresso di nuovi alberghi e dall’uscita di esercizi marginali, si è potuto constatare che, alla forte dinamica con cui – nel corso degli anni – è cambiato il peso delle categorie più alte rispetto all’insieme degli esercizi, non abbia corrisposto un’altrettanta forte variazione della dimensione media degli alberghi : ciò fa ritenere che l’incidenza delle nuove realizzazioni sia molto meno rilevante di quanto non abbia inciso l’attività di riqualificazione del patrimonio esistente. La crescita della dimensione media degli alberghi italiani,infatti, che pure è stata sempre enfatizzata, non appare in realtà così vivace se si è passati da un valore medio di 25,5 camere per esercizio del 1989, al valore di 27 camere nel 1993.
Quindi tenendo conto che gli alberghi costruiti ex-novo si dimensionano su livelli non inferiori alle 26 camere e che raggiungono mediamente le 120 camere, l’incidenza delle nuove realizzazioni non può essere stata particolarmente rilevante sul processo di ammodernamento del settore, su cui ha certamente pesato di più la riqualificazione degli esercizi.
Ma quale è stata l’incidenza delle due dinamiche? Attraverso una comparazione dei diversi valori che si sono registrati – nell’arco di tempo considerato – tra il numero complessivo delle camere ed il numero degli esercizi per ogni fascia di categoria alberghiera, è stato possibile calcolare con un modello matematico il peso che hanno avuto, rispettivamente, i passaggi di livello dalle classe più basse a quelle più alte ed il processo di sostituzione determinato dall’ingresso di nuovi alberghi e dalla chiusura di altri esercizi.
Nell’ambito delle 3 stelle (fascia ove si è registrato, nel quinquennio, il maggior incremento in valori assoluti), si è calcolato che la differenza tra l’ingresso di alberghi nuovi e la chiusura di esercizi non abbia inciso più del 16,5% nella determinazione del volume complessivo dell’aumento registrato, a fronte dell’83,5% derivante dagli ingressi delle altre categorie più basse.
Per quanto riguarda la fascia composta dagli alberghi di 4 e 5 stelle si sono avuti – rispettivamente – un valore del 30,7% per il processo di sostituzione ed il 69,3% per gli alberghi riqualificati che hanno cambiato classificazione, mentre nella classe 2 stelle, gli ingressi provenienti dalla categoria inferiore sono stati pari al 90,5% laddove il processo di sostituzione ha inciso solo per il 9,5%
Nella classe di alberghi a 1 stella il processo di sostituzione fa registrare un saldo fortemente negativo, com’è comprensibile per il fatto che in questa categoria si concentri la prevalenza degli esercizi marginali che sono usciti dal mercato.
Certo, si tratta di valori approssimativi poiché elaborati in base ad un modello teorico: ciò che qui interessa, è mostrare come la dinamica dei mutamenti registrati nella composizione della struttura alberghiera sia dovuta in massima parte agli interventi operati sul patrimonio esistente e fornire anche dati comparativi sulla entità del fenomeno per le diverse classi di esercizio.
Da questo punto di vista si può affermare che l’aggiunta di una stella – e in qualche caso di due – ha rappresentato una delle strade principali scelte dagli imprenditori alberghieri per proporre una nuova immagine della propria azienda, con cui far fronte alla difficoltà della crisi di questi anni. E’ inutile aggiungere che tale strada è stata praticata attraverso l’introduzione di modifiche e di innovazioni sia nella struttura edilizia che negli arredi, sia nelle dotazioni che nella gestione.
I conclusione:
- scarso movimento “demografico”, perché sono pochi gli alberghi di nuova costruzione e molte le imprese alberghiere minori cessate:
- molti passaggi di categoria verso l’alto, sia per reale ed effettivo ammodernamento e ristrutturazione, sia in seguito a lievi ritocchi finalizzati al miglioramento dell’immagine:
- notevole spazi per nuovi interventi strutturali e per radicali ristrutturazioni.
Vi è dunque ancora un’area molto vasta per l’innovazione e la riqualificazione, – nel panorama dell’hotellerie italiana – che va al di là di quanto richiesto dagli adeguamenti alle nuove norme di cui parliamo in altri articoli pubblicati su questo stesso fascicolo di “AT”. Appare normale, infatti, che quand’anche la motivazione degli interventi principali è stata ( e sarà) quella di conformarsi a disposizioni di legge, le opere effettivamente realizzate o da realizzare interessano una molteplicità di aspetti e talvolta consigliano di effettuare la ristrutturazione dell’immobile: l’imprenditore alberghiero infatti coglie l’occasione determinata dalla necessità di effettuare interventi tecnici o strutturali per proporsi il passaggio di categoria dell’esercizio che, oltre a corrispondere ad una connotazione di status, viene considerato, una condizione necessaria per far fronte alla sempre più agguerrita concorrenza, così come è stato dimostrato da un’indagine su campo realizzata nel 1993 dall’Osservatorio Unioncamere ISCOM E.R. , sull’offerta turistica della costa emiliano-romagnola.
Nei prossimi anni, inoltre, altri elementi forse più importanti dell’attribuzione delle stelle potrebbero entrare in gioco, quando ci si renderà conto dell’esigenza di specializzare e articolare l’offerta ricettiva non solo rispetto al livello della clientela, ma anche rispetto alla segmentazione della domanda per motivazione e modalità di consumo.
I residences
Da questo punto di vista, una riflessione a parte meritano le residenze turistico-alberghiere, una tipologia ricettiva ancora poco diffusa nel nostro paese, che tuttavia si va sempre più affermando non solo nelle località di villeggiatura e nelle zone residenziali delle grandi città: l’innovazione, infatti, non è solo innalzamento del numero di stelle, ma anche “riconversione di prodotto”.
Talvolta i residences costituiscono una formula attraverso la quale diversi imprenditori hanno inteso rilanciare il loro esercizio e in questo caso le innovazioni non hanno riguardato specifiche funzioni aziendali, ma si sono manifestate nel ripensamento del modello con cui offrire ospitalità. Né è scaturita una formula di ricettività caratterizzata da una offerta di soggiorno in appartamento abbinata all’offerta di servizi alberghieri, In sostanza, questa formula cerca di unire in una sola struttura prestazioni che, nella stragrande maggioranza dei casi, fanno capo a due soggetti aziendali distinti. A differenza di quanto si riscontra in altri paesi europei, nel mercato italiano prevale la fornitura di classici servizi alberghieri separati dalla possibilità di soggiorno in appartamento, mentre le residenze turistico-alberghiere propongono la sintesi di queste due offerte di servizi differenziati.
Nelle rilevazioni statistiche sulla consistenza del patrimonio alberghiero i residencessono generalmente aggregati agli alberghi a 3 stelle: la loro diffusione ed evoluzione non è stata oggetto – fino ad oggi – di studi specifici e ciò che ha determinato certamente una grave carenza informativa, soprattutto in presenza di un fenomeno che non deriva solo da scelte di investimento per nuove realizzazioni ricettive, ma anche delle trasformazioni di esercizi tradizionali.
Il numero delle residenze turistico-alberghiere è comunque aumentato in cinque anni del 38,7%, passando dalle 830 unità dell’89, a 1151 esercizi alla fine del 1993.
E’ stato tuttavia nel 1990 che si è avuto il boom di questa soluzione ricettiva (+20,7% rispetto all’anno precedente) proprio perché molti imprenditori hanno pensato di far fronte al calo delle presenze che si era registrato nell’89 sperimentando questa formula innovativa. Ma nel 1990 si sono presentate sul mercato dell’offerta molti residences con una struttura sottodimensionata ed inadeguata, ancora troppo simile a quella dell’albergo preesistente di cui avrebbero voluto essere l’evoluzione, come si può interpretare dalla dinamica del fenomeno e soprattutto dalle variazioni della dimensione media che si è registrata nel corso degli anni.
Dal 1991, comunque, la dimensione media delle residenze turistico-alberghiere si assesta sulle 30 camere per esercizio, ma viene potenziata via via la dotazione dei posti letto soprattutto attraverso interventi sull’arredamento, senza effettuare lavori sulla struttura immobiliare, come si può desumere dal rapporto camere/bagni che resta sostanzialmente invariata . In ogni caso, il numero di appartamenti (che possono essere monolocali, bilocali o anche trilocali) di cui queste strutture sono composte,non è molto elevato quando si tratta di una ristrutturazione di esercizi preesistenti, mentre gli hotel-residences dalla capacità ricettiva più consistente sono generalmente realizzati ex.novo, con una forte razionalizzazione degli spazi.
Un residence può anche essere abbinato ad un albergo tradizionale (ad esempio quando è condotto dalla medesima proprietà) e quindi può venire commercializzato nel programma stesso di vendita dell’albergo: ciò lo rende ancora più riconoscibile come formula di diversificazione del prodotto alberghiero classico, perché si permette al cliente di scegliere – nell’ambito del medesimo impianto – la soluzione del soggiorno tradizionale o quella della sistemazione in appartamento, offrendogli normalmente anche la possibilità di usufruire dei servizi alberghieri e di ristorazione presenti nel contiguo hotel.
La necessità di prevedere alcuni optional che l’albergo tradizionale può trascurare (quali ad esempio il parcheggio custodito o le attrezzature per il tempo libero) , tende a limitare lo sviluppo dimensionale di queste strutture ricettive, ma non la crescita del loro numero nel caso di riconversioni di alberghi preesistenti; nello stesso tempo i recidences rappresentano un campo molto ampio di innovazione nel settore della ricettività ed è pensabile che in futuro molti imprenditori – soprattutto nella fascia 2/3 stelle – saranno tentati da questa tipologia di offerta.
la nuova centralità dell’albergo e la dotazione dei servizi
Se si confrontano i cataloghi più recenti dei T.O. con quelli degli anni passati, si nota una generale riduzione delle destinazioni proposte in ogni catalogo ed un aumento delle offerte di soggiorno per ciascuna destinazione. Ciò vale anche nel caso di operatori che hanno allargato il ventaglio delle località, perché tendono a raggrupparle per aree geografiche e presentarle in distinte pubblicazioni: più alberghi, quindi, per ogni destinazione, con una varietà di scelta che non si limita solo alle diverse categorie, ma quasi sempre pone anche in alternativa alberghi dello stesso numero di stelle.
Se dunque nel turismo organizzato il pacchetto di vacanze “tutto compreso” viene sostituito da proposte variamente componibili (o scomponibili), ciò è avvenuto perché siamo in presenza di profondi cambiamenti nel comportamento dei turisti, cambiamenti che sono stati esaltati proprio dalla recessione economica nei paesi industrializzati che rappresentano i principali bacini della domanda. Il consumatore è oggi certamente più selettivo ed attento, è disposto anche a spendere qualcosa in più, ma solo in presenza di un’offerta più articolata, specializzata e confortevole che corrisponda alle sue specifiche esigenze.
La domanda turistica è diventata “arbitro” del mercato: gli effetti di tale arbitraggio, che si sono già visti chiaramente nel periodo più acuto della crisi, con alberghi pieni ed altri vuoti l’uno accanto all’altro, si vedranno ancora di più nella fase di ripresa che penalizza le imprese meno innovative.
Nello stesso tempo, anche un altro profondo cambiamento si è velificato nel comportamento della domanda, circa il “peso” della località nella motivazione del viaggio: la destinazione turistica tende a perdere di valore rispetto ad altri fattori che influenzano la scelta, poiché nessuna località sembra essere di per sé insostituibile con un’altra.
Ciò è avvenuto non solo come conseguenza della scomposizione delle vacanze in periodi e frammenti diversi o come conseguenza della sempre maggiore varietà dell’offerta da parte dei nuovi paesi turistici – aspetti sui quali maggiormente si è soffermata l’attenzione degli analisti del mercato – ma soprattutto perché l’aumento del “tasso di fungibilità delle destinazioni”, per usare il linguaggio del CENSIS, deriva dal fatto che la pratica turistica è diventata più familiare in ragione dell’accresciuta mobilità (non solo per motivi di vacanza), mentre tutte le località sono diventate più note per la crescita esponenziale dell’editoria turistica e dell’informazione audiovisiva: per il viaggiatore del terzo millennio, il “villaggio globale” è diventato in un certo senso più piccolo ed ogni suo angolo è in buona parte già conosciuto, virtualmente vissuto.
La rendita di posizione geografica tende quindi a scomparire in presenza di una progressiva interscambiabilità di molte località turistiche: il “dove andare”vienespiazzato dal “dove stare”e l’importanza del luogo declina rispetto al “valore d’uso” determinato dalle sue strutture di accoglienza. In questo contesto la soluzione ricettiva assume una nuova centralità – sconosciuta in passato – e l’albergo deve saper rispondere a molti requisiti che prima non erano esplicitamente richiesti dalla clientela.
Due elementi, allora, acquistano crescente importanza: da una parte l’articolazione e la completezza dei servizi offerti e, dall’altra parte, la specializzazione e la qualità che deve essere mediamente più elevata rispetto alla concorrenza di segmento.
Per quanto riguarda il primo aspetto, appare indispensabile per l’imprenditore offrire al cliente una maggiore possibilità d’uso della struttura alberghiera. Il turista che scelga una località chiassosa o un Hotel-club provvisto di animazione potrebbe desiderare anche momenti di relax e di silenzio da vivere all’interno della struttura ricettiva; negli alberghi divilleggiatura, ma anche negli alberghi di città, il cliente apprezza l’offerta di diverse soluzioni ristorative – dal self services al ristorante tipico – o la presenza di un bar appartato con sottofondo musicale, sperimenta con curiosità l’angolo fitness, consuma servizi non tradizionali come la sauna, si lascia tentare da una partita al biliardo se inaspettatamente lo trova in albergo. Non sono che piccoli esempi ma, in un regime di forte concorrenza, il successo imprenditoriale è più probabile per un’azienda alberghiera che abbia saputo moltiplicare gli optional e dove ogni metro quadro (e in ogni elemento dell’arredo) sia considerato un centro di business.
Alcuni importanti servizi di ospitalità all’interno degli alberghi italiani sono scarsamente diffusi. Si tratta di valori che nell’ultimo anno si sono certamente elevati sulla spinta di un processo sempre più vivace di adeguamento dell’hotellerie italiana agli standard internazionali. Anche se le fonti ufficiali, infatti, continuano a basare l’indice di qualità degli alberghi sul rapporto camere/alberghi che da tempo ha perso ogni significato , appare chiaro – agli esercenti come agli osservatori – che l’articolata dotazione di servizi moderno rappresenta uno dei plus essenziali della struttura alberghiera.
Ma, per quanto riguarda la “qualità”, occorre aggiungere che il problema non è tanto quello di standards elevati, quanto quello di saper ottenere la soddisfazione del cliente attraverso la capacità di offrire qualcosa di più degli altri (o di diverso), in modo da sorprendere l’ospite. Il successo di alcune catene a 1 e 2 stelle recentemente sviluppatesi in Europa con una dinamica particolarmente vivace, deriva proprio dalla originalità delle soluzioni proposte e dal continuo rinnovamento delle stesse, attraverso cui esse riescono a fidelizzare anche la clientela più esigente, normalmente abituata ai comfort delle categorie superiori.
Gli albergatori devono comprendere che, al di là degli aspetti gestionali e di marca, il successo imprenditoriale non è dato tanto dal valore immobiliare della struttura ricettiva, quanto dal suo “valore d’uso” e dal suo ottimale sfruttamento che deriva soprattutto dalla capacità di innovare, articolare e specializzare le sue funzioni.
di Giuliano Faggiani
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