La Storia delle Occasioni Perdute

Un libro di Paloscia

A mano a mano che ci si addentra nella lettura della Storia del Turismo  nell’economia italiana di Franco Paloscia vien voglia di barattare il titolo con altri più vicini alla realtà. Come ad esempio, “Storia della non politica del turismo nella prima Repubblica”, oppure “Le occasioni perdute del turismo italiano”. Dei diversi approcci al tema l’autore ha privilegiato il più impervio, cimentandosi coraggiosamente nella analisi critica della legislazione direttamente o indirettamente influente sul turismo come specchio del confronto tra la cognizione della natura del fenomeno così come viene percepita dalla classe politica, dalle istituzioni (e fors’anche dal comune sentire)  e gli effetti positivi o negativi dell’intervento pubblico sulle realtà dell’economia e del mercato.

Spaziando dagli albori del turismo inteso nella dimensione di costume della società industriale, l’opera si articola in tre cicli storici scanditi dalla cesura dei due conflitti mondiali.

Nel corso del primo, che scorre dagli ultimi decenni  del XIX secolo al 1914, il turismo estero  attira l’interesse  di alcuni economisti e del Governo solo per il suo contributo all’equilibrio della bilancia dei pagamenti, senza tuttavia che lo Stato liberale faccia alcunché per sostenere lo sviluppo. Unica eccezione l’autorizzazione accordata ai Comuni nel 1910 . sull’esempio di Francia, Germania, Austria – di istituire una tassa “che potrebbe qualificarsi di soggiorno per il miglioramento, l’ampliamento e l’abbellimento delle località turistiche”

Intanto a stimolare gli italiani a viaggiare provvedono i sodalizi a vocazione turistico-sportiva sorti in quel periodo: Club Alpino, Touring Club, AutomobilClub, Lega Navale, Aeroclub. Dell’accoglienza ai turisti e dell’informazione si fanno carico le prime Pro-Loco e l’Associazione per il movimento forestieri con alcuni uffici sparsi in alcuni centri turistici. Sul versante dell’industria troviamo l’Associazione degli albergatori, le prime Agenzie di Viaggi e, all’estero, gli uffici delle Ferrovie dello Stato e dei grandi vettori marittimi

Il seme gettato nel corso del primo ciclo dà flussi via via più consistenti nel secondo, 1919/39. Le agevolazioni, fiscali dello Stato, creditizie delle istituzioni locali, contribuiscono alla ricostruzione degli alberghi danneggiati dalla guerra, mentre alla crescita della domanda interna ed estera l’industria risponde con l’apertura di sempre più numerosi  esercizi. Temporaneamente frenato dalla crisi mondiale del ’29 e dalle sanzioni inflitte all’Italia dalla Società delle Nazioni  per la guerra d’Etiopia, l’incoming si sviluppa a tassi annui sostenuti, sino a raggiungere la punta massima della curva nel 1937, con 5 milioni di arrivi, per poi declinare alle prime avvisaglie dell’apocalisse hitleriana (occupazione dell’Austria nel ’38 e della Cecoslovacchia nel marzo ’39).

Durante questa fase prende forma la struttura piramidale dell’ordinamento pubblico restata pressoché inalterata fino al trasferimento delle funzioni  amministrative alle Regioni nel 1972: creazione dell’Enit (1919), delle Aziende di Soggiorno e turismo (1926), degli EPT (1935). Il raccordo tra il sistema periferico ed il potere centrale è realizzato nel ’31 con l’istituzione di un  Commissariato ad hoc le cui funzioni – ormai viste nell’ottica del turismo come strumento della promozione del “volto nuovo” dell’Italia fascista – saranno successivamente trasferite al Sottosegretariato Stampa  e Propaganda poi trasformato in Ministero della Cultura Popolare, titolare anche di cinema  e teatro.

Dell’interesse del regime per lo sviluppo del turismo testimoniano due iniziative di successo non ricordate da Paloscia. All’interno, i “Treni popolari” che, grazie alle macroscopiche riduzioni tariffarie, incitarono gli italiani ad uscire dal guscio per andare alla scoperta del Paese. All’estero la “Lira turistica”, indovinato macchiavello  di ingegneria turistico-valutaria.  In pratica un’operazione di dumping iniziata nel ’36,  consistente nella  cessione all’estero, in forma di assegni nominativi, di moneta nazionale a tassi di cambio scontati – variabili secondo le fluttuazioni delle parità – integrata  ad agevolazioni  su buoni alberghieri, buoni benzina, trasporti ferroviari, ingressi a musei e monumenti. Il tutto confezionato in una sorta di pacchetto, e, per sventare  speculazioni, condizionato alla durata del soggiorno (minimo tre giorni) e calibrato su una spesa media giornaliera  (25 lire!).

Qualche giustificazione alla “trovata “era offerta dalla avversa  congiuntura di quegli anni: ricadute sull’incoming derivanti dalla svalutazione  di dollaro, sterlina, monete dei paesi scandinavi e del Brasile; effetti delle sanzioni economiche sopra ricordate; deterioramento dell’immagine del Paese a seguito dell’avventura coloniale; della nefasta amicizia con la Germania nazista e, per finire, dell’intervento nella guerra civile spagnola.

Tanto semplice e lineare è la storia del turismo nella prima metà del secolo, tanto  è aggrovigliata la cronaca del cinquantennio 1945/94, Da satellite dell’economia di pochi paesi di vecchia tradizione turistica, il fenomeno assume rapidamente dimensioni, pregnanza e dignità di fattore essenziale della macroeconomia per la sua valenza di acceleratore dello sviluppo sociale economico, civile, e sia avvia – promettono le previsioni –  ad occupare il primo posto nel sistema mondiale degli scambi all’alba del terzo millennio.

Domanda e offerta si confrontano e vicendevolmente si stimolano  sul mercato internazionale fortemente competitivo dal quale nessuno Stato può – né generalmente vuole – chiamarsi fuori.

Alla qualificazione dell’offerta turistica i poteri pubblici statali e territoriali concorrono in primo luogo, sia pure indirettamente, assolvendo compiti ed obblighi istituzionali con l’approntamento ed il corretto funzionamento di strutture, infrastrutture, reti di servizio, propellente dello  sviluppo civile  della comunità dei residenti e fattori della qualità della vita sulla quale s’innesta la qualità del soggiorno dei visitatori.

Alla trama delle condizioni generali del viver civile si intrecciano gli interventi selettivi delle istituzioni sul turismo: valorizzazioni, accessibilità, fruibilità delle risorse ambientali dei luoghi ; sostegni, se   e in quanto necessari, all’imprenditoria privata in forma di agevolazioni creditizie e fiscali; formazione professionale degli addetti al settore, ed infine promozione dell’immagine del paese all’estero gestita in unione con le forze della ricettività.

E’ ovvio che all’azione pubblica debbano corrispondere l’iniziativa , l’intraprendenza, la coscienza dei propri obblighi verso  il cliente e verso la comunità di tutti i soggetti protagonisti dell’industria e la fiduciosa collaborazione tra essi e le istituzioni.

Dietro la visione olistica dell’offerta – non sempre sommatoria di attrattive e di servizi ma concretizzazione del “prodotto turistico globale” – si cela la nozione di una politica di turismo a tutto tondo. Una politica, cioè, non settoriale, ma capace di correlare, in un quadro di compatibilità, il fare dei tanti sottosistemi del superiore sistema-paese (economico, sociale, culturale, fiscale , ecc.) con le  ragioni del turismo, per favorirne lo sviluppo o quanto meno per non intralciarlo.

Una politica di largo  respiro che in Italia stenta a farsi luce negli apparati istituzionali statali, malgrado l’esempio offerto da altri paesi e da qualche rara Regione ne dimostrino la necessità e la validità.

Con pazienza certosina Paloscia si addentra nel labirinto di piani di sviluppo economico, programmazioni, progetti restati sulla carta, interventi ordinari e straordinari, leggi di interesse settoriale,  incentivi  e sostegni distribuiti talvolta con troppa e sospetta generosità, talora con avarizia.

Iniziative tante, più o meno azzeccate, che sommate non fanno una politica di turismo.

Una prova? Nel programma nazionale 1967/70, scrive Paloscia, il riferimento al turismo finisce  per coincidere con quello generico  di “interesse turistico”…..sicché nei diversi bilanci del sistema economico nazionale (il turismo)  viene a confluire in questo o quell’aggregato, in questa o quella voce, con l’impossibilità di dare una visione economica al fenomeno che non vada  al di là di quella  tradizionale  dell’industria alberghiera e dell’ospitalità.

Bisognerà attendere il piano ‘71/75 che ispirandosi al  cosiddetto  “Progetto ‘80” riconosce al turismo  carattere di globalità, lo vede cioè, nella pluralità della sua armonica e profonda interdipendenza con tutti gli aspetti del vivere economico, civile, sociale, superando in tale modo la visione settoriale del piano ‘67/70.

Peccato, però – si legge due pagine più avanti – che la crisi della programmazione vanifichi, se non sul pianoculturale, il grande disegno del Progetto ’80. Uguale sorte è toccata  al piano biennale 1982/84 elaborato dal Ministero insieme a tutti gli Assessori regionali.

Neppure la politica di sviluppo del Mezzogiorno, oggetto di un corposo capitolo – iniziata nel ’50 con l’istituzione della Cassa e dei tanti enti, istituti, società, che le ruotavano intorno, è sfuggita allo strabismo del ceto politico e delle istituzioni.

Certo molto si è fatto in quelle zone nei primi decenni per ampliare l’offerta, cercare di fertilizzare economicamente e turisticamente nuove aree, sollecitare vocazioni imprenditoriali, ma,  more solito, gli interventi non  hanno affrontato anche gli aspetti  relativi ai trasporti (oggi ancora deficienti i ferroviari, costosi gli aerei) o agli apparati dell’ospitalità. Si è troppo a lungo trascurato di colmare lacune e ritardi, di proteggere l’ambiente naturalistico e storico, di attuare modelli organizzativi di servizi. Soltanto con l’aggiornamento del piano ‘88/90 – e con la creazione al posto della soppressa Cassa di nuovi organismi almeno teoricamente più agili ed efficienti – si evidenzia la necessità  di un approccio integrato alle problematiche  del generale sviluppo di quelle regioni la cui soluzione è affidata all’attuazione di vari progetti  strategici, uno dedicato al turismo acceleratore dello sviluppo degli altri settori produttivi  – per la regia di Stato, Regioni, privati.

Altre pagine folte di riferimenti ed osservazioni critiche sono consacrate ai mutamenti intervenuti nell’ultimo ventennio nell’architettura  dell’ordinamento pubblico ed alle ripercussioni sull’industria turistica: trasferimento delle funzioni amministrative alle Regioni operato in varie tappe e culminato – a buoi scappati dalla stalla – nella legge quadro non ovunque applicata, contestata e motivo di ulteriori conflitti con lo Stato: riforma nel 1981 dell’ENIT,  riverniciato di imprenditorialità ma sempre soffocato da lacci e lacciuoli burocratico-amministrativi;  assenza  di programmazione da parte di quasi tute le Regioni dimentiche di averla iscritta nei loro statuti come impegno prioritario.

E infine dissoluzione del ministero e sua rinascita nei candidi veli di Dipartimento, posto  (guarda chi si rivede!) alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri.

di  S.S.

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