Occasioni e lavoro nel terzo settore

La nuova dimensione del tempo libero e della socialità

Dalla fine degli anni ottanta anche in Italia, come in quasi tutti gli altri paesi del nord Europa, i modelli di vita urbana influenzano fortemente le attese e i comportamenti sociali della maggior parte della popolazione, anche di coloro che non vivono nelle città o nelle grandi aree metropolitane. La società tradizionale, con i valori calibrati sui ruoli produttivi dei diversi soggetti è stata messa in crisi dalla diffusione generalizzata di atteggiamenti dimostrativi legati alla sfera dei consumi e del tempo libero, atteggiamenti che vengono considerati socialmente positivi e sono contestati solo dagli intellettuali snob.
Ciò ha generato un ribaltamento valoriale fra il lavoro e il tempo libero, fra l’attività produttiva e le attività di intrattenimento: il tempo libero non è più visto come tempo “liberato” dalle occupazioni lavorative, tempo per il recupero psicofisico prevalentemente investito in attività di consumo di beni materiali e servizi, ma viene vissuto come attivo di relazioni sociali. In conseguenza, cambia anche l’atteggiamento nei confronti dell’attività lavorativa: se prima si cercava di adottare la propria esistenza al lavoro (quello che si era riuscito a conquistare, in un ramo della pubblica amministrazione vincendo un concorso o in seguito ad una assegnazione in una qualsiasi azienda privata), oggi un numero crescente di persone cerca di adottare il lavoro alla propria vita. Se prima l’attività lavorativa, con la ripetitività delle prestazioni, dava una identità sociale che spesso durava tutta la vita, oggi i ruoli sociali sono calibrati sui altri fattori di identità di appartenenza. (a questo proposito si può richiamare la frase pronunciata da Sartre, in un bistret parigino, a chi gli diceva di “essere” il cameriere: lei non è un cameriere ma “fa” il cameriere!). Oggi si diffonde sempre più l’esigenza di sfuggire alla funzionalizzazione dei ruoli, non vi è più una identità sociale legata al lavoro e, spesso, non vi è più nemmeno il lavoro inteso nel senso tradizionale, disciplinato da contratti tipicizzati e dalla differenziazione delle mansioni.

Qui non ha molta importanza affrontare le questioni connesse con le garanzie e la stabilità dei nuovi rapporti di lavoro atipici – un problema che però, in altre sedi, deve essere affrontato senza lasciarsi suggestionare dallo specchietto per le allodole della crescita dell’occupazione, più apparente, peraltro, che reale. In effetti, mentre si diffondono la cultura e la possibilità di valorizzare al meglio le risorse umane nell’attività lavorativa, un numero crescente di giovani trova solo occupazioni dequalificate, “lavori a tempo” che non richiedono conoscenze e competenze qualificate, e neppure intelligenza, provocando una regressione intellettuale e una perdita di motivazione. E’ invece proprio la motivazione al lavoro sta al centro di questa riflessione, un lavoro che possa essere espressione di impegno e di creatività: in questa luce dobbiamo guardare ai fattori di attrattività del territorio romano per lo sviluppo di iniziative sociali, culturali, imprenditoriali e di occupazione. Partendo, ovviamente, dalla considerazione che il problema del lavoro nelle società avanzate ha assunto caratteristiche completamente nuove rispetto al passato: la crescita dell’occupazione è tanto più difficile quanto è più alto lo sviluppo tecnologico della società, perché questa non riesce a produrre – oltre a nuovi beni e servizi, sempre più variegati e sofisticati – anche “nuovi bisogni” da soddisfare, con la stessa velocità con cui si sviluppano i processi di automazione/informatizzazione.

Nasce di qui l’esigenza di affrontare in maniera nuova il problema della crescita dell’occupazione, ponendo al centro delle strategie politiche il nodo della “qualità” delle prestazioni sociali e dell’impiego del tempo da parte dei singoli componenti della collettività, e lasciando in secondo piano le questioni legate alla produttività e cioè la quantità delle prestazioni rispetto alla quantità del prodotto. Il problema, infatti, non è quello della compatibilità economica perché, anche ove questa fosse assicurata dall’aumento della produttività e dalla innovazione, il sistema finirebbe per collassare per la difficoltà di creare nuovi bisogni in grado di assorbire la quantità dei nuovi beni e servizi generati dallo sviluppo produttivo.

Da questo punto di vista, quindi, la dinamica tempo libero/tempo di lavoro/tempo per i consumi si pone in termini completamente diversi dal modo con cui veniva affrontato nelle analisi sociologiche che hanno aiutato ad impostare le politiche di sviluppo della società industriale e postindustriale, analisi e impostazioni che oggi appaiono inadeguate ad affrontare i problemi di quella che viene definita l’era della tecnica. L’era della tecnica, infatti, è caratterizzata da una inversione dei fini rispetto ai mezzi, perché gli obiettivi interni allo sviluppo tecnologico prevalgono rispetto alle finalità politiche e sociali.

Nella società dominata dalla tecnica, che non ha altra finalità che quella di perpetuare il suo sviluppo al di là di qualsiasi scopo sociale, il tempo dell’uomo rischia di diventare un tempo inerte, come avviene per la quota crescente dei disoccupati, o di diventare tempo libero e/o di lavoro comunque deprivato di qualsiasi orizzonte di senso, come avviene per grandi massi di consumatori omologati .

Partendo da questa considerazioni, si può ritenere che lo sviluppo delle attività culturali e la diffusione della pratica turistica collegata con le istituzioni culturali possano rappresentare un grande fattore di sviluppo basato su un impiego consapevole del tempo disponibile e, contemporaneamente, in fattore di crescita dell’occupazione e in attività svolte con ruolo attivo e consapevole degli obiettivi perseguiti. L’unica alternativa, come dimostra l’analisi del mercato di lavoro degli U.S.A., è quella di una situazione in cui, a fronte dell’accentramento delle funzioni di comando e della riduzione anche dei ruoli puramente esecutivi svolti dai “funzionari” della tecnica, vi sarà una crescita dell’occupazione solo nel campo dei servizi commerciali più dequalificati e/o di assistenza alla persona. Un rischio presente anche nel nostro paese dove si cerca di nobilitare, con la qualificazione del volontariato e della solidarietà, un’area di sbocco occupazionale che molto spesso è fatto di lavoro sottopagato e scarsamente qualificato.

Per questo motivo occorre avere un’attenzione completamente diversa per il cosiddetto terzo settore che non deve essere visto come un’area marginale e di parcheggio occupazionale temporaneo, ma può essere un laboratorio dove si sperimentano nuove attività lavorative e, nello stesso tempo, una nuova qualità del lavoro che assume un senso – o un plus di valore – proprio per la valenza che ha come fattore di integrazione sociale.
All’interno di questo settore si possono realizzare iniziative culturali, progetti ambientali, attività educative, sociali e di intrattenimento che adottano forme e modalità imprenditoriali, anche se non hanno scopo di lucro. Possono essere attività che esprimono nuovi bisogni relazionali e che stimolano – nello stesso tempo – l’emersione di nuovi bisogni sociali attraverso lo scambio comunicativo che costituisce la caratteristica principale di queste nuove attività. Si tratta di guardare al vasto campo di relazioni che sono fuori dallo spazio delle prestazioni lavorative formalizzate. Che è poi il campo delle attività sociali e delle pratiche del tempo libero che, nella società postmaterialistica, è sempre meno tempo di consumi e sempre più tempo in cui si cercano esperienze relazionali ed emozioni estetiche.
E’ in questo campo di attività si possono utilizzare strutture e spazi già esistenti ma sottoutilizzati, si possono coinvolgere quote di disponibilità diffuse tra la gente ma non canalizzate, per metterle in rete operativamente su progetti gestiti in forma imprenditoriale e non in forma assistenzialistica. Da questo punto di vista è necessario che pubbliche istituzioni – e soprattutto Province e Comuni che hanno ancora il compito di perseguire il welfare locale – sappiano assicurare supporti per finalizzare le esperienze spontanee, la formazione e l’accompagnamento, la partecipazione ai bandi pubblici e l’accesso ai fondi messi a disposizione dell’Unione Europea e dalle Fondazioni bancarie anche attraverso la consulenza legale, fiscale, gestionale e attraverso la semplificazione amministrativa.

A fronte di una realtà nazionale di oltre 2000 fondazioni, 5400 cooperative sociali, più di 100.000 associazioni che hanno generato nel triennio 1996-1999 – un fatturato di 72.940 mld di lire, una crescita occupazionale pari a 150.000 unità ed un quarto del PIL pari al 3%, c’è la necessità di conoscere il settore, con un monitoraggio in grado di ottenere dati sistematici, non solo di carattere macroeconomico e patrimoniali, ma segmentati per comparto: cultura, assistenza, tempo libero, intrattenimento, spettacolo e sport, ricerca, sanità, salvaguardia dell’ambiente, tutela del patrimonio artistico, ecc.
L’acquisita conoscenza e il continuo approfondimento, sono utili per supportare un’attività di promozione per un movimento associativo-imprenditoriale che si può sviluppare generando nuove iniziative stimolate dal suo stesso sviluppo: un lavo di conoscenza dell’economia sociale da programmare in maniera continuativa ed in grado, quindi, di sincronizzarsi con dinamiche evolutive dei bisogni sociali, culturali e di relazioni comunicative.

Queste dinamiche possono coinvolgere una sfera di interessi molto estesa e diversificata e il Comune di Roma – con le risorse finanziarie ritagliate in bilancio che prevedono la realizzazione di un fondo etico-rotativo, con lo sportello unico e il tutoraggio – va nella direzione indicata, scegliendo di essere un interlocutore del no profit e della sua ambizione a costruirsi uno specifico posizionamento di mercato, sopperendo nel contempo all’enorme difficoltà che,soprattutto i soggetti medio-piccoli e non patrimonializzati, incontrano nella loro attività quotidiana.

Un programmato e riqualificante intervento nella produzione di servizi, dunque, con la certezza di un considerevole aumento delle produttività occupazionali: creazione di un contesto favorevole a “far impresa sociale”, campagne di comunicazione, formazione promozione e sviluppo sperimentazione dell’autoimprenditorialità da parte dei soggetti svantaggiati, costruzione di un tessuto solidaristico, ideazione di network imprenditoriali , valorizzazione dell’esperienza acquisita
dai soggetti già operanti nel Terzo Settore, realizzazione di progetti pilota che possano generare fall out di iniziative diversificate.
Va da sé che l’ente locale non può intervenire da solo, data anche la complessità delle funzioni e delle competenze che devono essere messe in campo: da questo punto di vista è auspicabile una collaborazione tra diversi soggetti – tra i quali certamente Bic Lazio – perché al ruolo di stimolo e di facilitatore che può svolgere il Comune di Roma possa seguire un accompagnamento delle iniziative sorte affinché queste possano gestire, in maniera efficiente, la loro attività confrontandosi col mercato, pur restando imprese no profit.

Ma tutto ciò non deve essere visto in una logica assistenzialistica, perché i valori di urbanità che in questo modo si diffondono nel contesto sociale, determinano un aumento della soddisfazione residenziale che, oltre a migliorare la qualità della vita dei cittadini, rappresenta un fattore di attrazione per popolazioni temporanee e aumenta la domanda dei servizi sociali, culturali e turistici da parte di city users, facendo crescere il mercato locale dei bisogni di intrattenimento.
E’ un circolo virtuoso: riscontrare un bisogno sociale diffuso di “spendersi” per migliorare le condizioni di vita nelle proprie comunità di appartenenza, far crescere quindi la domanda – spesso inespressa – di servizi relazionali e, infine, impegnare risorse umane nell’approntamento di questi servizi facendo emergere nuovi profili professionali e nuove occasioni di imprenditorialità.
E’ un terreno vitale di attività, non ancora ben definito e formalizzato, dove si incontreranno domanda e offerta di servizi sociali e relazionali. Fra questi, i servizi di intrattenimento e di edutainment e anche i servizi di accoglienza turistica basati sullo scambio interculturale, possono trovare quindi una domanda crescente e, nello stesso tempo, possono rappresentare un fattore di miglioramento reale della qualità della vita per i residenti e di miglioramento della “soddisfazione residenziale” per i cittadini temporanei.

Con una considerazione aggiuntiva e finale: l’occupazione in questi campi di attività – anche in quelli che sono equiparabili alla tipologia dei servizi alla persona – è sempre basata su uno scambio comunicativo che può assicurare, per coloro che si occupano di erogare il servizio, una riappropriazione di valore e un orizzonte di senso nel proprio lavoro, per il proprio tempo, per la propria vita.

di Pino Galeota

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