Dal panorama al paesaggio

Per la copertina di questo fascicolo di AT abbiamo scelto un’immagine che esprime il sentimento con cui ci accingiamo a chiudere questo decennio e questo secolo: il “mostro di Fuenti”, l’albergo che deturpava uno scorcio della costiera amalfitana. Una immagine cancellata dopo una battaglia durata trent’anni, un’immagine da dimenticare.
Abbiamo finalmente la sensazione che quelle parole così belle ma così vaghe contenute nell’articolo 9 della Costituzione (La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione) comincino ad avere gambe e concretezza, oltre che forza evocativa.

A metà novembre si è tenuta a Roma la Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio che non si è posta solo l’obiettivo di migliorare l’attuale normativa di salvaguardia dell’ambiente, di definire meglio – e coordinare – le responsabilità delle diverse istituzioni che hanno il compito di individuare le “aree sensibili”, di progettare interventi di valorizzazione, di contrastare l’abusivismo e demolire gli scempi, ma si è posta anche l’obiettivo di delineare una nuova strategia per la qualità del territorio e, quindi, per la qualità della vita. Un territorio inteso, proprio per questo, non solo come ambiente naturale, ma soprattutto come sedime di processi insediativi, sociali, produttivi e culturali: la nuova legge urbanistica in discussione in Parlamento con la quale si potrà affrontare il rapporto tra urbanistica e paesaggio e l’annuncio di un disegno di legge sulla promozione della cultura architettonica – per fare solo due esempi – fanno intravedere una nuova attenzione e sensibilità che si dotano anche di strumenti normativi e tecnici, una nuova considerazione del paesaggio che tiene conto anche della sua dimensione estetica.

È inutile dire quanto sia importante tutto ciò per gli interessi turistici se i processi di localizzazione dei sistemi produttivi e dei flussi finanziari hanno dimostrato che la qualità del paesaggio è una delle condizioni competitive più importanti per l’attivazione o l’incremento dei flussi turistici, questa qualità è addirittura una “precondizione”.
Il paesaggio italiano è stato uno dei principali punti di forza della nostra offerta turistica, mentre le riproduzioni pittoriche sei suoi squarci più suggestivi fatte dai vedutisti di tutta Europa sono state, nel corso del tempo, la trama di base dell’immaginario turistico. Un immaginario che funziona ancora come valore aggiunto della nostra offerta turistica. Ma fino a quando? Quella trama è stata compromessa non solo dal cemento dei condomini e dello sviluppo industriale che pure avevano una loro ragione e venivano percepiti come valori positivi, è stata compromessa dallo scempio insensato delle coste, da un arredo paesaggistico improvvisato, dall’urbanizzazione miserabile delle periferie della città, da una infrastrutturazione brutta e inadeguata insieme: segni, questi, non della civiltà industriale metropolitana, ma dell’uso incivile del suolo.

E, poiché il rapporto dell’uomo con il suo ambiente è molto stretto e interattivo, il degrado dei valori paesaggistici ha determinato anche lo scadimento della qualità dell’accoglienza, quella eccellente ospitalità che connotava l’offerta italiana. E allora non si tratta di metter mano solo agli elementi che compongono il “panorama” dell’offerta turistica per adeguarli alle attese di un viaggiatore sempre più esigente.

Anche se nel linguaggio dei depliant e dei redazionali turistici si parla quasi sempre di varietà del panorama (ambientale e dei servizi erogati) ciò che conta, prima di tutto, è l’identità dei luoghi e quindi del paesaggio. Ecco perché, nell’articolo sulla Conferenza che pubblichiamo nel corpo della rivista, abbiamo rilevato lo scarso spazio dedicato ad una lettura “geografica” dei problemi del paesaggio: l’attenzione concentrata prevalentemente sulle problematiche tecniche e normative può disarticolare il senso unitario dell’identità dei luoghi, e questa è il precipuo campo di studio della geografia turistica, la quale si nutre di informazioni complesse che danno origine a percezione dove la varietà degli elementi denotativi di un panorama si esprimono nell’unità del paesaggio.

Il concetto di paesaggio, infatti, non definisce solo lo scenario omogeneo in cui può essere rilevata una coerenza tra gli elementi naturali permanenti con le emergenze, gli episodi e le realizzazioni culturali, ma è definito dalla soggettività dello sguardo turistico che unifica i differenti aspetti. Per questo motivo, mentre il panorama – che consente di “vedere tutto”, come vuole l’etimologia della parola – dà origine ad una conoscenza, il paesaggio, in quanto definito dalle attese di congruenza tra il soggetto e l’oggetto dello sguardo, si concretizza in una esperienza, dove i fattori emozionali e le preesistenti valutazioni di carattere estetico prevalgono sui dati della conoscenza.

Quando si osserva il panorama di una città dall’alto di una torre o si ammira uno scenario naturale da un belvedere, lo sguardo turistico trasforma sempre la sequenza visiva in una sequenza emozionale, trasforma il panorama in paesaggio. Il turista che a Parigi sale sulla Tour Eiffel per avere una visione panoramica della città, coglie con uno sguardo d’insieme la varietà dello spazio che ha vissuto o che vivrà percorrendo le strade della città: il panorama acquista per lui il senso del paesaggio, perde complessità e diventa familiare, perché l’esperienza estetica del paesaggio rende inseparabile la contemplazione dal desiderio di “viverci dentro”, dalla voglia di tornare un’altra volta.

Questo sentimento è stato definito “impregnazione” nel luogo visitato: i paesaggi italiani conservano ancora la loro forza evocativa, ma rischiano di perdere la loro capacità di fascinazione e forse non inducono più quel sentimento di impregnazione: lavorare per il paesaggio significa far emergere quella forza suggestiva perché il turista straniero, lasciando il nostro paese, possa dire arrivederci, non solo come fatto rituale mentre lancia la monetina nella fontana di Trevi.

di Giuliano Faggiani

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