Turismo montano
Si è molto parlato e tuttora se ne discute, talvolta con cognizione di causa ma spesso a sproposito, di “turismo montano”. Tra i diversi “tipi” o “forme” , il turismo montano è molto praticato e rappresenta, almeno in Italia, un fattore importantissimo, in quanto attiva flussi di ospiti per alcuni milioni di presenze, di cui circa il 30% stranieri.
Certo, questo segmento non può competere, anche per la diversa composizione di provenienza del target, con quello delle “città d’arte” che dimostra un record insuperato e che risulta essere meta privilegiata del turismo internazionale, pur tuttavia resta insieme al “segmento balneare” il più importante moltiplicatore economico, anche in considerazione delle “località ricettive” in cui si svolge, le quali sovente basano il loro reddito esclusivamente su di esso. All’interno di tale tipologia di turismo è necessario, però. operare un distinguo, altrimenti si rischia di fare di ogni erba un fascio: un conto è parlare di “turismo della neve”, altro è ragionare di “turismo montano”. Non è la stessa cosa e non si tratta di sfumature!.
Il turista della neve, assimilabile a quello balneare, è più un consumatore tout courtdel prodotto preconfezionato, è colui che porta in vacanza il cosiddetto “effetto città” , che non rinuncia alle comodità della vita: proprio per questo non ha molti problemi se deve fare la fila davanti allo ski-lift o se alloggia in un albergo molto affollato. E’ colui per il quale la vacanza rappresenta più un “andar via da….”, che non un “andare a…..” , e per questo è capace di calpestare le culture indigene: a lui è maggiormente imputabile lo scempio causato da piste di impianti di risalita e l’inquinamento diffuso, finanche acustico.
Altro tipo è il “turista montano”, più motivato e consapevole della cultura che va ad incontrare, rispettoso dell’ambiente e disponibile al contatto con i residenti, meno propenso a lasciare traccia del suo passaggio e meno bisognevole di grandi investimenti in attrezzature turistico/complementari.
Al confronto, risulta certamente vincente quest’ultimo, che torna dalla vacanza più ricco culturalmente e meglio remunerato psicologicamente.
Si potrà obiettare che il “turismo della neve” è forse più dispendioso ed ha una maggiore ricaduta economica sui settori della filiera turistica: questo probabilmente è vero, senza dover fare un’analisi tecnico-economica, ma è vero nel breve/medio periodo,come insegna il geografo Miossec, grande indagatore dello spazio turistico.
Si può essere d’accordo con lui quando si considera il rapporto costi/benefici e si mette sul piatto della bilancia l’ammontare degli investimenti in impianti, il depauperamento della natura e del paesaggio, il disservizio causato dalla pressione di massa, l’inquinamento o l’investimento per disinquinare e via dicendo.
Il turismo della media montagna, al limite, della montagna estiva presenta certamente meno controindicazioni, trattandosi inoltre di un’attività praticata prevalentemente nelle stagioni intermedie. Non si corre quasi mai il pericolo di uno sfruttamento intensivo che può determinare l’abbattimento di una certa area turistica.
In estrema sintesi, come d’altro canto avviene in tutte le attività umane, non si può ritenere il turismo – e nella specie quello della neve – un fenomeno aprioristicamente positivo, e pertanto fonte di ricchezza economica e culturale, soprattutto se questo non viene inquadrato in una programmazione consapevole del territorio, tesa a non alterare più di tanto l’equilibrio (si pensi alla Svizzera); viceversa, se è frutto di sviluppo estemporaneo, o addirittura è “imposto” da interessi che risiedono fuori dalle aree turistiche stesse, alla lunga può rivelarsi disastroso (chissà perché si pensa all’Italia!).
Forse non sarebbe male se si dedicasse una maggiore attenzione al turismo di media montagna.’ E magari qualche risorsa in più.
di Raffaele Montagna