La manifestazione napoletana ripropone il problema degli sponsor
Quasi un milione di presenze, oltre duecento chiese, edifici storici, complessi archeologici e botteghe d’arte a disposizione per un week-end di maggio di una folla incuriosita , interessata e partecipante, che per due giorni ha avuto la possibilità di quanto viene vietato all’accesso del pubblico per il resto dell’anno.
Il solito miracolo “napoletano”?
Niente affatto.
L’idea è di Jack Long, ministro della cultura francese che nel 1984 promuove su tutto il territorio nazionale la giornata “PortesOuvertessurlesMonumentsHistoriques”. L’idea piace, e ha subito un enorme successo e viene ripresa in altri paesi. Da noi è il dinamismo felice della Fondazione “Napoli 99” che fa proprio il modello e lo applica a partire dal 1992, a Napoli ed il suo entroterra. Mirella Barracco ha le idee chiare ed è persona di cultura. Sa che senza cultura non può esserci progresso neanche economico e sociale, e questo vale anche per una città come Napoli. Il progetto quindi si sviluppa e cresce in quella direzione ed arriva alla terza edizione di quest’anno. Rivelatore è il paesaggio del nome della manifestazione da “Monumenti Porte Aperte”, a quello più semplice ma nel contempo più intrigante, di “Napoli Porte Aperte”. La città diviene dunque protagonista e coinvolge tutte le sue componenti più vitali, dalla valorizzazione del monumento alla partecipazione dei giovani, dal momento creativo della bottega d’arte alla viabilità ed all’offerta turistica.
Progetto non facile e certamente perfettibile, ma intelligente, coraggioso e provocatorio nello stesso tempo. Certo, c’è anche chi vuole vederlo in chiave riduttiva, folcloristica e demagogica, e quelle porte le vorrebbe “chiuse”. Ma se leggiamo con la giusta chiave questa operazione, crediamo che si debba pervenire a delle conclusioni diverse.
Alla base, ripetiamo, c’è la promessa indispensabile – per quanto ovvia – che la cultura va vissuta nella sua dimensione reale, vitale ed attuale, e non come visione statica di un passato storico e museale. Da qui, il conseguente dovere dell’Amministrazione che quei beni culturali detiene, di garantirne l’effettiva fruizione da parte della collettività. E’ se così non è o non può essere per tanti motivi, da quello finanziario a quello della custodia e sicurezza, sembra chiaro e legittimo l’appoggio del privato. Spetta dunque al privato un ruolo propositivo e complementare nella soddisfazione di quell’esigenza, sempre nel rispetto dell’interesse pubblico.
Ruoli diversi dunque e non sovrapponibili neanche quando il privato possa essere chiamato a compartecipare nel perseguimento di un’azione che è propria dell’impresa, come nel caso della sponsorizzazione. Nel Codice dell’Answer, associazione italiana sponsorizzazione, l’articolo 9 prevede infatti che “le sponsorizzazioni rivolte alla salvaguardia, recupero, manutenzione e restauro dei beni culturali ed alla loro diffusone e valorizzazione non sono sostitutive della funzione pubblica, e devono essere rispettose della tutela dell’interesse della collettività alla cultura ed all’arte. Sotto questo aspetto la struttura di una fondazione sembra rappresentare lo strumento più opportuno di intervento, come nella fattispecie, dove certamente la Fondazione “Napoli 99” non può certo essere sospettata di essere business oriented.
Ma c’è di più. L’arte e la cultura vengono interpretati come veicoli della promozione dell’immagine della città, in quanto tale, ed assumono quindi un ruolo funzionale allo stimolo dei flussi turistici. Naturalmente non basta dire: “vieni a Napoli per vedere il chiostro di Santa Chiara, che ti mette a disposizione per un paio di giorni”. Occorre assicurare la corretta informazione, i collegamenti necessari in termini di viabilità, un’adeguata ricezione alberghiera, un’assistenza professionale a livello delle guide, e via dicendo. Tutto questo è stato presente, almeno a livello essenziale, nell’offerta e presentazione della manifestazione, dai menù “porte aperte” dei ristoratori alle tariffe Agevolate dell’Alitalia e alle convenzioni alberghiere ed intuiamo l’enorme difficoltà che Mirella Barracco deve avere incontrato nel trovare un minimo di coordinamento tra l’azienda comunale dei trasporti, le Belle Arti, la municipalità, le associazioni alberghiere, e chissà quante altre strutture di servizi ed istituzioni. Eppure, di fronte alla sterile inconcludenza di una politica del turismo che non esiste, l’intraprendenza, il dinamismo di quella città devono aver superato difficoltà che in altre sedi e contesti, presuntuosamente efficienti, sembrano ancora insormontabili.
L’Anwser da tempo propone un progetto di coordinamento a livello nazionale, che triangoli le potenzialità della valorizzazione del patrimonio culturale, vastissimo e diffuso su tutto il territorio, con la partecipazione del privato ed il controllo dell’Amministrazione (centrale o periferica che sia) in grado tradursi in un’offerta turistica moderna e stimolante.
L’esperienza di Napoli, seppure necessariamente a livello locale, prova con i suoi numeri e quindi incontestabilmente e al di là di ogni diversa interpretazione la fattibilità di un modello che, anche sotto il profilo prettamente economico non richiede gravosi investimenti. Questo è possibile coinvolgendo, come detto, le varie componenti del contesto economico-sociale della città. A cominciare dalle centinaia di migliaia di studenti e di giovani che a diverso titolo sono motivati nel sostenere la realizzazione dell’iniziativa.
Ed è proprio quest’ultima notazione che ci conforta nella valutazione positiva e nella possibilità dell’estensione e riproduzione del modello.
In un momento, che ci auguriamo di transizione, che vede la crisi nel nostro Paese della cultura e del sistema culturale, investire nelle nuove generazioni, per recuperare il tempo perduto e motivare le capacità innovative, è la migliore risposta che si possa dare a chi non sa, non vuole, o non comprende il senso di quest’esperienza.
Una volta Ghandi disse: “open the windows on the world and let come in the fresh air” Cerchiamo anche noi, allora, di tenere le “porte aperte”.
Di Stefano Sandri