Le dinamiche turistiche fra globalizzazione e identità locali

Dopo l’attentato alle Torri Gemelle, mentre su giornali e riviste si discuteva sul confronto fra culture (se non addirittura tra civiltà ), quasi nessuno ha ritenuto di dover approfondire – nell’emergenza del conflitto – il ruolo che la diffusione della pratica turistica può avere rispetto a tale confronto, sia in termini positivi, come effetto dell’interscambio comunicativo tra identità e alterità, sia in termini negativi, come possibilità di cortocircuito tra i modelli comportamentali dei turisti e la cultura delle comunità ospitanti.
Per questo motivo abbiamo voluto riprendere in mano il bel saggio del sociologo Enzo Nocifora pubblicato alcuni mesi prima dell’attentato, un libro che già ci eravamo ripromessi di recensire nella nostra rubrica di segnalazioni librarie (E.Nocifora, ITINERARIA Dal Grand Tour al turismo postmoderno, Le Vespe, Pescara, pp.133,L.27.000). Al di là delle “lezioni di sociologia del turismo” che è il sottotitolo, infatti, ci è sembrato che il libro offra lo spunto per alcune riflessioni di grande rilevanza e di bruciante attualità. Anche per l’agire imprenditoriale degli operatori e per le scelte dei decisori istituzionali che intervengono nel campo del turismo e nella valorizzazione del territorio. Soprattutto in una fase, come questa che stiamo attraversando, in cui avvertiamo un certo disorientamento e una grande incertezza di impostazioni progettuali.

Distanza fisica e distanza culturale
Nocifora ci ricorda che il turismo di massa “ci fa raggiungere e coinvolgere mete che sono culturalmente distanti da noi, e di una distanza che non può essere colmata con la rapidità e facilità a cui i jet ci hanno abituato. L’integralismo islamico, sarebbe secondo una prospettiva di violenza che non può avere nulla di condivisibile, ci spinge tragicamente a riflettere sulla inconsapevole e colpevole trascuratezza con cui si avviano e gestiscono i rapporti economici che possono avere implicazioni sociali e culturali di rilevantissime dimensioni, le quali provocano un complesso di reazioni a catena di cui tutti quanti possiamo diventare soggetti, e a volte purtroppo anche vittime”.
“E per questa ragione che mettiamo molta enfasi nella necessità di far maturare una professionalità settoriale che abbia una gamma di competenze, più complessa e globale, di quelle a cui tradizionalmente si fa riferimento (….); Da parte dei grandi centri economico-finanziari è necessaria una gestione strategica ben più attenta e oculata rispetto a quella che sinora è stata adottata. Affidando i propri destini ai giovani tecnici di marketing che escono dalle scuole “business administration” ci si trova presto ostaggi di una qualche realtà locale il cui punto di vista era stato trascurato, se non ignorato, in sede di pianificazione. In questi casi la professionalità di un antropologo può fare molto di più di un costosissimo piano di marketing. (….) Diciamo questo perchè ci siamo accorti, con grandissimo stupore, che la individuazione di una meta e la pianificazione di un nuovo flusso su scala internazionale avviene sulla base di valutazioni che sono esclusivamente economico-reddituali.La famosa individuazione dei target degli esperti di marketing, mentre manca completamente ogni valutazione, politica, e sociale, della compatibilità dei flussi e dei legami, culturali e comunicativi, che si intendono allacciare.(….) Occorrono, insomma, dei progettisti di pacchetti turistici che non siano soltanto dei buoni “esploratori” e dei tenaci negoziatori, ma soprattutto dei tecnici con una cultura turistica avanzata, in grado di comprendere l’interazione comunicativa che un flusso turistico instaura in una realtà locale, e di gestire le dinamiche conseguenti”.

Tutto ciò vale soprattutto in una fase di rande trasformazione che vede l’incrociarsi di processi di “disarticolazione e di ricomposizione” dei legami sistemici che caratterizzano l’offerta turistica, un sistema che nostro paese si presenta , come ci ricorda Nocifora, a connessione debole, ma che potrebbe evolvere verso forme di maggiore integrazione proprio “perchè l’accelerazione comunicativa che l’innovazione tecnologica consente, incrementa il livello di integrazione complessiva dei mercati e conferisce la possibilità di operare, in concorrenza o in cooperazione, ad attori sociali che finora fanno parte di mondi diversi o differenziati”.
Queste riflessioni contenute nel libro di Nocifora possono essere approfondite, a nostro giudizio, alla luce di quel fenomeno che va sotto il nome di globalizzazione. Ma qui occorre precisare che, con il termine “globalizzazione” – se lo utilizziamo fuori del dibattito politico contingente influenzato dalla vicende di Genova, dell’attentato alle Torri gemelle e dalla guerra che ne è scaturita – ci si deve riferire ad un fenomeno complesso, che ha un significato molto diverso da ciò che intendiamo con la semplice internazionalizzazione, sebbene spesso i due concetti vengono usati scambievolmente per indicarne percorsi che sono apparentemente simili, anche se derivano da dinamiche sociali affatto differenti.

Già in un precedente scritto, lo stesso Nocifora faceva notare che la globalizzazione non è fenomeno degli ultimi tempi che si presenta come un processo “originale” nella storia del mondo: da quando è nata l’economia capitalistica essa ha avuto sempre una vocazione espansiva con poco rispetto per le barriere sociopolitiche, anche quando queste erano rinforzate da una miriade di controlli militari, burocratici e fiscali, magari solo ai fini protezionistici”. Ma noi vorremmo aggiungere che negli ultimi anni, – in seguito allo sviluppo delle comunicazioni, sia fisiche che informatiche – la spinta verso i confini del mondo ha assunto un significato molto diverso dal processo di espansione economico-finanziaria.
La globalizzazione è indotta dalla possibilità che oggi tutti hanno di rappresentare la propria specificità in ambiti molto vasti e si presenta come complessità multipolarizzata mentre il processo di internazionalizzazione, di cui sono espressione le grandi imprese multinazionali si dispiega a partire da alcuni centri di potere che estendono la loro influenza al di là delle frontiere geopolitiche e dei mercati regionali. Il processo di internazionalizzazione, quindi, è fenomeno tipico della evoluzione della società moderna e ne rappresenta lo stadio più avanzato, mentre la globalizzazione – sia nel campo economico che in ambito culturale – è espressione della condizione postmoderna:il primo riflette le esigenze di razionalità, di unità e di organizzazione gerarchica che hanno determinato lo sviluppo di cultura, centri istituzionali e “agenzie normative di carattere sovranazionale.,mentre il processo di globalizzazione si connota per la molteplicità delle esperienze delle identità e dei modelli operativi, per il polimorfismo dei segni e dei materiali simbolici: molteplicità che abolisce ogni gerarchia e non tende all’omologazione che appiattisce ed annulla le specificità e le identità locali.
Questa precisazione è molto importante se vogliamo analizzare le dinamiche turistiche della più recente modernità e cogliere le tendenze al di là dei luoghi comuni che tendono a cuocere nella stessa pentola due pietanze diverse.

Centro e periferia
Ma per comprendere meglio la diversità dei due percorsi, è anche utile considerare la loro scaturigine rispetto al rapporto che – nei differenti stadi di sviluppo della società – si determinano fra loro spazio socioculturale e lo spazio fisico: come ha messo in evidenza Edward Shils, nella società moderna i diversi centri (politico, culturale, religioso, economico) influenzano direttamente le aree sociali periferiche, a prescindere dalla distanza geografica, così come è altrettanto immediata e reciproca la presenza delle aree periferiche nel centro.
Da ciò è derivata la consapevolezza, per l’uomo moderno, di appartenere ad un sistema socioculturale più ampio della dimensione locale o nazionale, e da ciò è derivata la crescente interdipendenza e gerarchizzazione fra le diverse aree del mondo che ha favorito lo sviluppo di poteri e saperi sovranazionali, così come nel campo dell’economia – delle imprese multinazionali.
Proprio per questo la società moderna è stata caratterizzata, da una parte, dalla grande dimensione delle sue strutture e dalla crescita esponenziale dei comportamenti massificati e, dall’altra parte, dalla direzione prevalentemente verticale del dinamismo sociale e dei processi di affermazione individuali e collettivi, giocati su logiche prevalentemente eterodirette (pensiamo, tra l’altro, agli alloggiamenti di consumo e agli stessi comportamenti turistici basati sull’invidia imitativa che erano prevalenti fino agli anni ’80).
La globalizzazione non si connette al processo di tracimazione del centro nella periferia o alla presenza della periferia nel centro, ma deriva dalla interazione fra tutte le periferie tra loro, e tra queste con tutti i centri: non tende, quindi, all’unicità dei modelli e alla gerarchizzazione perchè è caratterizzata dalla contemporaneità dei diversi riferimenti socioculturali e dalla competizione orizzontale. Anche nel campo della produzione economica si deve però distinguere tra grande impresa multinazionale e impresa globale -non necessariamente grande – proprio perchè l’essere globale è un portato del comportamento aziendale e non della dimensione produttiva.

Per quanto riguarda più direttamente le imprese turistiche, è significativa la vicenda del Club Mediteranèe che, negli anni ’90 ha avviato un processo di internazionalizzazione, si è delocalizzata e trasformata nel Club Med’, separandosi anche dall’immagine cordiale del suo storico presidente rigano che andò a dirigere una struttura localizzata per definizione: la Maison del la France. Sul lato opposto, la grande corporation della ristorazione Mc Donald’s ha tentato di confrontarsi – con qualche difficoltà – con il processo di globalizzazione, che confonde ma non sopprime le culture locali, presentandosi in Italia con menù ispirati alla dieta mediterranea (che vengono chiamate insalate)e in India con cibi vegetariani, mentre Israele pullula di ristoranti della catena – rigorosamente kasher – e quelli in Arabia Saudita chiudono cinque volte al giorno per la preghiera ad Allah. E’ ancora, la catena alberghiera francese Accor si è sviluppata fino a superare , per dimensione e posti letto, le più grandi catene alberghiere internazionali, ma ha germinato una serie di marchi, di tipologie e di modelli operativi-gestionali tali da far apparire il gruppo Accor più come una grande società finanziaria che come un “gestore” di strutture ricettive.

Nel campo dell’abbigliamento, altro terreno che, insieme al turismo, è particolarmente indicativo delle sensibilità collettive e dell’evoluzione delle modalità produttive, l’oggetto -simbolo del processo di internazionalizzazione sono i jeans, un capo di vestiario a modello unico, anche se gerarchizzato su tre livelli verticali di differenziazione e di distinzione sociale: i jeans economici no-name, i jeans di marca tradizionale e i jeans griffati, dall’altra parte, l’azienda più significativa del processo di globalizzazione è Benetton, che non si sa bene quali capi di abbigliamento produca, ma si riconosce dalla permanente identità policroma e interculturale (e tuttavia made in italy).

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di Giuliano Faggiani

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