A Roma per il Colosseo, a Firenze per Piazza della Signoria, a Venezia per San Marco… solo per vedere. Poi tornare a casa, sviluppare le fotografie e srotolare i filmini. Dopo la conquista delle ferie pagate e dopo il boom economico degli anni sessanta, gli italiani ( e non solo) hanno scoperto e sperimentato il turismo.
Così nasce uno strano modo di viaggiare in cui il turista, forte della sua appartenenza al gruppo e della perfetta organizzazione del suo viaggio che nulla ha lasciato al caso, acquista souvenirs, guarda ma soprattutto consuma e memorizza immagini. Le stesse immagini, appunto, lo hanno convinto ad intraprendere il suo viaggio. In un siffatto clima di sicurezza, lontano dagli affanni del quotidiano ma, comunque, “familiare”, non sente il bisogno di relazioni con il nuovo e con il diverso.
Tuttavia, questa modalità di fare turismo, tipica di una società opulenta e frettolosa, è diventata una pratica quasi ordinaria, ma è certamente in calo. Simili alle campagne dissuasive del fumo, in questi anni stanno aumentando anche le campagne dissuasive dal banale turismo di massa. Più o meno in questo senso, infatti, si muovono le iniziative dell’ANCI: attraverso la formazione di diversi “club di prodotto”, come le Città dell’olio, Città del vino, Città della ceramica, i Paesi dipinti, le Cittàslow, etc., si vuole promuovere un “turismo di qualità” che si rivolge a destinazioni insignite del marchio “Borghi più belli d’Italia”, e che permettono di privilegiare ora il lato gastronomico, ora l’aspetto culturale, ora il lato paesaggistico di una vacanza. E’ un modo intelligente di sollecitare i cittadini a non scegliere l’esodo di massa, motivato solo dal degrado ambientale e dal caos delle città di residenza, perché si possono cercare luoghi autentici dove ritrovano tradizioni, valori, atmosfere ed emozioni che rischiano di andare perduti. Una “Carta di qualità” indica i requisiti per cui il Comune può essere inserito tra i “Borghi più belli”, in modo tale che le località che non hanno le caratteristiche richieste (una certa ricchezza paesaggistica, oltre ad un certo patrimonio storico-artistico o gastronomico) siano stimolate a migliorarsi, per raggiungere il livello di quelle già in possesso del marchio (che naturalmente sono circa 60, ma presto aumenteranno).
Questo progetto attiva un circuito virtuoso che consente di moltiplicare i “focus emozionali” sul territorio, in grado di divertire e sorprendere , per usare la terminologia dei Mario Salami. Ma questo progetto può stimolare anche la valorizzazione e la visibilità di nuove destinazioni che si affacciano sul mercato turistico e che vogliono offrire una “qualità residenziale” che possa motivare il viaggio e il soggiorno temporaneo.
A trarre vantaggio del progetto saranno sia visitatori che i “visitati”. I visitatori sperimenteranno un nuovo modo di fare turismo da un ritmo più lento, che favorisce un reale contatto con il luogo; consente di esperire lo spazio di vacanza per trarne distensione fisica e mentale, generata dal relax, ma anche con un arricchimento culturale e spirituale (vero souvenir del viaggio). I visitati avranno una città più vivibile perché, se è così per il turista, una città è ancora più vivibile per chi vi abita e, soprattutto, godranno i vantaggi delle ricadute economiche perché gran parte del denaro speso dai visitatori resta nel paese ospitante.
Inconsciamente, al di là di ogni viaggio turistico con volo charter, ognuno di noi sceglie di partire con una profonda esigenza di rinnovamento puramente intima e personale. Il soggiorno in un luogo sconosciuto, in una comunità di cui conosciamo poco o nulla mette alla prova la nostra persona, poiché vengono a mancare gli abituali punti di riferimento della quotidianità. In questo senso possiamo somigliare un po’ ai cavalieri medievali, che partivano da “cavalieri” e tornavano al villaggio da “eroi”.
In quanto animali sociali discendenti dalle popolazioni di cacciatori e raccoglitori, siamo naturalmente portati al movimento: un movimento nello spazio che genera scoperta e sorpresa, ma molto spesso si trascura anche la scoperta di se stessi e dei reali motivi che ci hanno spinto a scegliere una determinata meta, in un particolare periodo dell’anno della vita. Si pensi a coloro che, durante una vacanza, hanno messo in discussione il loro modo di vivere e non sono più tornati al punto di partenza: una scelta un po’ drastica – forse un po’ letteraria – che tuttavia ci fa riflettere sul potere che l’esperienza turistica può esercitare su una persona.
In un’epoca di supermercati, parchi di divertimento, aeroporti, centri commerciali e fast food uguali in tutto il mondo, che tendono ad omologare non solo i luoghi ma anche le immagini, le idee e gli stili di vita, il turismo esperienziale si oppone a questo tipo di conformismo costituendo una lente per guardare il nostro mondo esterno ed interno con occhi diversi e propone, quindi, la nascita di un viaggiatore – forte dell’individualità ritrovata e di una coscienza cosmopolita – che gli permette ancora di emozionarsi di fronte a tante diversità. E di provare un intimo piacere.
L’ente locale, come istituzione più vicina ai cittadini ma anche a chi vive temporaneamente un luogo, è il primo punto di partenza di tutte le politiche turistiche e deve essere il primo fautore di questo nuovo tipo di turismo. L’ANCI, che rappresenta i Comuni italiani ma che svolge anche un ruolo propulsivo per migliorare la qualità dell’intervento amministrativo, è in prima fila in questa battaglia e si è dotata, nello specifico, anche di strumenti settoriali come Anci turismo e la sua società di servizi.
di Gabriella Reho