L’analisi dei risultati turistici del 1994 non ha fatto registrare toni trionfalistici, sebbene gli incrementi delle presenze, dell’attivo valutario e dei fatturati siano stati ragguardevoli: ciò rappresenta certamente un segnale positivo, perché dimostra che – al di là dell’andamento congiunturale – si comincia a prestare una maggiore attenzione alle condizioni strutturali della nostra offerta turistica , che permane debole nonostante i buoni risultati.
La consapevolezza che la recuperata competitività sia dovuta principalmente alla perdita di valore della lira, ha indotto la sensazione diffusa di aver di aver venduto posti letto e servizi turistici a prezzi di saldo, con qualche beneficio per i conti aziendali ma non per il sistema paese che paga costi marginali crescenti per ogni turista in più che viene in Italia. Forse, proprio mentre le imprese si interrogano sulle prospettive di sviluppo e sulla possibilità di consolidare la ripresa del ’94, reclamando a ragione – come fa il Presidente della Confcommercio, Francesco Colucci, nell’articolo di apertura di questo numero di “AT” – una politica attiva da parte del potere pubblico per favorire investimenti ed innovazioni, appare opportuno aprire una riflessione seria sulla fragilità del nostro modello turistico basato su un’offerta che risulta concorrenziale solo in presenza di un rapporto di cambio assolutamente irragionevole ed insostenibile nel medio periodo.
Il deprezzamento della Lira, che ha reso conveniente il soggiorno in Italia per gli stranieri ed ha sconsigliato i nostri connazionali ad andare all’estero, ha anche reso più onerose le nostre importazioni e costituisce un fattore inflazionistico strisciante. Per questo, non ha molto senso enfatizzare il saldo valutario attivo generato dal turismo, perché l’avanzo della bilancia dei pagamenti alla voce “viaggi all’estero” non è rappresentativa dell’effettivo interscambio diretto: se le partite valutarie attive fossero depurate del valore delle importazioni dei beni e servizi necessari per far venire in Italia gli stranieri o per assicurare loro un confortevole soggiorno, il saldo apparirebbe molto più contenuto.
Ma, a parte questo aspetto, che non è un fatto puramente contabile, vi è da tenere presente che il turista non consuma solo ricettività alberghiera o servizi complementari: ogni presenza turistica ha un costo d’uso dell’ambiente che non sempre viene ripagato dal valore commerciale del soggiorno. Tra i costi del sistema turismo e benefici economici diretti ed indiretti vi è un divario che cresce con andamento esponenziale in ragione dei volumi di traffico, proprio perché il prezzo unitario di ogni presenza turistica aggiuntiva tende a diminuire, mentre il costo marginale tende ad aumentare. Per la pressione sui servizi civili che vanno potenziati, per la manutenzione delle risorse naturali e dei beni collettivi, per gli approvvigionamenti energetici che si pagano in dollari.
Non è solo un problema di lattine di birra e di cartacce che straripano dai contenitori dei rifiuti; occorrerebbe valutare e quantificare il rapporto tra prezzo di vendita del soggiorno e costo reale delle condizioni di fruibilità della vacanza, in analogia con quanto avviene per gli altri beni di consumo che tendono a incorporare il costo della manutenzione e dell’assistenza post -vendita nel prezzo finale del prodotto.
Ora, per l’offerta turistica non si può determinare questo rapporto a livello di singolo prodotto o servizio, ma è possibile ragionare in termini di costi/benefici complessivi, per valutare l’effettiva convenienza del modello di offerta turistica per il sistema economico nel suo complesso: da questo punto di vista , enfatizzare l’apporto valutario, su cui per molti anni abbiamo commisurato i nostri successi turistici, può essere addirittura fuorviante.
Già in altre occasioni abbiamo scritto che quando un paese presenta uno scarto strutturale tra l’incoming e l’outgoing non c’è da esultare, ma da preoccuparsi per le condizioni di benessere generale del paese. Nelle nazioni sviluppate non si registra questo equilibrio: in Germania ed in Giappone la bilancia turistica è in costante passivo, mentre in Francia e negli USA la domanda interna presenta una dinamica non meno vivace di quella dell’incoming dall’estero. Il modello turistico italiano, invece deve confrontarsi con quello francese – a cui potrebbe avvicinarsi per le comuni caratteristiche di base dell’offerta – tende a confrontarsi purtroppo con quello dei paesi in via di sviluppo che ricevono turismo ma non generano flussi di domanda.
I successi del ’94 hanno permesso l’uscita dal tunnel della paura ed hanno assicurato un po’ di ossigeno alle imprese, ma ora occorre ripensare ad un nuovo modello turistico basato su un maggiore sviluppo del mercato interno, su una riqualificazione e diversificazione dell’offerta, su un minore interesse non a favorire dinamiche di internazionalizzazione, ma a sostenere interventi tesi a colonizzare la nostra struttura produttiva.
Soprattutto se permane l’attuale livello del debito pubblico che ci taglia fuori dai processi di globalizzazione dell’economia, rispetto ai quali il turismo può essere un fattore di integrazione se si sviluppa in maniera equilibrata, ma può anche essere un fattore di divario permanente e di separazione, se si sceglie di massimizzare l’incoming senza preoccuparsi di far crescere il mercato interno, sviluppando la domanda.
di Giuliano Faggiani