Se il turismo è un fenomeno sociale, l’evoluzione del trend osservato negli ultimi quarant’anni dall’Istat , è lo specchio fedele di un profondo mutamento dei costumi.
Partendo, infatti, dalle rilevazioni statistiche relative al periodo che va dal 1959 al 1994, si possono trarre alcune informazioni piuttosto interessanti, anche dal punto di vista socioculturale.
Si scopre così che a fronte dell’attuale tendenza a frazionare il periodo di ferie in diversi periodi dell’anno – nel ’94, il 17% degli italiani è andato in vacanza due volte l’anno e il 18% almeno tre, con una media di 1,4 periodi di vacanze a persona – e ad estenderne la fruizione ad una fascia sempre più ampia di utenza, la tendenza di andare all’estero sembra aver acquisito la stessa funzione simbolo che, nel 1959, spettava al fatto di poter consumare la vacanza in un sol boccone: 28,2 giorni la durata media di un privilegio che riguardava appena il 13,2% degli italiani.
Erano gli anni del consumismo, dei ceti medi, passati bruscamente da un conflitto mondiale e dal culto contadino per la terra, al capitalismo industriale della competizione –concorrenza: ma erano anche gli anni in cui il dilemma essere/avere trovava risposta in una sorta di invidia collettiva; la vacanza, come l’auto, la casa e il posto fisso – simboli della posizione raggiunta nella gerarchia sociale – erano ambiti per il considerevole valore aggiunto che apportavano sul piano della gratificazione personale.
Appena sei anni dopo, nel 1965 il numero dei vacanzieri era praticamente raddoppiato e, con l’aumento del benessere, aumentavano anche i giorni destinati alle ferie, passati dai 152.685 del ’59, ai 229.797 del ’65.
E il trend positivo si consolidava al punto da resistere persino agli scossoni dei primi anni Settanta: malgrado la crisi petrolifera, la vacanza è ormai un’abitudine irrinunciabile, addirittura un segno di solidità di una posizione sociale in grado di resistere alla austerity di quegli anni.
Contemporaneamente, per effetto della contestazione sessantottina, anche i giovani cominciano ad affacciarsi sul mercato turistico come consumatori autonomi, alimentando una domanda complementare o alternativa in termini di orientamenti e di scelta dei tempi, rispetto ai tradizionali schemi parentali.
Non a caso, anche in seguito a questa diversificazione della domanda turistica, i dati relativi al 1975 registrano un ulteriore incremento: la quota dei vacanzieri sale al 35,4% e il numero dei giorni dedicati alle ferie raggiunge la media di 402.771.
Parallelamente, laddove in passato prevaleva l’abitudine alla concentrazione del consumo, comincia ora a farsi strada la tendenza a distribuire il periodo delle ferie lungo l’intero arco dell’anno, tendenza confermata dal confronto dei dati: se nel 1965 si andava in vacanza 1,06 volte l’anno, nel 1975 la stessa media era salita a 1,08. E il trend prosegue anche nel corso dei decenni successivi. Così, se nel 1985 il 46% degli italiani trascorreva una media di 21,5 giorni fuori casa per 1,14 volte l’anno, nel 1994 si metteva in viaggio per circa 21,1 giorni, con una media di 1,4 volte l’anno.
Merito anche di una maggiore disponibilità di tempo – tipica delle società postindustriali – e di una più ampia libertà nella gestione dei legami familiari: i giovani godono di una maggiore autonomia – sia che restino legati alla famiglia d’origine oltre i trent’anni – sia che optino per la vita a single –mentre va scomparendo il modello tradizionale proprio della famiglia allargata, a vantaggio di legami alternativi e meno impegnativi (convivenze extraconiugali, rapporti omosessuali, famigliastre, ecc.) Inoltre , con l’aumento del livello di scolarità, viaggiare diventa un’occasione di crescita individuale, uno strumento per trovare la propria identità rispetto ad una società in continuo mutamento. Lo spostamento delle finalità del consumo – non si viaggia per sentirsi più importanti rispetto agli altri ma rispetto a se stessi – pone gli operatori di fronte alla necessità di predisporre un ventaglio di offerte in grado di soddisfare le diverse esigenze espresse da una clientela che, al di là dei gusti personali e delle mode, ha in comune la voglia di sentirsi unica rispetto alla massa dei fruitori.
Queste ed altre considerazioni possono essere confrontate scorrendo le tabelle statistiche relative ai vacanzieri anni ’90. Volendo tracciare un identikit della attuale domanda, i dati confermano intanto la raggiunta parità dei sessi anche dal punto di vista dell’accesso alle ferie – la differenza uomo/donna è a vantaggio del sesso forte solo per un punto percentuale – mentre con riferimento all’età, la propensione ad andare in vacanza mostra un andamento decrescente; i turisti più assidui (56,1%), rientrano nella fascia compresa tra i 25 ed i 44 anni, contro il 22.5% di ultra sessantacinquenni. In linea di massima e a parte questi due limiti estremi, la media si tiene comunque al di sopra del 50% per tutto il periodo che va dai 25 ai 44 anni, per poi scendere progressivamente nel corso degli anni successivi.
Considerando invece la variabile relativa alle condizioni socio-professionale, il 59,3% della domanda di turismo proviene dagli studenti i quali, per via dei minori vincoli familiari e lavorativi, sono anche i più disponibili al frazionamento: secondi solo ai 35-44 enni (il 54.5% del totale), che vanno in vacanza due volte l’anno nel 19,3% dei casi, i giovani rappresentano comunque più del 50% dei vacanzieri e, nel 16-18% dei casi, tendono a muoversi almeno due volte l’anno. Tuttavia, i maggiori fruitori in termini assoluti (72,7%) restano le categorie dei dirigenti, degli imprenditori e dei liberi professionisti, mentre gli operai ed i lavoratori in proprio rappresentano rispettivamente il 46 ed il 45,7% dell’utenza.
Evidentemente, poi, i disoccupati (35%) , le persone in cerca di prima occupazione (36,2%) , le casalinghe (36,5%) e i ritirati dal lavoro (33,9%) , sono i più penalizzati dagli impedimenti di natura economica.
Questa è anche la motivazione più frequentemente addotta dagli italiani che alle ferie hanno dovuto rinunciare. Malgrado la leggera ripresa intervenuta tra il ’93 ed il ’94 sia documentata da una riduzione della quota dei rinunciatari, le difficoltà finanziarie restano l’impedimento prevalente nel 38,2% dei casi. Ciò vuol dire che se nel 1993 circa 13 milioni e 273 mila italiani – pari al 42,8% del totale – si erano trovati costretti a restare a casa per mancanza di denaro, l’anno successivo erano comunque 11 milioni e 436 mila i connazionali esclusi da un’abitudine altrimenti prevalente su qualsiasi altra esigenza. A parte le difficoltà di ordine economico, solo i problemi di natura familiare – denunciati nel 25% dei casi – sono in grado di costringere gli italiani ad una simile rinuncia.
La mentalità, intesa come espressione del maggiore o minor grado di evoluzione socio-culturale, condiziona la domanda turistica anche in termini geografici. Confermando il diverso grado di sviluppo che ancora divide il Mezzogiorno dal resto del Paese, i vacanzieri più assidui si concentrano soprattutto nel Nord-Ovest (65,1%), nel Nord-Est (53,5%) e nel Centro (52,9%), mentre nel Sud e nelle isole il fenomeno riguarda rispettivamente il 31,1 ed il 23,1% della popolazione complessiva.
Infine, il fattore culturale esercita un’influenza determinante anche sulla scelta delle destinazioni. L’estero è infatti meta preferita dal 32,3% dei laureati, dal 28,1% dei diplomati e dal 34,9% dei dirigenti, imprenditori e liberi professionisti, prevalentemente residenti nel Nord della Penisola. Al contrario il Meridione, oltre a registrare la quota più bassa di vacanzieri, è in assoluto il più grosso consumatore del prodotto turistico nazionale, preferito nel 92,3% dei casi.
In linea di massima, comunque, la tendenza a trascorrere le vacanze oltre confine è in costante aumento: l’estero –filia che nel 1975 contagiava appena il 5,7% dell’utenza, nel 1985 riguardava il 10,8% della domanda, nel 1994, il 20,2%. Per entrare nel dettaglio, appena tre anni fa, a fronte di circa 24 milioni di italiani rimasti entro i patri confini, quasi 5 milioni e mezzo preferivano l’estero e, di questi, 1 milione e 745 mila sceglievano una destinazione extra-europea.
A privilegiare le mete comprese entro i confini comunitari sono, nel 18-22% dei casi, i giovani tra i 18 ed i 24 anni, e questo non solo per le minori disponibilità economiche ma anche per il lento affermarsi di una mentalità europea alla quale questa fascia di età è particolarmente sensibile. .Al contrario, per la maggiore e più autonoma capacità di spesa dovuta all’ingresso nel mondo del lavoro e per i conseguenti condizionamenti legati a problemi di immagine e di status, il fascino dell’esotico continua ad esercitare un’influenza determinante nelle scelte operate dai 23/34enni, che è per la fascia di età in corrispondenza della quale le destinazioni extracomunitarie raggiungono la punta massima di preferenza.
Per concludere, la fase di stagnazione imboccata circa se anni fa e la flessione generalizzata della spesa hanno reso il consumatore molto più attento al rapporto qualità/prezzo ed assai più sensibile al tema della tutela dei propri diritti.
di Simona Dei