Il nuovo Dipartimento e il Fondo per la riqualificazione dell’offerta turistica
L’adeguamento e la riqualificazione del patrimonio alberghiero italiano rappresentano un obiettivo che certamente riguarda la competitività globale dell’offerta turistica italiana, al di là degli interessi aziendali coinvolti. Per questo motivo, nel corso del lungo iter di conversione in legge, del Decreto istitutivo del Dipartimento del turismo, è stato più volte affrontata l’esigenza di un sostegno pubblico ai progetti di riqualificazione della ricettività turistica e il nuovo Dipartimento è stato articolato in maniera da poter dare alcune risposte a questa esigenza.
In effetti, sebbene sia ancora aperto il dibattito politico sull’ipotesi di un Dicastero delle attività produttive che dovrebbe occuparsi anche della materia turistica, la legge istitutiva del Dipartimento ha riconosciuto che il governo complessivo del settore – per le sue valenze orizzontali – venga affidato alla Presidenza del Consiglio, varando una struttura che sia un punto di riferimento anche per le esigenze gestionali del comparto, poiché è evidente che una struttura amministrativa priva di un’azione economica di incentivazione non avrebbe avuto molto senso, anche se appariva necessario rimodulare l’intervento riducendo al minimo la pressione sull’erario.
Questo obiettivo è stato raggiunto con l’istituzione del Fondo nazionale per la riqualificazione dell’offerta turistica italiana, a cui il Tesoro ha destinato 39 miliardi, integrati con le risorse provenienti dalle revoche dei progetti – finanziati e non andati a buon fine – dalle ultime leggi di intervento statale, la 556/88 e la 237/93, risorse che si possono calcolare in altre 25 miliardi per il ’95, mentre altri 65 sono stati chiesti alla finanziaria ’96.
Pur essendo stato già soppresso, infatti, l’ex Ministero del Turismo si era fatto portatore dell’esigenza di recuperare i fondi assegnati e non utilizzati (fatto unico nella storia del turismo italiano) e di rimetterli in circolazione a favore del comparto al quale erano stati originariamente assegnati.
A questo proposito, va notato che il principio in questione – debolmente affermato nella legge-quadro sul turismo del 1983 – non riuscì a trovare esecuzione presso l’allora Ministero, mentre è stato rigorosamente applicato quando il Dipartimento ha raggiunto la dignità di “organo” del Consiglio dei Ministri.
In coerenza con l’indicazione referendaria, il Fondo verrà erogato alle Regioni, le quali lo impiegheranno per il miglioramento della qualità dei servizi e per l’adeguamento delle strutture turistico/ricettive agli adempimenti previsti dalla legislazione nazionale e dalle normative comunitarie. La ripartizione alle Regioni avverrà con criteri che tengano in considerazione il movimento turistico ed il patrimonio ricettivo esistente, nonché la concessione con i fondi strutturali CEE, Obiettivi 1, 2 e 5B.
Inserendo il riferimento ai fondi strutturali comunitari si è voluto evidentemente innovare rispetto al meccanismo di riparto previsto dalla Legge Quadro sul turismo, eliminando peraltro l’indice relativo alla popolazione residente che certo non appariva importante rispetto alla valenza turistica della Regione presa in considerazione. A parte ciò, gli altri due riferimenti della Legge Quadro sono rimasti con i loro pregi, ma anche con i loro difetti. E’ ovvio infatti che il criterio , così come quello del movimento turistico, premia le regioni più dotate, che sono teoricamente quelle che meno avrebbero bisogno di essere sostenute; è anche vero, tuttavia, che il collegamento con le logiche dell’intervento comunitario consentirà di riarticolare il quadro complessivo di riferimento.
Per quanto riguarda poi le modalità di finanziamento, la possibilità di azione da parte delle Regioni attraverso convenzioni stipulate con Istituti di credito nazionali e regionali non costituisce una novità, perché la vecchia normativa prevedeva anch’essa di operare attraverso le finanziarie regionali.
Il fondo resta comunque un segnale molto importante perché riapre un canale di finanziamento che si era chiuso con il 1992 e che per circa dieci anni è stato il principale strumento di sostegno statale del settore turistico. Oltre a ciò il Dipartimento prosegue, ovviamente, nella gestione delle ultime leggi di intervento varate dall’ex Ministero (556/88 e 237/93), anche se l’art, 2 della legge di conversione del Decreto istitutivo del Dipartimento fa espresso riferimento soltanto alla prima, ma si deve ritenere implicito il riferimento alla legge 273/93 che è organicamente collegata alla 556/88.
Altro aspetto molto importante contenuto nella legge di conversione per l’istituzione del Dipartimento – di diretto interesse per le imprese turistiche – sta nell’aver stabilito che la struttura amministrativa eserciti le competenze statali per le agevolazioni delle attività turistiche/alberghiere, nell’ambito dell’intervento ordinario per le aree depresse del territorio nazionale di cui alla legge 19.12.92 n.488.
Il legislatore, infatti, ha sentito la necessità di stabilire che, nell’esercizio delle competenze statali, fosse assicurata alle Regioni una piena informazione e partecipazione attraverso la Conferenza permanente Stato-Regioni, con particolare riferimento agli atti derivanti da obblighi comunitari.
Proprio per questo motivo, oltre che alle competenze di ordine generale l’art. 7 della legge di conversione prevede che, entro 3 mesi, sia formulato un Atto di indirizzo e coordinamento per adottare criteri necessari ad adeguare la legislazione italiana alle disposizioni dei Paesi dell’Unione europea nelle seguenti materie:
- superficie delle stanze delle strutture ricettive:
- classifica alberghiera;
- vincolo di destinazione.
Si tratta di materie per le quali il soppresso Ministero del Turismo aveva già intrapreso un’azione di studio e di riforma, soprattutto attraverso la riscrittura della Legge Quadro, che poi le vicende referendarie e la necessità di riordinare la stessa struttura governativa hanno fatto passare in secondo piano. Ora l’adozione degli atti di indirizzo e coordinamento –provvedimenti di carattere amministrativo molto più snelli di una legge – potrà effettivamente portare la necessaria chiarezza normativa su questioni oltremodo delicate che, tra l’altro, sono correlate alle legislazioni in materia dei Paesi stranieri. In tema di dimissioni “minime” delle camere d’albergo l’atto di indirizzo prevede, per le strutture esistenti, il mantenimento della capacità ricettiva, purché le misure rientrino in standard predeterminati a seconda della classifica alberghiera, fino a che la struttura non sia interessata da lavori di manutenzione.
Con l’auspicio che, per l’industria del turismo, si possa finalmente adeguare la normativa alle esigenze del mercato globale.
di Antonio Sereno