Dallo sfruttamento del mare agli usi riproduttivi

L’esperienza siciliana

Nell’affrontare argomenti forse più aridi di quelli relativi alle tecniche gestionali, quali in effetti possono apparire gli aspetti burocratici o amministrativi con cui la Regione siciliana affronta le tematiche dell’ambiente, delle riserve e dei parchi, sia terrestri che marini, è opportuno ricordare che l’amministrazione regionale possiede una competenza specifica in materia. Pertanto, sulla base di questa sua specificità statutaria, la Regione siciliana ha varato, sin dal 1981, una prima legge che regola e determina i criteri e i sistemi relativi alla costituzione di parchi e riserve marine.
I parchi finora realizzati nel territorio regionale, quelli dell’Etna e quello delle Madonie, rappresentano due realtà ecoambientali molto caratteristiche, sia dal punto di vista geomorfologico che fluofaunistico. Quindi nell’affrontare il problema da un punto di vista legislativo, la Regione non ha solo dovuto definire una serie di zone omogenee, molto caratterizzate da un punto di vista insulare, ma ha anche dovuto determinare quelle realtà marine nei confronti delle quali essa dispone esclusivamente di una competenza di tipo sussidiario, dal momento che l’istituzione di riserve marine rientra tra le materie delegate allo Stato.

Ciò premesso, il tema delle aree marine protette riguarda direttamente quasi tutte le isole minori della Sicilia, dal momento che è qui che si concentrano le nostre riserve marine, con la sola eccezione della riserva di Acitrezza, che sorge nelle vicinanze di Catania e, quindi, in una zona tipica che ben si coniuga con la fascia costiera di questa parte di Sicilia. Tuttavia, per quanto attiene al tema che si vuol sviluppare, che è poi quello relativo all’ecocompatibilità dello sviluppo turistico con una realtà ecoambientale che va protetta e tutelata, l’esperienza presentata dal Sindaco Licciardi può essere molta significativa. Sebbene limitata dalle contenute dimensioni della riserva, dal momento della sua nascita, nel 1979, ad oggi, i risultati conseguiti sono estremamente significativi e incoraggiano il proseguimento di questo tipo di iniziative.

In effetti, le problematiche che abbiamo incontrato come Assessorato al Turismo, hanno dovuto trovare un momento di raccordo con l’Assessorato al Territorio Ambiente, perché nella struttura regionale siciliana le materie del turismo e quelle dell’ambiente fanno capo a due amministrazioni diverse. Questa suddivisione non crea tuttavia alcuna situazione di incomunicabilità fra le due amministrazioni e quindi, attraverso i sistemi di “conferenze di servizio” si è riusciti comunque a determinare una politica regionale di tutela e di salvaguardia.

Tuttavia, il primo problema che si è posto è stato, senza dubbio, quello di conciliare le esigenze dello sviluppo con quelle della salvaguardia. Emergenze come quelle legate all’inquinamento, tanto più gravi in un mare chiuso e con limitate capacità di ricambio come il Mediterraneo, ben si prestano a sintetizzare le implicazioni che le problematiche ambientali, nel loro complesso, comportano, anche al di fuori delle aree protette. Si tratta quindi di intervenire, il primo luogo, sui fattori esterni, che sono il più delle volte riconducibili a problematiche di carattere internazionale.
Il problema dell’inquinamento, infatti, trae origine tanto dalla pressione antropica che le città esercitano sul mare, quanto dal suo marcato sfruttamento. In Sicilia, queste problematiche hanno incontrato notevoli difficoltà, anche a causa dell’inadeguatezza degli attuali sistemi di vigilanza che, sia a livello di capitanerie di porto che di guardie costiere, non dispongono di mezzi idonei a garantire un adeguato controllo. Senza considerare che, in Sicilia, lo sfruttamento del mare assume caratteristiche assai rilevanti. Non a caso, la Regione Sicilia dispone della più grossa flotta peschereccia dell’intero bacino del Mediterraneo.
Questo problema è ulteriormente complicato dalla pluralità delle tipologie di pesca che, dalla pesca costiera alla pesca d’altura, vengono praticate un po’ in tutto il Mediterraneo, generando conflitti notevolissimi con le riserve e con le zone protette. La riserva di Ustica rappresenta, in tal senso, una significativa eccezione, che ha potuto attecchire per la totale mancanza di una vera e propria cultura della pesca intensiva e per la esclusiva presenza, invece, di un tipo di pesca artigianale fortemente selettiva e certamente non copiosa.
Tra l’altro, anche la pressione esercitata dall’attività dei pescatori provenienti dalla terrraferma, in particolare dal palermitano, si è notevolmente alleggerita, via via che gli addetti alla pesca si andavano riducendo per una naturale modificazione delle tipologie occupazionali. Tutti questi fattori hanno reso ancor più agevoli gli interventi di salvaguardia, che sono stati intensificati, con i risultati che oggi registriamo.

Un discorso di tipo diverso, se non addirittura opposto, va invece fatto per la riserva delle Egadi.
La riserva delle Egadi, che comprende le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo, ha infatti incontrato, e tuttora incontra, difficoltà non differenti proprio a causa della consistenza della flotta di pesca del trapanese, di per sé molto eterogenea, in quanto comprende tipologie che vanno dalla pesca a strascico alla pesca col cenciolo, dotate di una notevole capacità di prelievo. Tutto questo ha determinato l’intensificarsi di una conflittualità d’interessi rispetto ai divieti che si vanno via via imponendo nell’area interessata dal ceto peschereccio del trapanese sin da quando, negli anni ’82-’83, si venne a costituire la riserva.
Tuttavia, ora la gestione della riserva prevede una serie di zone protette e di zone sfruttabili, da un punto di vista della pesca professionale, si comincia ad intravedere un’intesa e, soprattutto, si comincia a creare, fra gli addetti alla pesca, una cultura diversa dello sfruttamento del mare.
In altri termini, si va radicando il concetto che è il mare a costituire l’azienda pesca e, pertanto, l’acquisizione delle consapevolezza della coincidenza della duplice identità del mare, come fattore di produzione della pesca e come oggetto di rispetto, sta determinando un nuovo movimento culturale che non tarderà a far sentire i suoi benefici effetti.

Detto questo, per tentare di risolvere i problemi tuttora esistenti nelle isole Egadi e nelle Pelagie, si dovrebbe procedere ad una rimodulazione della tipologia delle attività di pesca e ad una diversa individuazione dei segmenti di sfruttamento.
La riconversione delle attività di pesca verso un’attività di natura professionale o di tipo stagionale – con l’inserimento in nuovi segmenti occupazionali, come l’ittoturismo, o altre attività comunque connesse con il turismo e suscettibili di ricadute sul livello occupazionale delle popolazioni isolane – potrebbero senz’altro costituire la chiave di volta per riconquistare il consenso di queste realtà così fortemente caratterizzate da una tradizione popolare di pesca che risale alla notte dei tempi.

L’ittoturismo

Nell’ambito di questo processo, che attraverso l’individuazione e la creazione di nuove professioni, tende a proporre un importante elemento di mediazione, l’ittoturismo presenta certamente una duplice opportunità, potendo rivelarsi anche come un valido strumento risolutivo del problema turistico all’interno delle riserve o delle zone protette. Ed è appunto in questa direzione che si colloca una delle tante esperienze che si vanno via via formando con gli stessi pescatori, chiamati a guidare i turisti nella scoperta di una realtà ambientale che altrimenti non potrebbero conoscere.

Archeologia subacquea

Un’altra grande ricchezza, rimasta fino ad oggi nascosta nella realtà ambientale siciliana, è poi quella che si lega all’archeologia subacquea. Nel nostro mare, in vicinanza delle coste, in special modo nelle Egadi e nei dintorni dell’isola di Mazia, esiste infatti un immenso patrimonio archeologico sommerso e non vi è dubbio che questo segmento, così importante per la validità dei beni che giacciono in fondo al mare,costituisce un evento culturale di grande capacità attrattiva per un turismo meno “inquinante” de sempre più selezionato.
Tutte queste azioni sono quindi in grado di allargare lo spettro si utilizzazione della riserva, sottraendo agli addetti ai lavori ad attività o a compiti diretti esclusivamente allo sfruttamento ittico. Perché la realtà siciliana è per molti aspetti diversa da qualsiasi altra realtà,italiana e mediterranea in genere, in quanto l’attività di pesca ha sempre rappresentato, per la nostra regione, il massimo delle opportunità occupazionali.
Non va infatti dimenticato che l’attività di pesca esercita un ruolo primario nella determinazione del prodotto regionale lordo e che, fino a qualche anno fa, nelle isole minori come nella fascia costiera, le cosiddette tonnate fisse si susseguivano a formare una costellazione continua, costituendo uno degli elementi di attrazione turistica più ricercati di tutta la Sicilia.
Oggi, purtroppo, solo due tonnare, quella di Favignana e quella di San Gregorio, nel trapanese, continuano a testimoniare questa importante realtà della tradizione di pesca siciliana ai numerosi fruitori dell’offerta turistica dell’isola.
E sono appunto queste le contraddizioni contingenti che attualmente impediscono, o comunque ritardano, lo sviluppo del turismo nelle riserve della nostra regione.

Per quanto invece riguarda le Pelagie, basti dire che, per gli stessi siciliani, queste isole rappresentano la parte terminale della regione, e quindi, anche la più vicina al continente africano. Ed è stata questa vicinanza, che trova anche riscontro nell’identità delle presenze geomorfologiche e florofaunistiche, ad indurre la comunità internazionale a determinare, in una secca vicino a Lampedusa, una riserva naturale o, come viene denominata, una zona di rispetto come il Mammelone.
Si tratta, infatti, di una secca di grandissima capacità produttiva e, quindi, di grandissima attrazione per gli addetti alla pesca, che pure merita grande tutela.

Il contrasto in atto tra gli addetti alla pesca di Lampedusa e le marinerie isolane, in modo particolare quelle di Mazara del Vallo che ne costituiscono la più grossa entità, è dovuto proprio a questa fino ad oggi incontrollata azione di sfruttamento, effettuata con motopesche attrezzate per la pesca a strascico di grande dimensione, che tanto spesso si avvicinano alla fascia costiera dell’isola di Lampedusa. Intervenire, quindi, per determinare momenti di recupero e di tutela ambientale in queste zone del Mediterraneo, resta sicuramente uno dei punti, dei traguardi da definire, sia con la Comunità Europea che con gli stessi paesi africani, proprio per il carattere internazionale che la zona presenta.
D’altra parte, il Mediterraneo è l’unica zona, o comunque una delle poche zone al mondo, in cui non sono state realizzate le cosiddette acque economiche ed in cui è quindi ancora possibile lo sfruttamento da parte di chiunque si trovi a navigare aldilà delle acque territoriali, che d’altra parte sono ben poca cosa rispetto alle dimensioni delle zone da salvaguardare.

Carta della pesca

Di conseguenza, la realizzazione di una carta della pesca e della tutela del mare figura attualmente
tra gli obiettivi prioritari che intendiamo perseguire, per i riflessi che questa regolamentazione inevitabilmente produrrà, non solo sulle attività di pesca vera e propria, ma anche sul settore del turismo. Perché se è vero che un mare a denominazione d’origine controllata, è oggi estremamente importante per le finalità turistiche che intendiamo perseguire, non v’è dubbio che le acque siciliane
sono acque fortemente tipiche, in quanto rappresentano e comprendono in sé tutte le caratteristiche del Mediterraneo. E il medesimo discorso vale anche per le nostre riserve, all’interno delle quali zone geologicamente appartenenti al sistema dolomitico coesistono con aree appartenenti al sistema africano. Tutto questo per dire che la realtà siciliana rappresenta una sintesi assai interessante della realtà continentale e subcontinentale.

Per concludere, si può quindi affermare che la legislazione regionale e l’evoluzione che la stessa ha subito nel tempo, presenta numerosi elementi utili ad avviare, da parte degli addetti ai lavori, un’interessante momento di verifica,non solo rispetto ai criteri e alle idee che sono state seguite
nella costruzione di varie leggi, ma principalmente ai risultati che intendiamo perseguire, coniugando l’uso del territorio con le finalità turistiche occupazionali che la Regione siciliana intendeva dare al suo intervento in materia.

Per quanto riguarda poi gli aspetti antropologici che, soprattutto nelle isole minori e durante tutto il periodo dell’alta stagione, rappresentano il momento più critico della tutela ambientale, oltre a sviluppare il rimedio già individuato nella destagionalizzazione, si potrebbe tentare di evitare l’ulteriore urbanizzazione attraverso una riconversione,ai fini ricettivi, della realtà abitative dei pescatori, eventualmente ricorrendo alla costruzione dei cosiddetti paesi albergo, che la Regione siciliana ha già legislativamente previsto in maniera specifica.
Sono questi, in sostanza,gli accorgimenti che l’esperienza o le problematiche concrete ci hanno portato ad individuare lungo il percorso che dovrebbe condurre a coniugare, in modo efficiente e razionale, le necessità di sviluppo del turismo con una realtà ecocompatibile del sistema produttivo siciliano.

di Agostino Porretto
Assessorato al Turismo,Comunicazioni e Trasporti della Regione Sicilia

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