La riserva marina di Ventotene
Ventotene è già da tempo impegnata a creare elementi di sostenibilità, attraverso forme di turismo, ma anche di parcualità, all’interno del proprio comprensorio e di quello di Santo Stefano.
A partire dal 1984, Ventotene ha attivato una serie di iniziative, che hanno avuto anche rilievo nazionale, volte a creare non solo le condizioni necessarie affinché l’area dell’isola diventasse parco, ma anche quelle necessarie forme di turismo diversificate e alternative rispetto a quello tipico delle isole minori.
A tale scopo, sono state effettuate diverse operazioni, lavorando soprattutto sulla consapevolezza che il territorio debba essere salvaguardato nella sua interezza, nella convinzione che la protezione dell’isola di Ventotene e dell’area intorno a Santo Stefano, come in generale delle riserve marine e in modo particolare delle isole minori, non può che essere collegata ad un’operazione di conservazione e di protezione relativa a tutto il territorio, compreso quello terrestre.
Tant’è vero che, nell’istituzione del parco marino, l’amministrazione di Ventotene ha sempre sostenuto la necessità di una definizione complessiva di una riserva a terra e una a mare. Quindi, nell’attuale fase dell’acquisizione e della successiva istituzione della riserva marina, occorre che i tempi istitutivi della parte terrestre siano estremamente rapidi e che, comunque, i tempi dell’una non condizionino quelli dell’altra. Ciò anche in considerazione del fatto che l’aspetto normativo e gestionale di un’area parcuale e la necessità di avere un unico sistema convenzionale con il Ministero dell’Ambiente per un’area marina e terrestre, rappresentano altrettante condizioni di fattibilità per la gestione della struttura.
Il fatto poi che, tanto la costituzione quanto la gestione della riserva siano affidate all’amministrazione comunale, pone un ulteriore problema in termini di intensificazione degli sforzi d’ideazione dei momenti con cui il Comune intende gestire la struttura. In altri termini, è come se l’amministrazione capitolina si dotasse di strutture operative governate dal Comune, ma sostanzialmente autonome, per gestire alcuni servizi fondamentali come la raccolta dei rifiuti. Evidentemente, si tratta solo di un esempio, ma è comunque indicativo della necessità che, in prospettiva, i Comuni pensino a dotarsi di strutture gestionali non immediatamente coincidenti con il Consiglio.
Ma per tornare al caso di Ventotene, credo sia importante sapere che, dal 1984 ad oggi, quasi centomila persone, per lo più studenti, hanno visitato l’isola in periodi totalmente desueti, determinando una serie di interessanti dinamiche, non solo di ordine economico, ma anche di ordine culturale. Perché ritengo che il problema della parcualità delle isole minori non possa essere affrontato solo in termini tecnico-scientifici, ma implichi un approccio di ordine socio-culturale che è legato ad una dinamica di conservazione. In altri termini, il problema reale è quello di riproporre,
in questi siti, la normalità di una vita che si è denormalizzata, molte volte, proprio a causa di forme di turismo non sostenibili che hanno creato una cultura del lavoro e della socialità contraddittoria e fortemente antagonista, rispetto a quella tradizionalmente e storicamente appartenente all’isola.
Si tratta, quindi, di un problema di recupero della normalità, dei tempi e, più in generale, di tutto quello che sostanzialmente identifica non solo l’aspetto ambientale, ma anche la vita di queste isole, dal punto di vista, più strettamente antropologico. Proprio questo elemento, che è assolutamente caratterizzante, rientra tra gli obiettivi realizzabili attraverso lo sviluppo di nuove forme di turismo sostenibili: si pensi soltanto alla cultura del lavoro, nel suo aspetto etico, che si può determinare per il fatto che un luogo, come un’isola o un’area parcuale, possa vivere tutto l’anno, e non solo due mesi su dodici, rideterminando anche una cultura di rapporti, della socialità, che rappresenta uno degli elementi, non banali, di questa vicenda.
Nuova prospettiva d’intervento
Oggi si discute molto sulla proponibilità o sulla sostenibilità di una operazione legata alla conservazione, in cui l’uomo è l’elemento trainante della possibilità di conservare e di creare o meno un ‘area protetta, come della possibilità di opporsi o di accettare questa condizione. La mia proposta, in attesa che il governo avanzi la propria, si basa sulla convinzione che, a parte la questione dell’istituzione di riserve marine e terrestri o, più in generale, di aeree protette alle quali legare nuove forme di sviluppo, o comunque una qualche forma di sviluppo con un’ipotesi di sostenibilità, si debba soprattutto cambiare la prospettiva dell’intervento, chiarendo i ruoli dello Stato e dell’ente locale incaricato della gestione.
E credo che questa operazione, che comporta alcuni elementi di novità, anche dal punto di vista della teoria economica, possa offrire allo Stato una grande opportunità. Vorrei inoltre osservare che, per esaminare la curva dei costi in relazione a quella dei ricavi, bisogna prima parlare della domanda di beni esistente in queste aree. E nello scoprire che il turismo sostenibile rappresenta una parte di questa domanda, si pone inevitabilmente il problema relativo alle modalità e agli strumenti attraverso i quali intervenire per canalizzare in queste aree la domanda di turismo.
Così, mentre si parla di adeguamento dell’offerta e di potenziamento dei servizi, ci si accorge che il vero problema è di ordine culturale e non riguarda solo i fornitori, ma anche e soprattutto i fruitori dei servizi. Perché le buste di plastica e i rifiuti che il turista abbandona all’interno di un area protetta sono altrettante espressioni dell’atteggiamento culturale che lo caratterizza come fruitore e come elemento della domanda complessiva di questo segmento tipico dell’offerta.
L’educazione ambientale
Il problema dell’educazione ambientale, dell’educazione dei comportamenti assume così un ruolo determinante, sul quale il Ministero dell’Ambiente e il Ministero della Pubblica Istruzione stanno già lavorando, nell’ambito di una convenzione quadro sull’educazione ambientale, non solo con riferimento al mondo della scuola. Tuttavia, il nodo centrale è un altro e se mai dovessero rendersi disponibili ulteriori attenzioni economiche, queste dovrebbero rivolgersi al sostegno di una domanda culturale valida, o comunque sostenibile, per la realtà che dovranno accoglierla.
Gestire un parco è questione importante ma l’aspetto più rilevante, sul quale un ente parco non ha la forza di intervenire, sta nella capacità di catturare un pubblico che abbia almeno un’idea di cosa va a trovare. Il che comporterebbe, ad esempio, che le politiche di comunicazione perdessero la dimensione dell’esotismo, dell’esperienza estremamente particolare. D’altra parte, l’inflazione di programmi televisivi sul genere di Quark o di Geo, ha abituato la gente a ben altri spettacoli. Ma nelle nostre riserve non si organizzano safari e non si incontrano né squali né leoni. Per questo, è indispensabile liberarci dalla cultura dell’esotismo, evitando di rideterminare un’idea di poco culturale o di interesse d’immagine delle cose che difficilmente si troveranno ed occorre invece lavorare per creare una cultura in grado di comprendere i tempi e le dimensioni specifiche di questi luoghi.
A cosa serve, infatti, pubblicizzare attrattiva del luogo una serie di bellissimi esemplari di cernia, quando si sa perfettamente che, a parte quei pochi fortunati, per gran parte della stagione quasi nessuno riuscirà a vederli? Meglio, quindi, rendere visibile ciò che può davvero essere fruito da tutti e che si identifica in quell’universo culturale che si manifesta quotidianamente nei ritmi della vita come nelle modalità della pesca,nelle tradizioni, come in tutto ciò che, particolarmente nelle isole, esprime l’unicum di un’area parcuale. Si tratta, in sostanza, di fare uno sforzo in direzione di un recupero degli elementi tradizionali della cultura e del rapporto con la natura, ma anche di lavorare per creare una domanda più consapevole.
E per creare una domanda consapevole è necessario che, oltre alle condizioni economiche, si creino anche le condizioni di asservizio. A tal fine, potrebbe essere utile prevedere un momento di formazione professionale, una possibilità di comunicare esperienze che già sono state fatte in altri luoghi, per non perder tempo,per accumularle ed eventualmente modificarle, ma anche per promuovere una grande campagna d’informazione nei confronti di un target e segmenti di domanda che possono essere, potenzialmente,interessati a questo tipo di turismo. E credo che, nei confronti del mondo della scuola e delle utenze collettive,ciò è sicuramente possibile.
Tornando all’esperienza di Ventotene per dare il senso di come abbiamo lavorato, mi preme sottolineare che anche se il parco, almeno formalmente, non esiste ancora, la Comunità europea ha comunque ritenuto di doverci riconoscere un progetto Life finalizzato alla realizzazione del relativo piano di gestione e il fatto che la portata del nostro impegno sia stata riconosciuta ad un livello istituzionale superiore a quello nazionale, oltre ad essere estremamente significativo, è certamente motivo di grande soddisfazione. Credo infatti che ciò rappresenti un piccolo esempio di come sia possibile costruire un’iniziativa che, nell’istituzione di un parco, trovi anche un elemento di stimolo in senso sinergico e,dunque,in grado di coinvolgere tutte le forze in campo.
Per questo, Ventotene è disponibile a partecipare ad un progetto di marchio, chiaramente finalizzato alla realizzazione di un prodotto mare mady in Italy, come pure a prendere parte ad un progetto di sistema che comprenda le isole minori del Mediterraneo. Su quest’ultimo punto, tra l’altro, l’amministrazione di Ventotene si è candidata come sede di confronto per realizzare una carta delle isole minori e delle aree parcuali, con l’ulteriore obiettivo di costruire un punto di riferimento nei confronti della comunità.
di Mario Ugozio
Presidente “Associazione Mediterranea” Ventotene