Libertà di esercizio del lavoro nella Unione Europea
La WTO appena conclusasi a Seattle, avrebbe dovuto celebrare e dare ulteriore impulso alla globalizzazione dei mercati che, se può essere certamente positiva per molti aspetti, qualora diventi selvaggia e totalitaria, può creare non pochi problemi all’economia dei paesi più deboli ed ai Paesi stessi travolgendone le più antiche strutture e facendo scomparire produzioni che sono espressione, oltre che dell’economia di un popolo, anche di antiche tradizioni agricole, culturali e mercantili.
Contro la potenza dell’economia, si è schierato a Seattle il popolo dei contestatori riuniti dalla rete di Internet ed animato, da un lato, da uno spirito protezionistico oltranzista, dall’altro dal timore che le nuove regole possano far perdere l’identità stessa delle varie nazioni.
La reazione è stata così violenta da indurre alla mediazione sia le forze economiche che le forze politiche, preoccupate di governare la globalizzazione, sulla necessità di non spingere il processo oltre un certo limite o, comunque, di graduarne l’iter.
Se questo è lo scenario americano, un’analoga tendenza riscontriamo in Europa ed in particolare in Italia, dove da tempo si è affermato il diritto, sancito dall’Unione Europea, alla libertà di esercizio del lavoro nei vari Paesi aderenti all’Unione. Le riferite libertà sono state recentemente estese anche ai cittadini dei Paesi extraeuropei con decreto legislativo 394 del 31 agosto 99.
Ciò significa che l’Italia si avvia verso l’integrazione globale del mondo del lavoro autonomo e subordinato, attraverso il riconoscimento dei titoli di studio e dei titoli di qualificazione professionale che consentono l’esercizio delle attività al cittadino straniero, con unico limite della condizione di reciprocità o di quello della nazione più favorita, a seconda dei casi.
Resta da vedere se tale apertura non induca gli stessi problemi della globalizzazione. Infatti, se è ovvio che, allargandosi l’offerta del mercato, dovrebbe aversi un vantaggio per l’utente finale che può scegliere, in un regime di concorrenza, il prodotto e il prezzo migliore, v’è il dubbio se tale principio, validissimo per la produzione industriale, possa applicarsi alle prestazioni di servizi ed al
lavoro autonomo. Vi sono infatti attività “pubbliche, nel senso che la natura dell’attività postula che sia tutelata la fede che l’utente professa nel momento della scelta del professionista che gli deve prestare una serie di servizi o un singolo servizio
E’ intuitivo che le professioni mediche, quelle forensi, quelle didattiche, abbiano un momento in più rispetto al prodotto industriale. Questo momento è dato dalla tutela che il sistema deve offrire al cittadino quando si accosta al professionista, circa la sua preparazione tecnica che dovrà essere quanto meno eguale allo standard rilevabile nel Paese ove l’attività viene esercitata.
Se in Italia, ove il professionista ha uno standard elevato di cultura generale e preparazione tecnica professionale, vengono ad inserirsi elementi di cultura e capacità inferiori, mentre si abbassa la qualità generale dei servizi, si turba anche la pubblica fede e si altera il sistema con gravi conseguenze per l’utente finale. Per questi motivi, se è libero il diritto di accesso alle varie attività, l’esercizio concreto delle stesse viene disciplinato da norme di autorizzazione mirate a controllare che il cittadino straniero , sia esso comunitario che extracomunitario, sia in possesso di un titolo di studio equivalente a quello italiano ed abbia una specifica formazione tecnico-professionale equivalente a quella del lavoratore o professionista italiano.
Tale controllo appare assolutamente necessario anche in un regime di assoluta apertura del mercato del lavoro e della dominante tendenza alla globalizzazione dello stesso.
Anche nel settore turistico ritroviamo professioni alle quali va applicato necessariamente il principio della tutela della “fede pubblica”.
Il maestro di sci, la guida alpina, la guida speleologica, l’istruttore nautico prende con sé un cittadino digiuno di attività sportiva e delle tecniche di quelle discipline, e gli trasmette il bagaglio di conoscenze necessario per affrontare le problematiche, anche estreme, di queste attività sportive.
Lo Stato quindi, ha il dovere di intervenire per verificare che il professionista abbia i necessari standard di conoscenza generale e particolare per l’esercizio della professione e ciò tanto più in quanto in Italia tali professioni risultano legislativamente regolamentate, per cui lo straniero, libero di accedere in teoria alla professione, deve ottenere specifica autorizzazione per l’esercizio della professione stessa, esibendo la documentazione sui titoli scolastici, con dichiarazione di equivalenza a quelli italiani, e sottoponendosi a prove tecnico-professionali che rendono evidente la padronanza della disciplina per la quale, tra l’altro, l’Italia ha una vera e propria scuola celebrata e seguita in tutto il mondo.
L’alternativa per la dimostrazione delle conoscenze tecnico-professionali offerta dallo strumento comunitario, consiste in un tirocinio, cosiddetto di adattamento. Tuttavia, considerata la particolare delicatezza delle riferite attività, è in corso la richiesta di deroga al principio di scelta, onde stabilire che valida dimostrazione può essere data unicamente attraverso l’esame pratico sul campo.
Per queste professioni si presenta un ulteriore problema di carattere burocratico, in quanto la relativa regolamentazione del 1994, attribuisce la competenza in materia al Dipartimento del Turismo, allora collocato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed erede del soppresso Ministero del turismo che seguiva anche la materia sportiva, mentre oggi risulta trasferita al Ministero dell’Industria.
Ma non è questo il solo mutamento rilevante ai fini dell’autorità competente a trattare le anzidette attività: infatti, nell’ambito della riforma della Pubblica Amministrazione, l’Ufficio sport del Dipartimento del Turismo è stato assorbito dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. In futuro, quindi, sarà questa Amministrazione a doversi occupare delle professioni che presentano un marcato risvolto tecnico-sportivo piuttosto che turistico, ma anche di questo problema si è avviata la soluzione .
Le guide turistiche
Venendo alle professioni turistiche, in senso stretto: guida, interprete, corriere, animatore, organizzatore congressuale, senza dimenticare la guida naturalistica e l’accompagnatore giubilare che la Toscana ha appena individuato, la situazione si presenta analoga. In un Paese come l’Italia, che è un immenso giacimento culturale che va dall’epoca preistorica all’Evo Moderno e che spazia in tutti i settori dell’arte, la preparazione della guida turistica dovrebbe avere uno sfondo storico-artistico generale di livello universitario e una preparazione specifica su uno o più dei settori e sub-settori in cui si articola il mondo dell’arte.
E’ appena il caso di notare che, ovviamente, il cittadino italiano che, a livello scolastico, può trovare diplomi universitari specifici, come quello recentemente istituito dalla Terza Università di Roma, appare avvantaggiato rispetto allo straniero e soprattutto rispetto ai cittadini di quei Paesi, come il mercato tedesco, ove la professione di guida non ha regolamentazione adeguata e non presenta neppure la differenziazione tra l’accompagnatore e la guida turistica. E’ questo mentre, a livello europeo, è stata individuata una figura di “guida specializzata” che opera unicamente in particolari istituti e giacimenti archeologico-culturali individuati dalle Regioni e raccolti, recentemente, in una pubblicazione del Dipartimento del turismo.
Non si può quindi fare a meno di esercitare, anche qui, un approfondito controllo di carattere tecnico-professionale, valutando anche i titoli di studio, nonché la padronanza della lingua, ove lo straniero voglia esercitare in italiano, anche se l’ipotesi appare marginale, poiché la maggior richiesta proviene da chi intende esercitare l’attività di guida in lingua straniera a favore delle correnti di traffico estere.
Talora si registra persino l’intervento dei governi dei Paesi interessati a favore dell’ingresso in Italia di guide turistiche, ad esempio giapponesi, motivando la richiesta con la difficoltà di reperire in Italia guide capaci di esprimersi nella lingua del Sol Levante. (Ma, per i giapponesi, non vi è solo il problema della lingua, si pone anche un problema di conoscenza della loro peculiare cultura che richiede – da parte delle guide e di tutti i soggetti dell’accoglienza turistica – una specifica disponibilità interculturale. A questo problema sarà dedicato il dossier del prossimo fascicolo di “AT” n.d.r.)
Oggi, con l’estensione al resto del mondo della normativa prevista per i cittadini dell’U.E., la delicatezza di questo problema risulta maggiore. Infatti, a livello nazionale, dovranno stabilirsi delle
quote d’ingresso ripartite a grandi linee tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, e successivamente suddivise tra le varie amministrazioni competenti ed esercitare il controllo ai fini dell’ingresso e del successivo esercizio in Italia delle attività di lavoro che saranno annualmente contingentate.
Ovviamente i cittadini dell’Unione Europea hanno automatica libertà d’ingresso mentre, per gli altri, le Amministrazioni dovranno valutare anche l’aspetto del visto e del regolare soggiorno sul territorio, anche se la legge ha stabilito che lo straniero possa svolgere tutta l’istruttoria della sua pratica di accesso all’attività lavorativa attraverso un proprio procuratore senza doversi spostare, quindi, dal luogo d’origine sino al perfezionamento della sua richiesta. Al riguardo va ricordato che, anche qui, si applicano le norme della direttiva comunitaria che prevedono l’obbligo per l’Amministrazione di pronunziarsi nel termine di quattro mesi, dal momento in cui l’istanza appare documentalmente completa.
Molto tempo è passato dalla legge 17 giugno 1937, n.1249, (regolamento di pubblica sicurezza) che accumunava le guide turistiche tra i mestieri girovaghi, equiparandole ai venditori ambulanti! Oggi siamo di fronte al riconoscimento più ampio della professionalità della guida e ad un corpus iuris non indifferente dal momento che, dopo la legge quadro sul turismo del 17.5.83 n. 17, che ha individuato le principali professioni, dopo la legge 2.1.89 n.6, sulla guida alpina e la legge 8.3.91, n. 81, sui maestri di sci, per tacere delle leggi comunitarie d’attuazione delle direttive CEE, sono fioriti i provvedimenti regionali:
l’Abruzzo ne ha 4, la Basilicata 2, la Calabria 3, la Campania 2, l’Emilia 2. il Friuli 5, il Lazio 3, la Liguria 4, la Lombardia 6, le Marche 2, il Molise 1, il Piemonte 5, la Puglia 1, la Sardegna 1, la Toscana 4, il Trentino Alto Adige 14, l’Umbria 6, la Val d’Aosta 5, il Veneto 5, che dimostrano ampiamente l’interesse degli organi locali per la disciplina di queste professioni, interesse tanto maggiore in alcune aree, come quelle alpine, che presentano una o più densa popolazione professionale.
Va notato che l’elenco delle professioni turistiche, contenuto nell’Art. 11 della legge quadro, non era esaustivo poiché la legge demandava alle Regioni l’individuazione di altre professioni ed, in questo campo, l’organo locale ha utilizzato la delega, individuando le figure ulteriori della guida naturalistica, dell’accompagnatore della natura, dell’accompagnatore del turismo equestre, del direttore d’albergo e del vigile turistico.
Riguardo a tutte le professioni turistiche, emerge un ulteriore problema: la disciplina regionale sinora non ha avuto presente i riferiti meccanismi di accesso alle professioni da parte dei cittadini dell’Unione Europea e meno che mai degli stranieri, per cui spesso, prevedendo il numero chiuso per l’esercizio di queste attività, la norma locale si pone come un diaframma per l’esercizio da parte del cittadino straniero, anche appartenente all’Unione Europea.
Vero è che le Regioni hanno poi accolto la guida straniera, ma occorrerà modificare in assoluto la disciplina locale per consentire l’esercizio della professione da parte di chi ha superato i controlli. La normativa regionale dovrà sottostare ai principi della UE ed agli indirizzi degli organi di governo e ciò anche in base all’affermazione della Corte Costituzionale che, sin dal 1979, con sentenza n. 9, ha affermato che, nella disciplina amministrativa delle professioni turistiche, è prevalente la tutela degli interessi turistici su quelli di pubblica sicurezza, e che queste attività sono soggette a regolamentazione finalizzata alla cura di interessi di tipo economico-sociale, sui quali la Regione non può assolutamente incidere frapponendo divieti. Tra l’altro, il decreto legislativo n.112, del 1998, ha ribadito che spetta allo Stato il potere d’individuare i principi di valorizzazione e sviluppo del sistema turistico tramite la fissazione di linee guida, per cui le Regioni dovranno comunque rispettare, anche per la disciplina delle professioni turistiche , le linee individuate a livello nazionale.
Resta l’ulteriore precisazione da fare a proposito della libertà di circolazione delle guide turistiche straniere in Italia: nell’ambito dei viaggi “tutto compreso”o altrimenti detti “a circuito chiuso” i turisti potranno essere accompagnati anche da una guida non abilitata professionalmente, ma autorizzata dallo Stato di appartenenza ed unicamente nell’ambito del circuito previsto dal viaggio.
Le professioni turistiche presentano quindi una interessante evoluzione a livello sia locale che centrale ed internazionale dal punto di vista economico e giuridico e, se rientrano nella linea globalizzante, non dovrà loro mancare l’attenzione da parte del governo perchè venga mantenuto lo standard qualificativo professionale.
di Antonio Sereno