Il cammino dell’Europa prosegue sempre più incalzante:nel 2004 altri 10 paesi faranno il loro ingresso nella vecchia Comunità che oggi, non a caso, viene chiamata Unione per evidenziare il processo integrativo che ha avuto un impulso non indifferente nella moneta unica. L’adozione dell’Euro, tuttavia, se ha segnato un ulteriore momento di coesione tra i vari paesi (una coesione forzata), non è sufficiente a determinare quella unione tra i vari sistemi e tra i vari paesi che è il postulato dell’integrazione europea. Inoltre, l’ulteriore allargamento dei confini porterà nuovi elementi di diversità e nuovi sistemi economico-culturali assolutamente divergenti tra loro e con il resto dell’Europa, che metteranno a dura prova il processo integrativo.
Tuttavia, per rimanere nella realtà attuale, occorre riconoscere che gli organi di Governo dei vari paesi sono al lavoro per tentare di eliminare gli attriti dei sistemi economici e degli ordinamenti
giuridici che governano i vari settori e subsettori in cui si articola la vita di ciascun paese.
Volendo esaminare uno dei principi forse più interessanti dell’Unione, la libertà di stabilimento, dobbiamo registrare che esistono remore profonde alla concreta affermazione del principio: se è consentito a tutti recarsi da una nazione all’altra senza alcuna restrizione, non è altrettanto facile inserirsi nel mondo del lavoro per due ordini di motivi.
Innanzitutto non c’è equivalenza nei titoli di studio di base: una laurea in ingegneria edile, conseguita in un paese del nord Europa, viene rilasciata senza che il titolare abbia effettuato gli esami di cemento armato; inoltre, non è affatto omogeneo il regime dei titoli professionali, nel senso che, ad esempio, nei paesi di lingua tedesca il titolo di parrucchiere viene ritenuto sufficiente per il successivo esercizio dell’attività di guida turistica.
Questo accade perché, nei vari paesi, non tutte le attività professionali sono regolarmente per legge e, ove la regolamentazione esiste, essa non è affatto uniforme e spesso risale a visioni superate: per le guide, in Italia, le Regioni richiedono come titolo minimo la licenza di scuola media superiore, mentre è ormai pacifico che il titolo utile debba essere la laurea breve.
Nel settore si registra, quindi, una notevole difficoltà operativa ed una grande confusione a tutti i livelli: nonostante sia passato molto tempo dal 1929, quando il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza accomunò le professioni turistiche ai mestieri ambulanti, nonostante l’intervenuto riconoscimento dell’operatore turistico come imprenditore industriale (principio affermato a livello legislativo ed accolto anche in tema d’intervento finanziario dalla legge 488/92) si deve registrare oggi, nei nuovi codici di attività elaborati dall’ISTAT, che le professioni turistiche figurano al punto 5.5.1 dell’elenco, scorrendo il quale, dopo gli esercenti e gestori di cinema, figurano le guide e accompagnatori urbani (arcaicamente distinti in ciceroni, guida di città e guida di piazza) seguite dagli astrologi, preveggenti, chiromanti e assimilati, con un chiaro insulto alla dignità e professionalità della guida turistica.
E’ evidente che nulla sta insegnando, agli addetti ai lavori, il progresso del turismo nel mercato economico e nel campo sociale, se tale segmento risulta vicino a professioni marginali.
Tanto premesso, affrontiamo il problema della libera circolazione nell’Unione Europea.
Le professioni contemplate nelle direttive comunitarie 89/48 e 92/51 sono ben 68 e quelle turistiche sono 9. Il sistema generale riguarda tutte le manifestazioni del lavoro, sia pubblico e che privato.
Il diritto comunitario, nel corso del tempo, ha cercato di assicurare la libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi, garantendo il riconoscimento dei diplomi dal punto di vista tecnico-giuridico secondo modalità diverse: inizialmente si sono varate diverse direttive settoriali per i medici, farmacisti, etc., mentre, alla fine degli anni ’80, si è passati ad un sistema generale e, con la recente direttiva 98/5, specifica per gli avvocati, il principio si è evoluto onde garantire la trasparenza del procedimento ai fini di una maggiore tutela del consumatore.
La Commissione delle Comunità Europee, nel 2001, ha comunicato al Consiglio il programma dei nuovi mercati del lavoro aperti ed accessibili a tutti, fissando al 2005 l’operatività totale del mercato lavorativo in tutti i paesi dell’Unione, esortando ed eliminando tutti gli ostacoli alla modalità ed a migliorare informazione e trasparenza.
In quest’ottica, è in via di elaborazione il nuovo regime di riconoscimento delle qualifiche professionali che – per quel che concerne l’Italia – dovrà anche eliminare l’attuale situazione di non totale adeguamento del Paese alle direttive concernenti la libertà di stabilimento.
E’ stato registrato, infatti, nel corso degli ultimi anni, che nonostante il Decreto Legislativo 2 maggio 1994, n. 319, ed il DPR 31 agosto 1999. n. 694 (sulla disciplina dell’immigrazione) in Italia si registrano notevoli frizioni quanto alle procedure di riconoscimento e regolamentazione delle attività professionali e, proprio per questo, è stata avviata una procedura di infrazione presso la Corte di giustizia europea.
La situazione si presenta ancora più critica per le professioni turistiche, sia perché vi è confusione nell’ordinamento a livello centrale, sia perché la presenza delle Regioni rende più complesso il meccanismo di attuazione delle direttive.
C’è già un “casus belli” molto importante. Il Consiglio di Stato, con decisione n. 12/02 del 25 febbraio 2002, intervenendo sul regolamento degli scambi intracomunitari e l’import da paesi terzi di pollame e uova, con particolare riferimento a struzzi, casuari e nandù, ha stabilito il principio che l’attuazione delle direttive nelle materie attribuite alle Regioni in via esclusiva o concorrente, è competenza delle Regioni stesse. Solo in caso di loro inadempienza, mentre il nuovo titolo V della costituzione stabilisce che soltanto le Regioni possono adeguarsi alle direttive, ma non sono obbligate come il Governo.
In caso di inadempienza il Governo potrà intervenire; ma cosa deve intendersi per inadempienza? L’omissione o una regolamentazione contraria dell’Unione Europea?.
In realtà, quindi, l’attuazione delle norme di diritto internazionale o sopranazionale – come si è acutamente osservato quando si è dato corpo alla Comunità Europea – resta un problema di volontà degli organi regionali preoccupati che il recepimento delle direttive comunitarie da parte del Governo possa concretare uno svuotamento della riforma federalista!.
Con questa motivazione, le Regioni hanno chiesto almeno 5 anni di tempo per poter valutare, forse insieme al governo, le necessarie misure per correggere gli ordinamenti regionali e renderli più flessibili per quanto riguarda l’attuazione delle direttive dell’Unione.
Ora, esaminate le problematiche generali della libertà d’esercizio del lavoro, soffermiamoci sulle professioni turistiche che, tra l’altro, risentono molto della riforma federalista.
Gli elementi nuovi sono da ricercarsi, eventualmente, nella riforma della Legge 135 del 2001, e nel DPCM 13 settembre 2002 , che ha recepito l’accordo Stato/Regioni in merito all’attuazione della nuova “Legge quadro”.
Nonostante le innovazioni normative, il fulcro della regolamentazione resta tuttavia quella varata nel 1983, quando sono state individuate le professioni turistiche principali e si è stabilito il principio che le Regioni avrebbero potuto individuare nuove professionalità.
La vecchia Legge Quadro, all’Art. 11, aveva inserito tra le attività turistiche la guida, l’interprete, l’accompagnatore o corriere, l’organizzazione professionale di congressi, l’istruttore nautico, il maestro di sci, la guida alpina, l’aspirante guida o portatore alpino, la guida speleologica e l’animatore turistico, lasciando alle Regioni l’accertamento dei requisiti per l’esercizio di ogni altra professione attinente al turismo.
Un altro principio fondamentale era l’equiparazione dei cittadini appartenenti ai Paesi membri della CEE ai cittadini italiani, nonché il vincolo relativo all’accertamento delle capacità professionali in sede tecnico-operativa, accertate alla stregua dei criteri didattici elaborati, per i vari gradi di professionalità, dai competenti Enti ed Associazioni nazionali.
Tale vincolo era mirato, in particolare, a garantire un’adeguata conoscenza tecnica da parte degli aspiranti alle professioni collegate alla montagna, quali i maestri di sci, e le guide alpine.
In questi settori, infatti, prima ancora che vi provvedessero specificatamente le leggi del 1989 sulle Guide alpine e del 1991 sui Maestri di sci, si raggiunse con le Regioni una buona intesa, nel senso che, pur non essendoci alcuna riserva legislativa in merito all’attività sportiva, la peculiarità di quest’ultima veniva riconosciuta dagli enti locali che accettavano le norme tecniche delle federazioni sportive quale testo base per la regolamentazione delle professioni.
Come abbiamo visto, il legislatore è poi intervenuto a livello nazionale per fissare questi principi di salvaguardia dell’attività professionale, che oggi trovano conferma anche a livello comunitario: per i maestri di sci e per le guide alpine, in deroga al canone dell’alternatività tra la prova tecnica e la prova pratica per essere ammessi all’esercizio dell’attività, si può accedere alla professione solo dopo il superamento della prova pratica – oltre al possesso di un titolo di base idoneo – quale dimostrazione della necessità di tutelare coloro che si affidano a queste figure professionali.
Non è accaduto lo stesso per le altre professioni, anche se si può agevolmente sostenere che il principio di tutela della pubblica fede sia rilevante per le guide turistiche, come per le altre professioni, dal momento che il cittadino che si affida ad un professionista per la prestazione di un servizio, dovrebbe essere tutelato, sia in considerazione del rapporto che va a creare col professionista, sia in ragione delle prestazioni che vengono richieste allo stesso.
In realtà c’è una grande confusione sulla ristrutturazione delle professioni e sulla titolarità delle competenze a livello centrale, dal momento che le attività sportive sono attribuite al Ministero delle Attività Produttive, mentre lo sport è di competenza del Ministero dei Beni culturali. Inoltre, non ha giovato la normativa regionale che ha moltiplicato le figure e non si è raccordata sia a livello interno, ma soprattutto nei confronti della U.E. per cui la disciplina varia da Regione a Regione ed è orientata negativamente verso le norme sopranazionali.
Le Regioni hanno individuato infatti altre professioni turistiche: guida naturalistica, accompagnatore di turismo equestre, guida escursionistica, vigile turistico, direttore d’albergo e, tuttavia, le norme risultano disorganiche e scarsamente sviluppate a livello operativo.
La nuova “legge quadro” sul turismo non sembra scorrere molto: all’Art. 7 afferma il principio che sono professioni turistiche quelle che organizzano e forniscono servizi di promozione dell’attività turistica nonché servizi di assistenza, accoglienza, accompagnamento e guida dei turisti. Afferma poi il principio che sono le Regioni ad autorizzare l’esercizio di attività.
Il DPCM del 13 settembre 2002, inoltre, assume scarso rilievo poiché si limita a demandare, alla disciplina regionale, i requisiti e le modalità d’esercizio su tutto il territorio nazionale delle professioni turistiche tradizionali ed emergenti, stabilendo che le Regioni curano la qualificazione, professionale organizzando corsi di formazione.
Nulla di nuovo rispetto al passato e, soprattutto, nulla che consenta di superare le problematiche
scaturenti dall’applicazione delle direttive dell’Unione Europea.
Tra l’altro, si trascura completamente la circostanza che il DPR 13 dicembre 1995, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche”, riconosce che le guide svolgono attività specializzata concernente il patrimonio culturale.
Sotto questo profilo, la riforma della Legge quadro ha complicato la visione delle attività professionali unendole con le imprese che, per definizione, sono materia economica, mentre il Libro Verde della Commissione Europea sostiene che le attività professionali turistiche rientrano nel campo della cultura.
A livello locale la confusione aumenta. Molto spesso le norme regionali inseriscono, tra i requisiti dell’esercizio delle attività, l’obbligo di residenza, dimenticando che la Legge comunitaria del 1999(Art. 16 , legge 526/1999), prevede, per i cittadini degli stati membri ai fini dell’iscrizione in Albi, elenchi o registri, che il domicilio professionale è equiparato alla residenza.
Ciò comporta che potrà esercitare una professione turistica a Roma, il cittadino comunitario residente per esempio a Latina e viceversa; occorre quindi provvedere ad uniformare gli ordinamenti locali.
L’Art. 49 del DPR 394/99, “attuazione del Testo Unico sull’immigrazione”, prevede che il cittadino non comunitario, in possesso di specifici requisiti verificati dalla Conferenza dei servizi, possa accedere direttamente ad una prova d’esame, a seguito della quale viene ammesso all’esercizio dell’attività professionale. Tra l’altro la normativa prevede che, in caso di esito negativo, l’esame possa essere ripetuto senza alcun limite.
Come conciliare questa norma con il numero chiuso che molte Regioni adottano nel campo delle professioni turistiche? Come conciliare questa norma con una calendarizzazione delle prove d’esame che molte Regioni fissano a distanza di anni o non esercitano addirittura per un decennio?
Occorrerà quindi, anche qui, uniformare la normativa locale ai principi di diritto internazionale.
A livello operativo sarebbe opportuno che le Regioni decidessero in merito alla delega: molti organi regionali hanno demandato la competenza del riconoscimento delle attività professionali agli organi provinciali, ma il quadro nazionale non è chiaro e s’incontrano notevoli difficoltà d’informazione per cui il cittadino, anche italiano, è in difficoltà nella ricerca dell’organo competente a soddisfare le sue richieste.
In questo quadro globalmente sconfortante registriamo tuttavia una nota positiva a favore delle Regioni nell’individuazione delle nuove professioni turistiche e nella predisposizione della necessaria regolamentazione.
Liguria e Sardegna hanno disciplinato di recente l’attività degli operatori del turismo subacqueo. La Liguria è giunta al suo terzo provvedimento, 4 luglio 2001, n. 19 avendo iniziato a regolamentare il settore sin dal 1999.
La legge ha istituito l’elenco regionale degli operatori del turismo subacqueo suddiviso in quattro sezioni: guide subacquee, istruttori, centri d’immersione e di addestramento ed associazioni senza scopo di lucro che svolgono attività subacquee. Lo stesso ha fatto la Regione Sardegna.
Le riferite norme intervengono in un settore dov’è particolarmente delicata la tutela del cittadino che intenda praticare questa attività, attività sportiva ma di grande rilievo per il turismo, considerato che gli italiani si recano all’estero per praticare pesca e nuoto subacqueo.
Il turismo non può non giovarsi di un chiarimento di questo importante settore che dovrebbe essere presente nella normativa di tutte le altre regioni costiere e che potrebbe svilupparsi anche in relazione all’archeologia subacquea che nei nostri mari offre grandi motivazioni.
di Antonio Sereno