Cinema e Turismo
In un musical del 1935, Cappello a cilindro, con Fred Astaire e Ginger Rogers, le scenografie di Van Nest Polglase riproducevano una Venezia assolutamente finta e di pura invenzione kitsh. La sequenza che vede i ballerini impegnati tra briccole, gondole e ponticelli è sublime e, tanto la vicenda, che quella Venezia di cartapesta ne escono trasformate in fiaba.
Venezia accresce il suo fascino anche grazie a queste falsificazioni. E continua ad essere la città che tutti vogliono vedere. Preso atto che il cinema stava occupando una posizione di rilievo nel secolo, lo ha inglobato al Lido, gli ha inventato un nome raffinato. La Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica e lo ha infilato nel grande sacco della sua artisticità totale. Da sempre meta prediletta del viaggiatore, ha aggiunto una perla alla sua collana di immaginario e si è proposta come la terra promessa del cinema. Insomma, Venezia ha semplicemente aggiunto il cinema al bello che si respira nella città, nelle chiese, nei palazzi, nei musei. In realtà, i veneziani conoscono l’arte di fabbricare il mito, e di venderlo.
Avevamo già speculato, in questi anni, sulla comunità delle due esperienze, il turismo e il cinema. In fondo, definendo il film come immagine in movimento e il turismo come movimento per le immagini, si evidenziava il nesso esistente tra due forti suscitatori di emozioni. Poi, il cinema si nutre spesso di belle immagini, di bei posti, proprio quelli appetibili al turista classico: e il matrimonio verrà celebrato con la scelta di località turistiche alla moda come sedi di prestigiosi festival del cinema. Ci sembrava, insomma, che le due strade potessero procedere appaiate per condurre la gente verso luoghi desiderabili ed esperienze esaltanti. Ebbene, la realtà ha fatto di meglio, perchè continuare ad andare al cinema quando si può vivere in un film? Perchè continuare a far viaggi lunghi e faticosi quando si possono avere sotto casa vacanze indimenticabili? E se si facessero le due cose insieme?
Ora si può, Ci hanno pensato gli americani creando The Venetiam Resort-Hotel-Casino. Un luogo che combina, sono le parole dei promotori dell’iniziativa, l’eleganza e lo stile di Venezia con l’eccitazione di Las Vegas. Un luogo dove è possibile ritrovare lo stile di vita e l’autentico spirito di Venezia e dei veneziani. Si tratta, in breve, di un centro alberghiero – completo di spazi espositivi e congressuali, casinò e centro commerciale – tra i 10 più grandi del mondo, dicono i depliants pubblicitari. Ed è una fetta di Venezia ricostruita a grandezza naturale nel cuore del deserto del Nevada, appunto. The Grand Canal Shoppes è il centro commerciale con boutiques che si affacciano sul canale completo di Ca’ d’Oro. Naturalmente, perchè l’esperienza sia davvero indimenticabile e verosimile, bisogna fare il giro in gondola, con accompagnamento di gondoliere canterino. Altrimenti si può attraversare il canale dal Ponte di Rialto con tapis roulant e godersi la vista. Fino in fondo al canale, dove sono visibili Piazza San Marco, Campanile e Palazzo dei Dogi. Il Palazzo è la sede del Casinò e sulla piazza ci sono i caffé e spettacoli di strada, anche in tema di carnevale veneziano con maschere internazionali. Insomma, una perfetta Venezia da bazar con l’avallo di autenticità, autorevolmente certificata da architetti prestigiosi che , affermano , hanno realizzato l’impresa nel pieno rispetto dell’originale. Ma dentro la Venezia finta incombe il complesso alberghiero di 35 piani.
E che c’entra il cinema, direte voi?, C’entra, e parecchio. Sempre in Piazza S. Marco, il clone americano naturalmente , c’è il Library Bukding, che ospita il museo delle cere di Madame Tussand, Il primo degli Usa, e già se ne prevede un secondo entro il 2000. Il particolare eccitante consiste nella sistemazione delle 100 statue. Il pubblico avrà l’impressione di trovarsi gomito a gomito con le star di Hollywood a un party, per esempio, oppure con i campioni sportivi a un match. E’ tutta questione di messa in scena, di finzione; esattamente come avviene, ma in modo più sofisticato, nel ristorante, che offre quattro set di altrettanti film, fra cui quello di Casablanca, con Bogart nella parte più mitica della sua carriera.
Una finzione di grado multiplo ben reale, insomma, immagine di un’immagine di un’immagine, ma frequentabile, abitabile e soprattutto consumabile; com’è adeguato allo spirito dei tempi. Sembrerebbe cinema!: Peccato che non abbiano scelto almeno un film che aveva a che fare con Venezia, però potrebbe , in futuro, organizzarci direttamente la Mostra del cinema, quella finta, naturalmente.
Quella vera, invece, ha raggiunto quest’anno la 56° edizione. Qualche tempo fa credevamo che i festival fossero gli spazi liberi del cinema, una sorta di repubblica democratica di tutti i film e dello spirito del cinema. Invece ci sbagliavamo : Ormai non è più tempo di neutralità e i festival scendono in campo, si schierano. Dal momento che il cinema sembrerebbe avere perso, dominato com’è dal trionfo dell’eccesso di immagini e dall’infantilismo dei contenuti, si è voluta affermare, a Venezia, un’idea di cinema come antitesi al pensiero unico del cinema commerciale e degli effetti speciali.
Se si vince sui mercati con storie frantumate, dove i personaggi sono ridotti a comportamenti schizofrenici e ansiosi, in un delirio rivolto a eliminare i tempi morti della vita: allora, ai festival -sembra essersi detti- è meglio premiare i grandi attori. Magari quelli che cercano di tutelare proprio i tempi morti ( ed è il caso dell’iraniano Abbas Kiarostamo, con Il vento ci porterà via), che fanno film sui tempi della riflessione, della lentezza umanissima e necessaria. O della responsabilità (ed è il caso dei cinesi Zhang Yuan, con Diciassette anni, e Zhang Yimou, con Non uno di meno), film che raccontano di azioni piccole ma energiche, di quelle capaci di dare un senso, e un’identità, alle persone che le compiono.
Insomma , il cinema dell’uomo, dell’impegno, dei valori dell’autenticità. Solo che forse non è più tanto cinema. Tra i due, il cinema del mercato e quello dei primi festival, c’è tanto bel cinema ma scorre via ignorato.
Come accade anche a tanti bei posti, a cittadine che lontane dai flussi turistici o dalla piena stagione, languono o addirittura chiudono.
Tutto sembra ridursi alla lotta per la conquista della visibilità ad ogni costo; tutto val bene un’immagine! E certo non è Venezia che corre rischi, dalla moltiplicazione di immagini o dalla divisione di immaginari. Il problema è di quella città dove non solo nessuno va, ma neppure le copiano. O di tutti quei film che nessuno vede, neppure le giurie del festival.
di Pietro Piemontese