La scommessa della modernizzazione

Fra tutela e sviluppo

La decisione di realizzare una riserva marina, è senza dubbio, la migliore forma di tutela del mare.
Si tratta, tuttavia, di un processo che va innestato su una politica di governo del mare ben più estesa e che in un Paese come il nostro, con 8.000 Km di coste, deve naturalmente assumere una posizione di centralità. Ed è proprio dai problemi che affliggono il Mediterraneo – e quindi i mari italiani – che vorrei partire per poi giungere alle decisioni più importanti, nell’ottica di definire, costruire e realizzare una riserva marina.
Tra i problemi che affliggono i mari italiani, la prospettiva dello sviluppo demografico che grava sul bacino mediterraneo è certamente uno dei più urgenti. Sappiamo benissimo che, mentre più a nord si è ormai raggiunto un livello in crescita zero, sul lato sud, nei paesi del nord Africa, si passerà dai 60 milioni del 1950, ai 330 milioni del 2025. Ma anche a prescindere dalla lotteria dei numeri, non vi è dubbio che questa tendenza sia fonte di riflessione, se non di preoccupazione.
Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di una crescita non governata e irrazionale che, soprattutto nei paesi poveri, dove manca una politica di tutela ambientale, si traduce in un eccessivo sfruttamento delle risorse pescabili ed in un consumo duro del territorio. Basti pensare al consumo dell’acqua, alla produzione di rifiuti, allo sviluppo di insediamenti industriali – ovviamente non regolamentati – cui contribuisce la tendenza dei paesi europei a trasferire in questi paesi le industrie più inquinanti.

L’inquinamento del Mediterraneo

Un’altra questione che ben si collega al livello di inquinamento nel Mediterraneo è indubbiamente il fatto che circa il 40% di tutto il greggio transita in questo mare, un mare particolarmente chiuso e, per ragioni geomorfologiche, con scarse possibilità di ricambio, in tempi brevi. Per queste ragioni, non solo si può immaginare cosa vorrebbe dire l’affondamento di una petroliera, soprattutto in particolari zone del Mediterraneo, come l’alto Adriatico, ma sappiamo anche cosa ha comportato nella realtà l’affondamento dell’Aven. Tuttavia, se si considera che la vita media di una nave è di 15-20 anni, che il 91% di quelle che solcano i mari del mondo ha già raggiunto il sedicesimo anno di età e che solo il 20% della flotta mondiale adibita al trasporto del petrolio è dotato di accorgimenti tecnici, come i doppiscafi, in grado di contenere il greggio in caso di collisione, le probabilità che possa ripetersi un disastro simile a quello di Aven sono tutt’altro che remote. Tra l’altro, è noto che molte navi lavano le stive in mare. Basta camminare sulle spiagge di molte nostre isole minori per verificare gli effetti di questo continuo stillicidio. Ma questa è solo la parte estetica, o se vogliamo romantica, della questione. Da alcune stime, infatti, risulterebbe che, proprio grazie al perpetuarsi di questa assurda procedura, il quantitativo di greggio scaricato ogni anno nel Mediterraneo sia pari a circa tre volte quello della Aven. E gli effetti, in particolare quelli sulla vita planctonica, sono dimostrati scientificamente.
Un’altra questione, anch’essa molto importante, è quella che riguarda lo sforzo di pesca. E’ indubbio che il Mediterraneo è sottoposto ad un eccessivo sforzo di pesca ed è ormai dimostrato ed accertato dai più, che il rapporto tra pescato e ricostituzione degli stock ittici è altamente sbilanciato verso il prelievo, il che ha portato ad una diminuzione degli stock e delle taglie, al quale si tenta di sopperire con lo sviluppo della tecnologia. Proseguire su questa strada è una politica suicida. Occorre, invece, consumare gli stock ittici in funzione delle loro quantità, ancora scarsamente conosciute, e soprattutto dei necessari tempi di ripristino.
Un’altra questione è poi quella del turismo. E’ indubbio che il mercato del turismo, rivolto all’attività balneare, è in continuo sviluppo: basta guardare i dati prodotti dall’UNE per osservare che, dagli anni 70 agli anni 90, c’è stato un incremento del 110% dei turisti confluiti sulle aree costiere. Se nel 1984, infatti, si potevano stimare nel Mediterraneo 97 milioni di presenze, per il 2000 i dati oscillano tra 269 e 409 milioni di unità. E’ indubbio, quindi, che solo governando questa attività nel migliore dei modi, si può evitare un disastro di non piccole proporzioni. Pertanto, nell’ottica di riuscire a ben governare questa risorsa di importanza vitale per un Paese come l’Italia, in particolare per certe regioni come il nord Adriatico e per le piccole isole, occorre dotare i piccoli centri turistici residenziali, o le comunità che fanno turismo, di sistemi adatti a contenere il confluire di grosse masse di turisti, prevalentemente concentrate nei mesi estivi, ma anche cercare di creare sistemi di depurazione efficaci e, dove possibile, di far confluire i reflui in agricoltura attraverso i ben noti processi di fertirrigazione. E lo stesso discorso vale anche per i sistemi di smaltimento dei rifiuti, dove occorre cercare di spingere al massimo la raccolta differenziata, creando, in sede di predisposizione dei piani regolatori, zone di rispetto per esempio fra la battigia e i primi insediamenti. Questo per consentire alla costa di modificare il suo assetto attraverso i processi di erosione. Allo stato attuale, infatti,l’80% delle coste italiane è in erosione, e mentre molti di questi tratti litorali sono difese da opere spesso inutili, con costi incredibili ed effetti paesaggistici devastanti, sarebbe stato sufficiente costruire un po’ lontano dalla linea di costa per avere una situazione indubbiamente più accettabile. Inoltre, occorre senz’altro favorire la costituzione di parchi marini e costieri, in risposta ad una domanda ambientale sempre più esigente ed in costante crescita, anche in termini di valore, soprattutto da parte dei paesi del nord Europa. Tra l’altro, ciò rappresenterebbe l’occasione per creare un mercato importante, anche in questo settore. Pertanto, in sede di pianificazione su scala regionale e subregionale, occorre individuare tratti di costa liberi, ancora non fortemente antropizzati, e vincolarli per difendere la biodiversità di importanti ecosistemi come quelli, che caratterizzano la macchia mediterranea e il nostro stesso mare. Basti solo ricordare che, mentre alcune specie sono oggi completamente estinte, come la foca monaca, altre, come il falco pellegrino mediterraneo, il falco regina, l’aurus audomini e il gabbiano corse sono in via di estinzione.
Vi è infine l’aspetto, senz’altro più preoccupante, che riguarda il trasporto effettivo, in termini quantitativi, di inquinanti verso il mare. L’inquinamento, infatti, è segnalato sul territorio ed è attraverso i fiumi che confluisce inevitabilmente sulla linea di costa. Secondo alcune stime, il 75% degli inquinanti si riversano nel Mediterraneo attraverso i fiumi e gli insediamenti costieri, generando un problema che non si può sottacere ma che occorre perseguire con forza. Il che tuttavia comporta la necessità di intervenire su un territorio estremamente vasto, sul quale insistono attività agricole e industriali, ma anche realtà metropolitane, molte delle quali depurate male, o affatto.

I piani di risanamento

Per risolvere questo problema indubbiamente enorme, occorre quindi lavorare sui piani di bacino e sui piani di risanamento, e soprattutto fare in modo che le leggi italiane siano rispettate una volta per tutte. La legge Merli, tanto per citare una fonte ormai antica, è rispettata a macchia di leopardo e molti territori non sono assolutamente vincolati nelle scelte di programmazione, con gli effetti che tutti conosciamo. Pertanto, nella scelta che porta alla definizione di una riserva marina occorre ragionare su un piano strategico globale, quello del disinquinamento e della tutela del nostro mare, il Mediterraneo, in un’ottica di valorizzazione di quelle che sono le risorse del nostro Paese. Perché è indubbio che il patrimonio naturale, artistico e culturale del nostro Paese, rappresentano una materia prima importante, almeno quanto il petrolio o le miniere di ferro.
Tornando alle aree marine protette, che sono lo strumento più efficace per la tutela e la gestione diretta e sostenibile dei sistemi marini, occorre dare corso a quello che la legge 979 e la legge 394 del ’91 già dispongono, a al tempo stesso, destinare maggiori risorse, anche perché, soprattutto nelle fasi avvio, è necessario sostenere gli enti incaricati della gestione della riserva, che non è detto debba sempre localizzarsi attorno alle isole minori o a tratti di costa particolarmente importanti. Tanto per citare un esempio, forse non tutti sanno che, nel triangolo compreso tra il golfo del Leone, la Liguria e la Sardegna, si trovano qualcosa come 3.500 balenottere comuni, che in particolari momenti dell’anno tendono a concentrarsi in questo sito. Per la verità, già esiste una proposta di legge per istituire un santuario dei cetacei in questa zona, ed indubbio che occorre prendere questa proposta in seria considerazione. Nell’area in questione, infatti, i cetacei trovano un’importante anello della loro catena alimentare che è assolutamente necessaria salvaguardare. Occorre quindi definire delle forme di rispetto anche per i tratti di mare lontani dalla costa e valorizzare il ruolo della ricerca scientifica in ambiente marino, che è poi lo strumento che consente una gestione mirata e razionale che passi, finalmente, attraverso la conoscenza. Creare un parco marino, infatti, vuol dire prima di tutto studiare quell’ecosistema e definirne una razionale zonizzazione, il tutto nel quadro di un’attiva collaborazione con le popolazioni locali, che vanno ovviamente conquistate a questo principio.

Attività di sorveglianza e prevenzione

Un’altra questione, da tenere ben presente, riguarda le attività di sorveglianza e prevenzione. Occorre far confluire verso un unico campo, che potrebbe essere la guardia costiera, tutte quelle competenze che gravano su altre forze di polizia, e magari disciplinare per legge la possibilità che anche le popolazioni locali possano esercitare una concreta attività di sorveglianza.
Vi è poi la questione della difficile situazione in cui versano le coste italiane. Soprattutto nel caso dei parchi costieri prestare più attenzione ai problemi di risanamento, ai problemi connessi ai piani bacino, ai piani bacino portuale e alle caratteristiche degli insediamenti costieri, che sono spesso fonte primaria di inquinamento.
Occorre poi affrontare seriamente la questione dell’educazione ambientale, fino ad oggi affidata all’iniziativa spontanea di pochi insegnanti particolarmente sensibili ai temi dell’ecologia. A tale riguardo, sarebbe invece opportuno, oltreché auspicabile, che il Ministero della Pubblica Istruzione
provvedesse a dare disposizioni precise, volte ad inserire l’educazione ambientale tra le materie di insegnamento.
Ribadisco infine l’opportunità di far confluire presso il Ministero dell’Ambiente, e presso le strutture cui fa riferimento, l’unicità dei problemi del mare, soprattutto per ciò che riguarda l’unicità dei problemi connessi alla individuazione e alla creazione di riserve marine, che ovviamente già fanno capo a questo ministero.
In altri termini, sarebbe opportuno che il Ministero dell’Ambiente assumesse progressivamente un ruolo di centralità, laddove, oggi, le materie attinenti al mare fanno capo a ben sette ministeri. Attualmente, infatti, il Ministero dell’Ambiente si occupa di inquinamento e di riserve marine, mentre i problemi legati al traffico nel demanio marittimo fanno capo al Ministero dei trasporti e della Navigazione,alle capitanerie di porto e al Ministero della Marina Militare,la pesca al Ministero delle Politiche Agricole, la balneazione al Ministero della Sanità, i giacimenti sottomarini al Ministero dell’Industria e i porti e la difesa della costa al Ministero dei Lavori Pubblici.
Non so se, per evitare questo irrazionale stillicidio di competenze, sia praticabile l’idea di un unico ministero del mare. Quel che è certo, è che molte di queste competenze andrebbero quanto meno accorpate, in modo che ad occuparsi di mare fossero al massimo due o tre ministeri, in luogo degli attuali sette.


di Attilio Rinaldi
Direttore ICRAM

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