Dai distretti industriali ai territori turistici

Variabili che caratterizzano le diverse filiere produttive

Il distretto turistico rappresenta un’area omogenea di sviluppo dal punto di vista economico, dove le attività ricettive e i servizi di accoglienza e ospitalità costituiscono i fattori trainanti, oppure un ambito territoriale che, potenzialmente, ne avrebbe la vocazione, ovvero caratteristiche quali-quantitative tali da essere considerato un’area di potenziale sviluppo turistico. Per questo motivo, al fine di individuare la natura del distretto turistico, è utile fare una breve digressione sul concetto di “distretto”, e quindi di distretto industriale che è stato il primo ad essere oggetto di attenzione da parte di studiosi economici, ed ora anche ambientali, per cercare di capire se la metodologia che è alla base della loro individuazione, può essere applicata anche ai distretti turistici e, se sì, entro quali limiti e con quali correzioni.

I distretti industriali

Il distretto industriale, inteso come concentrazione territoriale di piccole e medie imprese specializzate in grado di competere in modo efficiente sul mercato, è un concetto che risale a Marshalle che, dagli anni ’70 in poi, è stato oggetto di frequenti approfondimenti a causa dell’importanza che tale modello produttivo stava assumendo nell’economia italiana.
Sebbene i primi interventi del legislatore per inquadrare anche dal punto di vista normativo i distretti, così da farne oggetto di interventi specifici e mirati di politica industriale, si sono avuti solo nel 1991 con la legge n. 317.
Prevalentemente il governo, centrale e locale, aveva cercato di impostare dei modelli di intervento innovativi e, spesso, sperimentali che consentissero delle azioni più confacenti per la ripresa e lo sviluppo di tali peculiari concentrazioni territoriali. La legge n. 317/91 definisce all’art. 36 i distretti industriali come “aree territoriali caratterizzate da elevate concentrazioni di piccole imprese con una particolare specializzazione produttiva, e dove esiste un particolare rapporto tra presenza di imprese e popolazione esistente”.
La legge in questione ha lasciato a un successivo intervento del legislatore la fissazione dei parametri per l’individuazione dei distretti industriali. Tali criteri sono stati fissati con DM 21/4/1993 come:

  • Indice di industrializzazione manifatturiera: addetti totali/addetti industria manifatturiera, superiore al 30% all’analogo dato nazionale;
  • Indice di densità imprenditoriale industriale manifatturiera: unità Locali manifatturiere/addetti industria manifatturiera,superiore alla media nazionale;
  • Indice di specializzazione produttiva: addetti settore specializzazione/tot. addetti manifatturieri, superiore del 30% dell’analogo dato nazionale;
  • Intensità di specializzazione: addetti UL settore specializzazione, superiore del 30% degli addetti manifatturiera del s.l.l.;
  • Addetti piccole imprese settore specializzazione: superiore del 50% degli addetti al totale imprese del s.l.l..

Una rapida e superficiale disamina di questi indici, porterebbe a far ritenere che nell’individuazione dei distretti industriali ci si basi esclusivamente sui dati quantitativi relativi agli addetti e alle unità locali, ovvero su dati prevalentemente economici. Ma in realtà non è così, perché alla base dell’individuazione dei distretti ci sono i sistemi locali del lavoro (SLL) elaborati dall’ISTAT e dall’IRPET.
I Sistemi Locali del Lavoro sono delle organizzazioni territoriali di più comuni, effettuate basandosi sulle necessità di pendolarismo, di spostamento casa-lavoro dei residenti e applicando una soglia minima, così da avere aggregazioni omogenee e significative. Questi inoltre, sono oggetto di caratterizzazione socio-economica ed essendo individuati sulla base di criteri univoci e regole prestabilite, sono confrontabili a livello nazionale, a differenza dei comuni, i cui confini hanno origini storiche.
Il riferimento ai sistemi locali del lavoro come base per l’individuazione dei distretti industriali, fa sì che essi siano caratterizzati non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale.
In questo modo si può interpretare lo sviluppo e le sue cause secondo parametri più numerosi (sociali,economici e ambientali) e, quindi, cercare di rappresentare la complessità del fenomeno per attuare degli interventi di sviluppo veramente efficaci.
La definizione dei distretti industriali ha ormai raggiunto un livello di formalizzazione statistica e
normativa, validato scientificamente, e le aree a loro corrispondenti sono state oggetto di analisi delle caratteristiche quali-quantitative dei punti di forza e di debolezza, ampiamente utilizzate nella pianificazione economica.

I sistemi turistici locali

Ma per quanto concerne i distretti turistici – cui il legislatore ha attribuito la denominazione di Sistemi Turistici Locali – ci troviamo ancora in un campo in via di definizione. Ciò è in parte dovuto alla relativa “novità” dell’inserimento del settore turistico come elemento trainante nei piani di sviluppo (vedi anche 6° bando della L. 488/92 dedicato al turismo nel quale – per la prima volta in una legge di finanziamento – si inserisce il concetto di distretto turistico, o area a vocazione turistica), alla nuova e non consolidata impostazione dei piani di sviluppo basati sui “poli turistici regionali”, ma anche alle difficoltà teoriche e metodologiche relative alla definizione di un Sistema Turistico locale inteso come distretto produttivo.
Già il fatto stesso di parlare di “distretti” con riferimento al turismo, significa introdurre un concetto nuovo, ma necessario. Necessario in quanto la capacità di fare sistema e l’integrazione tra le PMI fondamentali e largamente sviluppate nei distretti industriali, sono trasferibili anche per lo sviluppo del settore turistico, come già dimostrato da quei rari esempi nazionali di destinazioni turistiche (Rimini e la costa romagnola, Ischia, Val di Fassa ecc.) che hanno saputo superare l’atomizzazione delle strutture e le politiche ricettive. Il promuoversi da soli, pur avendo a disposizione un importante potenziale turistico locale, non consente di soddisfare (e di sfruttare positivamente) quella caratteristica dominante del turista, ovvero la sua richiesta di una “esperienza completa”, globale di soddisfazione residenziale, la “total leisure esperience”.
Il turista richiede accoglimento di una molteplicità di bisogni che non possono essere soddisfatti se non ricorrendo all’aggregazione, alle forme di partecipazione e partenariato pubblico-privato. Potremmo dire che la trasformazione delle risorse turistiche locali in prodotto turistico avviene là dove si crei sinergia tra strutture differenziate.
Da tutto questo discende che i parametri ex DM Industria del 21/4/1993 utilizzati per l’individuazione dei sistemi industriali, basati su variabili economiche (industrializzazione manifatturiera, specializzazione produttiva, densità imprenditoriale e occupazionale), male si prestano all’individuazione di un distretto turistico, che non si fonda solo su una serie di caratteristiche quantitative, in linea di principio più facili da individuare.
L’offerta turistica, ad esempio, che pure si potrebbe considerare un parametro quantitativo, è formata da una serie di elementi diversi. Non solo la ricettività (alberghiera e complementare), ma anche servizi ulteriori risultano di fondamentale importanza ai fini dell’individuazione di una capacità/potenzialità di un prodotto turistico. Si pensi ai servizi di più ampio uso legati al turismo, quali ad esempio strutture sportive, congressuali, ristorazione, artigianato, shopping, divertimenti in senso lato.
Questi elementi, oltre che quantificabili in numero e tipologia, sono utilizzabili anche per caratterizzare l’offerta turistica dal punto di vista della qualità.

Le variabili qualitative

Le variabili qualitative concorrono dunque alla stessa pesatura delle variabili quantitative, in più sono esse stesse variabili misurabili, anche con metodi statistici, ma sulle quali ancora la letteratura non si è molto dilungata.
Come esempio di questa categoria di indicatori, si può citare la presenza o meno di indicazioni (geografiche,logistiche,ecc.) per il turista, facilmente raggiungibili (o fruibili), la documentazione dell’esistenza di varie tipologie di prodotti (ristorazione e strutture ricettive a differenti rapporti qualità/prezzo), una documentazione che deve essere presente sia nelle aree di generazione della domanda che in loco: tipicamente ci si può riferire alle guide dei ristoranti o delle strutture ricettive, ma anche all’attività di promozione e delle specifiche azioni di marketing.
Le variabili qualitative inerenti il prodotto turistico, inoltre, si compongono per la gran parte di elementi immateriali, legati all’immagine e alla percezione del luogo. Ogni territorio viene percepito in base a notizie e immagini generali, il cui collegamento con il turista avviene tramite gli strumenti culturali e informativi che lo stesso fornisce.
Siamo quindi di fronte alla percezione del territorio, sulla quale incidono efficacemente sia le politiche di marketing, sia la percezione individuale complessiva che si ha del luogo. Per questo, anche fatti e avvenimenti che apparentemente sono estranei al turismo, possono avere un effetto, in negativo o in positivo, molto importante sulla creazione/modificazione di un’immagine più o meno attrattiva della località.
Tra le variabili quali-quantitative, una categoria di straordinaria importanza è quella dei beni artistico – culturali. Una volta definiti gli indicatori al fine di individuare i distretti turistici o le aree di sviluppo potenziale, appare fondamentale definire la presenza sul territorio da sviluppare e valorizzare, di componenti naturali, paesistiche, culturali e storico – archeologiche. Di elementi cioè difficilmente valutabili, soprattutto in termini quantitativi, se non come semplice enumerazione di luoghi di interesse o di eventi ricorrenti.
Ci si rende immediatamente conto che l’individuazione degli elementi di questa offerta è parziale, poiché la rilevanza(culturale e ambientale) della conservazione e integrazione di questi poli d’attrazione è utile solo se seguita da un’analisi sul valore e sulla capacità attrattiva degli stessi.
Il turismo, quindi, si presenta come un fenomeno estremamente complesso, la cui vera essenza può essere catturata ricorrendo solo a parametri quantitativi. Viceversa, negli studi sui distretti turistici, negli strumenti di programmazione di cui si sono dotate alcune Regione in riferimento al turismo, si nota attualmente una certa propensione ad individuare i distretti basandosi solo su indicatori quantitativi e, spesso, parziali. Un indicatore prevalentemente usato, ad esempio, è la presenza ,di infrastrutture alberghiere e ristorative e la loro numerosità, un’impostazione che rileva lo status quo, ma presenta due difetti: non evidenzia, se non per carenza/difetto le nuove zone turistiche di pregio: non utilizza indicatori validi ai fini di un’analisi ambientale e/o di un intervento di “turismo sostenibile” e perciò risulta poco utile, negli strumenti di programmazione, per l’individuazione delle zone turistiche di pregio, da potenziare attraverso opportune azioni di diversa tipologia, e per definire i contenuti di un eventuale “master plan” dell’intervento.
D’altronde, anche la legge quadro sul turismo fa riferimento ad un “sistema”, quindi ad un insieme complesso di elementi di diversa natura, e non solo alla componente strutturale. E nella parte dedicata ai finanziamenti, si riferisce alle imprese turistiche, ma non solo quelle del comparto ricettivo, come accadeva in passato, includendo nella categoria, e quindi estendendo le eventuali agevolazioni che si vorranno prevedere, anche tutte quelle imprese che concorrono alla formazione dell’offerta di ospitalità e che effettuano attività economica relativa alla produzione e commercializzazione del prodotto turistico. Proprio per questo, la legge 135/01, infatti, definisce i sistemi turistici locali (S.T.L.) come dei contesti turistici omogenei o integrati che sono caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate.
Questa legge ripropone dunque, in termini economici, il concetto ormai pacificamente acquisito nella pianificazione territoriale ambientale, che lo sviluppo e la tutela del territorio abbracciano aree non corrispondenti alle semplici divisioni amministrative (confini comunali, provinciali, regionali).
Nella definizione dei sistemi turistici il metodo usato è quello “bottom up”, sono gli enti locali o i soggetti privati, sia singolarmente che associandosi, che promuovo i S.T.L., che le regioni riconosceranno. E la stessa promozione avviene attraverso forme di concertazione con gli enti funzionali, con le associazioni che concorrono alla formazione dell’offerta turistica e i soggetti pubblici e privati interessati.
La legge, perciò, da questo punto di vista, aiuta a fare un passo avanti nella metodologia di individuazione dei distretti, proprio perché cerca di recuperare, nella definizione di S.T.L., tutta quella serie di elementi di diversa natura che fanno di un sito, un sito di “pregio”, con delle qualità potenzialmente sfruttabili dal punto di vista turistico: qualità ambientali, culturali e di attrazioni turistiche, politica dell’accoglienza. Quindi, abbandonando l’idea che ci si debba basare sull’offerta ricettiva per l’individuazione di queste aree omogenee, si evita la polarizzazione solo sui contesti già affermati, e si rende la definizione stessa di STL, più aderente al concetto di sviluppo sostenibile.

Sistemi turistici e ambiente

Nella definizione legislativa dei STL e nei diversi tentativi compiuti a livello regionale di individuare i distretti, sebbene un forte peso venga assegnato alla componente alberghiera, si è fatto sempre riferimento ai beni naturali e culturali come componenti necessari per l’individuazione di un distretto. Pur se nella difficoltà, concreta ed oggettiva, di individuare un metodo di “misura” di questi elementi qualitativi, si è comunque riconosciuta alla componente naturale e culturale la valenza di elemento fondante l’offerta turistica.
Ciò consente di introdurre il tema del rapporto tra ambiente e turismo, un rapporto che ha una doppia natura: i beni naturali e culturali sono una delle componenti di attrazione, ma nello stesso tempo soffrono la pressione che il turismo esercita sui di loro.
Coniugare, quindi, ambiente e turismo diventa una necessità imprescindibile. Ciò può essere fatto attraverso un’attenta attività di pianificazione dello sviluppo turistico, necessaria non solo ai fini della tutela e valorizzazione delle risorse naturali, ma anche ai fini dello sviluppo stesso di una proficua e sostenibile attività turistica, per massimizzare benefici occupazionali e reddituali.
L’attività di programmazione deve prendere in considerazione l’impatto ambientale dell’insieme delle attività(non solo quindi le attività strettamente turistiche, ma anche l’insieme delle attività ad esso collegati e allo stesso tempo fondamentali) che si esercitano sul territorio: si deve analizzare l’impatto ambientale dei piani e dei programmi di sviluppo del territorio, sul modello di quanto si è già iniziato a fare – a tutt’oggi ancora solo in parte e sperimentali situazioni territoriali – applicando la Valutazione Ambientale Strategica (VAS), anche utilizzando criteri e metodologie ormai consolidate e diffuse in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea.

di Andrea Forni, Ivana Olivetti e Federica Scipioni

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