Progetto APE: un progetto interregionale per l’Appennino

L’idea del progetto APE – Appennino Parco d’Europa nasce con un forum, promosso da Lega Ambiente, che si tenne a L’Aquila il primo e il due dicembre 1995, cui si sono successivamente associati la Regione Abruzzo e il Ministero dell’Ambiente: APE si caratterizza per essere un progetto sistemico nei confronti della politica di valorizzazione del territorio, a partire dal sistema delle aree protette.
D’altra parte, che il discorso sulla politica delle aree protette abbia ormai superato la fase del dibattito sull’applicazione di una legge, per diventare soprattutto una linea direttrice dello sviluppo sostenibile, è un fatto già ampiamente confermato dalla presenza del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio alla prima Conferenza Nazionale sulle aree protette, che si è svolta a Roma nel settembre del 1997.

Dalle varie relazioni della prima Conferenza Nazionale sulle aree protette si evincono, tra l’altro, alcuni punti fermi della discussione, ed in particolare che, quando si parla di uno sviluppo sostenibile a partire dal sistema delle aree protette, si fa riferimento ad uno sviluppo che riguarda il 40% del centro nord più di tutto il meridione, comprese le due grandi isole e il sistema delle isole minori. Quindi, in considerazione del binomio che lega la conservazione delle risorse alla loro valorizzazione, si deve anche parlare di attuazione di progetti, che possono essere anche progetti micro, come quelli che vengono realizzati all’interno dei parchi nazionali e regionali o delle riserve statali. Ciò che è tuttavia importante, è che occorre trovare, anche in termini culturali, una direttrice che leghi queste singole aree protette – senza ovviamente escludere i parchi urbani delle grandi città – favorendo il salto di qualità verso una logica di sistema integrato: in questo caso i micro progetti servono ad impedire che le micro iniziative adottate dai singoli parchi regionali o nazionali restino confinate alla marginalità.

Il programma APE – Appennino Parco d’Europa – si colloca perfettamente in questa cornice: l’obiettivo è infatti quello di rilanciare, in una logica di sistema, il rapporto Stato-Regioni, nel tentativo di rimediare alle carenze imputabili sia alle Regioni che allo stesso Ministero dell’Ambiente. Ed è appunto in questa logica di sistema che si pone il progetto che riguarda l’Appennino, dalla fascia ligure fino all’Aspromonte e, quindi, fino alla Calabria. Seguendo questa stessa logica, occorrerebbe poi affrontare anche il discorso delle isole, con tutte le specificità che ciò comporta, nonché quello relativo al sistema alpino, sul quale esiste già una Convenzione che il Parlamento sta per ratificare.
Ovviamente APE interessa il settore del turismo, che è il settore portante dello sviluppo sostenibile, anche per le ricadute occupazionali che esso comporta: una delle variabili più importanti dello sviluppo sostenibile, infatti, è che in queste aree marginali per lo sviluppo si basa su interventi che, nel linguaggio economico, vengono definiti come labour intensive, cioè ad alta intensità di lavoro. Tanto per fare un esempio, ogni intervento effettuato nel sistema delle aree protette costa, in media, tra gli ottanta ed i cento milioni per addetto, per un lavoro verde stabile e duraturo, mentre nel caso dell’intervento realizzato a Melfi con l’obiettivo di creare uno dei più poli industriali del Mezzogiorno, il costo si aggira intorno al miliardo per addetto.

Tornando al sistema degli ambienti fragili, occorre partire dalla constatazione che il turismo svolge ancora oggi un ruolo di nicchia,nell’ambito di tutto il sistema nazionale delle aeree protette. In effetti, a parte l’eccezionale esperienza di due grandi parchi storici – il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco Nazionale del Gran Paradiso, in ciascuno dei quali la media dei visitatori sfiora i due milioni di presenza l’anno – gli altri parchi sono tali ancora solo sulla carta: la loro pianta organica, nell’attesa di bandire i vari concorsi, è costituita da personale preso in prestito dalle Comunità montane o dai Comuni.

E i problemi, anche in termini di supporto alla progettazione e alla vigilanza, aumentano via via che si scende di latitudine, passando dalla Lombardia alla Campania, fino a raggiungere la Calabria perché, mentre molti parchi del centro nord sono già avviati, i parchi del Sud vivono ancora una situazione di debolezza intrinseca, anche se,nel sistema nazionale delle aeree protette, il Mezzogiorno è quello che esercita il maggior peso, sia per numero di parchi che per estensione territoriale.
Sotto questo profilo, inoltre, occorre anche considerare il ruolo esercitato dalla forte antropizzazione, tipicamente italiana, che insiste all’interno dei nostri parchi. Ebbene, pur potendosi rilevare un punto di forza in termini di valorizzazione del territorio, questa stessa caratteristica continua, ancora oggi, ad essere considerata soprattutto per le sue valenze negative. In effetti, se si pensa che solo il parco del Cilento si contano circa 87 Comuni, ci si rende conto delle difficoltà che si incontrano quando si tenti di attuare, in aree come queste,gli interventi previsti dalla Legge Quadro sulle aree protette, quali il piano del parco e il piano di sviluppo socio-economico.

In questo panorama istituzionale in cui le amministrazioni locali spesso non sono ancora attrezzate per affrontare le nuove sfide, APE vuole appunto porsi come un progetto quadro di sviluppo sostenibile all’interno del quale i soggetti pubblici, il Ministero dell’Ambiente, le Regioni, gli Enti Parco, gli enti locali e i soggetti privati, associazione ambientalistiche e agricole, il sistema delle cooperazioni e delle piccole imprese possono trovare un momento di raccordo. Del resto, è addirittura assurdo pensare che le Regioni siano oggi in grado di raccordare, da sole, l’Ente Parco con i residenti, e le disposizioni contenute nella Legge Quadro rischiano persino di accentuare i problemi dovuti a questa carente capacità di raccordo: secondo la legge, infatti, il piano del parco è un piano sovraordinato e quindi, dopo aver raccolto le adesioni dei Comuni interessati ed essere stato adottato dalla Regione, tutti i piani regolatori dei comuni e quelli territoriali di coordinamento devono essere assunti all’interno dello stesso piano del parco.

Pertanto, da un punto di vista istituzionale,progettuale e del fare sistema all’interno delle aree protette, APE rappresenta certamente una grande scommessa dal momento che – nel panorama culturale, economico, finanziario e di pianificazione – rappresenta uno dei pochi progetti che investono territori così vasti. Qualcosa di simile, almeno per quanto attiene al sistema padano, sta tentando di fare l’Autorità del bacino del Po, ma, a parte questo, siamo ancora troppo legati ad una
logica settoriale parcellizzata, almeno nella pratica. Così, mentre a livello teorico si continua a parlare di piani di sviluppo integrato, di utilizzo del suolo pubblico e di usi civici, all’atto pratico è estremamente raro incontrare degli esempi concreti.

Per restare nell’ambito che mi è più familiare, l’agricoltura, sono noti i ritardi nel realizzare l’obiettivo di riconversione in chiave sostenibile del sistema agro-silvo-alimentare e di sviluppo rurale, mentre ancora oggi è questa la strada da intraprendere, intervenendo contemporaneamente sul sistema della filiera agro-silvo-alimentare e su quella turistica, perché soprattutto nel Mezzogiorno sono questi i due perni attorno ai quali costruire un nuovo modello di sviluppo a partire dalle aree con più risorse naturali. Il senso del progetto APE sta anche in questo, nella volontà di assumere questo approccio culturale sistemico all’interno delle politiche regionali e nazionali.

Progetto di sistema

Un accenno ad un interessante iniziativa che il Ministero dell’Ambiente sta cercando di portare avanti con le Ferrovie e le Regioni,può essere utile per chiarire meglio cosa si intende per progetto di sistema: assicurare in Italia una fruibilità delle aeree parco e, più in generale, del territorio, non vuol dire solo destagionalizzare il turismo. Accanto a queste misure di destagionalizzazione, che pure rappresentano uno dei punti chiave della politica turistica, occorre fare in modo che i turisti utilizzino la strada ferrata, andando contro corrente rispetto all’attuale tendenza che identifica l’obiettivo della razionalizzazione delle ferrovie con il cosiddetto “taglio dei rami secchi”. Garantire al visitatore un accesso compatibile con l’effettiva capacità di carico dell’area protetta, attraverso il suggestivo recupero di alcune tratte ferroviarie come quella toscana, quella abruzzese, o quella delle ferrovie calabro-lucane e della Sardegna, vuol dire ribaltare l’attuale sistema di valori e dare la possibilità ai turisti, di avere nuove occasioni di viaggio e di soggiorno, in modo più armonioso ed equilibrato.
Senza considerare che in Italia – diversamente dalla maggior parte dei parchi d’America o d’Europa – l’opera di valorizzazione non si ferma alle risorse naturali, ma coinvolge le ricchezze storiche, artistiche e culturali che sono dappertutto presenti e diffuse. Garantire l’accesso ai centri storici di centinaia di piccoli comuni, come pure ai centri abitati dei parchi nazionali e regionali, vuol dire gettare le basi necessarie per far partire tutta una serie di iniziative volte a coniugare natura e cultura, arte e storia, ma anche a legare la fruizione dei prodotti tipici agroalimentari con l’ipotesi dei sentieri o con gli sport ecocompatibili come la canoa, il brid watching, raftimg e quant’altro. E’ tuttavia evidente che non basta parlare di “porte d’accesso” turistico, ma che a tal fine occorre anche realizzare un sistema di censimento dell’offerta turistica che attualmente non conosciamo. Con la sola eccezione dei parchi storici, che sono due, gli altri parchi nazionali non dispongono ancora di un censimento dell’offerta turistica e, quindi, dei dati necessari ad individuare gli investimenti attuabili nel breve e medio periodo.

A parte il caso del Trentino Alto Adige, per esempio, raramente i nostri parchi, sia nazionali che regionali, conoscono l’esperienza del bed & breakfast, così popolare all’estero. D’altra parte le case non mancano e, anche con incentivi finanziari piuttosto modesti, sarebbe possibile ristrutturarle, come già stanno facendo le imprese agrituristiche, per attivare un circuito B&B. Ma la prima cosa da fare resta quella di realizzare un censimento dell’offerta, centralizzando la raccolta e l’elaborazione dei dati per riproporli, anche via Internet,nell’ambito dei rapporti con le agenzie, con le scuole e con il sindacato pensionati. Perché, nell’ottica della destagionalizzazione, i segmenti obiettivo non possono che essere quelli che attualmente si muovono lungo le direttrici che si identificano con il trinomio natura, cultura e gastronomia, scegliendo le città d’arte, anche di quelle minori, che sono spesso all’interno delle aree protette.

Quanto ai prodotti tipici locali, occorre impegnarsi per dare un marchio di qualità anche ai prodotti agroalimentari. Sotto questo profilo, il Ministero dell’Ambiente sta portando avanti un progetto, il denominato PAN, con l’obiettivo di promuovere i Prodotti Alimentari Naturali dei parchi. Ma il milione di ettari di superficie agricola coltivata, che insiste all’interno dei parchi ed i circuiti già esistenti, deve poter fare massa critica per avviare, con la grande distribuzione organizzata, un rapporto che garantisca una conoscenza più capillare e diffusa dei prodotti tipici,dei prodotti dell’agricoltura biologica realizzati all’interno di queste aree protette. In tal modo, si riuscirebbe anche a garantire un futuro ad un’agricoltura i cui addetti presentano un’età media che si aggira ormai intorno ai 60 anni. In caso contrario, queste zone rischiano di perdere, nel giro di dieci anni, i loro unici custodi, ed è noto che all’abbandono della terra subentrano sempre quelle esternalità negative di cui, dai grandi eventi calamitosi ai microdissesti, l’Italia è purtroppo così ricca. E allora, piuttosto che sottrarre delle casse dello Stato qualcosa come duemila miliardi l’anno per rimediare ai danni provocati da frane e incendi, sarebbe forse meglio assicurare un futuro ai nostri agricoltori, evitando che i giovani abbandonino l’agricoltura per andare ad ingrossare quell’esercito di disoccupati che affolla le grandi megalopoli. Perché questo è il vero senso di una politica sostenibile vista non come fatto ideologico, ma come progetto sociale e culturale concreto.

Per tornare al discorso della fruibilità, l’idea di utilizzare il treno per l’accesso ai parchi, come già accade in Austria, in Svizzera, in Slovenia e in numerosi altri paesi, non vuol essere solo uno strumento per opporsi alla razionalizzazione della rete ferroviaria, quanto piuttosto un’occasione di sviluppo endogeno all’interno del sistema delle aree protette. In altri termini, ciò che qui interessa non è tanto o non è solo ripristinare la strada ferrata e realizzare carrozze attrezzate con i servizi multimediali o ludici, all’interno delle quali poter anche assaporare i prodotti agroalimentari dei nostri parchi, quanto piuttosto utilizzare i fondi pubblici e comunitari destinati alle infrastrutture, per ricreare intorno al binario un sistema di stazioni e di caselli che possono essere dato in concessione alle cooperative di giovani che si vanno via via formando. A parte il caso del Lazio, esistono in Abruzzo, come anche in Umbria e nelle Marche, cooperative di giovani guide escursionistiche che tuttavia attendono ancora, da 4 o 5 anni,di trovare un lavoro. Ciò accade proprio perché non si è ancora riusciti a dare una logica di sistema ai progetti attuati all’interno degli Enti Parchi.

In questa direzione il Ministero dell’Ambiente ha già sottoscritto un protocollo d’intesa con le quattro Centrali Cooperative e con le tre Confederazioni dell’Artigianato e delle Piccole Imprese e ne ha in corso uno con le organizzazioni agricole: in queste aree, infatti, lo sviluppo sostenibile,non ha nulla a che vedere con le grandi concentrazioni industriali. Al contrario, qui si tratta di creare, e molto spesso di ricreare, un sistema economico diffuso che il più delle volte si è perso e che è fatto di piccole imprese artigiane e di vecchi mestieri. E’ però evidente che, se si vogliono salvare tutti gli aspetti di questo sistema, occorre anche recuperare le case dei centri storici, le antiche masserie di campagna: rivitalizzare complessivamente, cioè, un ambiente che può rappresentare un nuovo panorama attrattivo per lo sguardo turistico.

Ma tutto ciò, da solo, non basta. Occorre anche intervenire su tutto il sistema dei servizi, che in queste zone è ormai saltato da anni. E il problema non riguarda solo i trasporti, ma anche gli uffici postali, gli ospedali, quant’altro possa assicurare una fruibilità corretta al turista e, in modo particolare, ai residenti, i quali hanno evidentemente diritto alle stesse opportunità di salute e di reddito degli abitanti nelle città.
APE vuole essere tutto questo. E le Regioni si stanno già muovendo in questa direzione, tanto è vero che le Marche, L’Abruzzo, l’Umbria, il Lazio e la Toscana hanno firmato una serie di protocolli d’intesa, ai quali ha successivamente aderito anche il Molise.
Tuttavia, quali che siano i problemi sul tappeto, APE resta il vero contenitore di questo approccio sistemico ad una politica dei parchi che deve correre su grandi direttrici: quella turistica,a sua volta legata ai temi della conservazione e dello sviluppo socio-economico, e quella della manutenzione ordinaria e, quando occorre, straordinaria del territorio. Solo seguendo queste direttrici, i parchi possono realmente trasformarsi in elementi propulsivi di quel sistema che si riconosce in APE, come nel sistema delle Alpi, delle grandi isole, delle isole minori e dello stesso bacino padano. Tuttavia, mentre i parchi nazionali beneficiano di consistenti flussi finanziari in conto capitale, i parchi regionali scontano un trattamento assai meno generoso. I tagli che sistematicamente penalizzano i bilanci regionali, riducono sensibilmente le possibilità di intervento, e a risentirne non sono, in questo caso, solo le aree del Mezzogiorno.

Muoversi come sistema all’interno di APE consente maggiori possibilità finanziarie anche ai parchi regionali e soprattutto di coordinare differenti azioni, dai progetti di iniziativa comunitaria, quali i leader 2, ai fondi strutturali, quelli del CIPE etc. E’ un’occasione da non perdere per entrare in Europa da protagonisti.

di Cesare Donnhasuser
Ministero dell’Ambiente

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