…continua da << Omologazione e interscambio
Ma vediamo quali sono le implicazioni di questo megatrend sui prodotti turistici e sulle destinazioni. Nel dopoguerra l’espansione mondiale di alcune grandi imprese alla ricerca di nuove aree di sbocco per le loro produzioni ha portato all’affermazione di prodotti e di marche globali che enfatizzavano il loro carattere sovranazionale come plus competitivo, collegandosi con le dinamiche della distinzione sociale basata sull’effetto dimostrativo dei consumi. Ciò avveniva molto prima dello sviluppo planetario delle telecomunicazioni, quale oggi conosciamo e a cui normalmente si fa riferimento quando si parla della diffusione di stili di vita globali: Coca Cola, IBM, Philips, Sony e Nestlè precedono di almeno trent’anni la CNN e la MTV.
Ricordare questa sfasatura temporale è utile per comprendere la differenza che si riscontra fra i comportamenti di consumo di beni e servizi di uso pratico e quelli che coinvolgono più direttamente la persona, quali possono essere le scelte turistiche. Oggi appare chiaro che è stato lo sviluppo delle telecomunicazioni informatiche e il loro impatto pervasivo nella vita degli individui e dei gruppi ad aver messo in crisi il processo di globalizzazione inteso come uniformità e come asservimento al potere dei media. Infatti, quando i prodotti delle multinazionali hanno immaginato di poter veicolare “modelli di vita” e hanno utilizzato canali di comunicazione che invadevano il campo delle frequenze su cui si elaborano i percorsi delle identità personali e collettive, si sono sviluppate forti controspinte all’invadenza “imperialistica” dei prodotti e degli stili globali, tanto che oggi la nuova competizione non si realizza sul terreno del posizionamento globale dei beni e dei servizi, ma prevalentemente sul piano dell’identità locale delle marche.
Un vero mercato mondiale esiste solo a livello finanziario, anche se gli stessi prodotti finanziari come le carte di credito, vengono pubblicizzate quasi sempre con un corredo di immagini fortemente localizzate, e le stesse monete competono sulla base delle strategie regionali di influenza e quindi sulla base dei valori simbolici territorializzati che trasmettono. Come appare evidente , proprio in questi giorni, dalle vicende dell’Euro che riconferma, sulle monete metalliche, le diverse identità nazionali, che possono circolare liberamente nello spazio glocale europeo.
Del resto, anche se alcuni fenomeni culturali, come la musica popolare, il cinema e gli spettacoli di intrattenimento stabiliscono linguaggi, atteggiamenti e comportamenti comuni, ù difficile sostenere l’esistenza di “consumatori globali” nel senso di una omologazione dei gusti e degli atteggiamenti di consumo, perchè i valori di riferimento dei singoli gruppi e, soprattutto la percezione dei valori, sono difficilmente omologabili.
Per questo motivo, oggi le grandi multinazionali, preferiscono entrare nel capitale di aziende locali e rilanciare , a livello mondiale, marchi già consolidate su un circoscritto territorio, con il supporto delle loro reti di comunicazione e commercializzazione. “Think globally, act locally: vecchia formula a cui si ispiravano le tecnostrutture delle grandi corporation per impostare le loro strategie di marketing, adattando alle situazioni locali i prodotti calibrati sulle esigenze dei mercati internazionali, viene sempre più spesso sostituita dal suggerimento, “think locally, act globally”, per offrire – sul mercato globale – prodotti e servizi pensati sugli stili e sulle appartenenze sociali. “Paradossi globali”, proprio perchè il concetto di grandezza è stato assorbito da quello di network, dove ognuno assume una posizione centrale, tanto da far prevedere che, nel ventunesimo secolo , l’economia mondiale sarà dominato da aziende di piccola e media dimensione”.
In questa dinamica dello sviluppo globale, i grandi marchi mondiali che tendono ad omologare i consumatori perchè ognuno si senta simile agli altri, perdono la loro centralità rispetto all’importanza crescente della marca che connota la personalità dei prodotti.
Nelle nuove impostazioni di marketing-management, quindi, occorre distinguere tra immagine di marca e politiche di marchio, tenendo conto della sottile differenza che vi è tra la responsabilità intangibile della prima – che è connotata da valori e contenuti simbolici – e la sua rappresentazione significante, il marchio, che deve essere inteso come segno distintivo di riconoscimento, il marchio serve a pilotare la domanda, ma è la marca a determinare la decisione di acquisto. Sul mercato globale, quindi, la marca si trova favorita se si lega alla identità di una appartenenza, se è radicata su un territorio, mentre il marchio, come vettore dell’immagine di marca, può veicolare il prodotto/servizio oltre i confini della propria origine per accreditarla in altri “territori”.
E in questo discorso, l’uso del termine territorio, non va inteso in senso metaforico, ma come designazione e referente reale da utilizzare nelle strategie di posizionamento e nella comunicazione di marketing: se i prodotti sono sempre più diversificati e la loro circolazione a livello planetario è sempre più veloce, l’origine dei prodotti, la loro personalità e la loro storia assumono un valore crescente nel rapporto psicologico che si instaura con i consumatori e possono essere un fattore determinante nelle decisioni di acquisto. E, come il successo commerciale legato all’immagine di marca di un prodotto si riverbera sul sistema locale, così la produzione complessiva di un Paese viene percepita sempre più come un patrimonio di identità, di conoscenze e di valori che possono indirizzare e “motivare” la domanda.
Per il consumatore del ventunesimo secolo che può scegliere tra un mondo effervescente di offerte sfogliando le pagine elettroniche su cui vengono proposti prodotti sempre più fungibili, la nuova “bussola di orientamento”sarà data molto spesso dalle caratteristiche e dalle immagini del territorio da cui questi provengono, dalla loro marca locale. Made in….non significa solo fabbricato in un certo paese, ma suggerisce particolari qualità, mentre le identità locali rappresentano sempre più le variabili di comunicazione che renderanno appetibili i valori competitivi concreti, che suscitano identificazione, gratificazione e fidelizzazione. Oggi, ai viaggiatori internazionali può capitare di volare con un aeromobile dell’Alitalia ridipinto con i colori e con il logo di un noto cioccolatino e con la scritta “Baci dall’Italia” , pubblicità che è stata commissionata, ovviamente, dalla multinazionale Nestlè che è proprietaria della Perugina.
In questo quadro, il turismo non può essere considerato solo un complesso di attività economiche, ma deve essere anche come medium che veicola i valori caratteristici e l’immagine complessiva di un sistema locale, di un Paese o di una regione del mondo. Il territorio, infatti, non è solo un sedime di attrattive turistiche, ma è anche il luogo delle sue espressioni culturali, enogastronomiche, artigianali, e delle produzioni industriali che si “personalizzano” sulla base degli stereotipi delle identità territoriali.
La globalizzazione, quindi, come fenomeno caratteristico della società postmoderna, non abolisce le peculiarità culturali, ma tende a ibridare i punti di riferimento, ed è in questo quadro di progressiva integrazione tra diverse culture e di smagnetizzazione delle tradizionali bussole di orientamento, che si diffondono le nuove insicurezze. Ma si diffonde anche la pratica del turismo inteso come conoscenza dell’altro e dell’altrove. Anche se l’accelerato sviluppo della mobilità – e quindi delle esperienze turistiche -che ha caratterizzato le società postindustriali ha reso più familiare l’alterità (ricondotta in una dimensione estetica e esotica, disponibile alla scoperta), questo stesso processo ha messo in crisi l’identità dei soggetti e il radicamento delle appartenenze: le superficiali differenziazioni di immagine e di stile legate alla cultura visiva non bastano più e il viaggio, anche se rimarca ancora distinzione sociale, riflette sempre più un bisogno di mettersi alla prova nel rapporto con gli altri e con il diverso. Ecco perchè il “panico d’angoscia” e le paure degli ultimi mesi non sono destinati a durare. Alla fine si cerca sempre – e si trova – un orizzonte di senso nella complessità.
>> Complessità, confronto e ricomposizione
di Giuliano Faggiani